In un’opera così complessa, non ho trovato un difetto,
uno smusso mal riuscito, un aggettivo fuori posto: nulla.
Una vertigine, questo è “Betty”. Anzi la vertigine di
una vertigine. Mentre leggevo mi tornavano nella mente le immagini di
"Vertigo" e di "Spellbound". Non per i temi ma per il
modo. Si cita Fellini ma quell'Hitchcock forse è il riferimento più adeguato.
Ma questo libro è ancora più complesso. Difficile
anche da raccontare: sciuperei una trama intricata ma stupendamente intrecciata.
C’è un fotografo a cui si chiede di raccontare per
guardare indirettamente.
C’è un libro che influenza le vite che a loro
volta influenzano i libri.
C’è una donna che porta un nome che è come un doppio specchio.
C’è un autore, Simenon, che parla con la voce di
Cotroneo ma che potrebbe essere quello autentico che a sua volta si specchia in
un personaggio che specchia ulteriormente se stesso nell’autore.
E c’è il dolore, però. Indicibile. Così grande che
diventa un peccato originale che nessuno è capace di scontare se non
inabissandosi in se stesso e quindi perdendosi, come Betty appunto.
Non so quanto umanamente sia costato pensarlo e
soprattutto scriverlo.
“Betty” è una lettura che scuote, non può lasciare
indifferenti.
Anch'io conosco abbastanza Simenon, sia il Maigret sia
il non-Maigret, ma con “Betty”, Cotroneo va lontano. Molto lontano. L’intera
vicenda è il presupposto per una riflessione profonda sugli abissi dell’animo
umano e sulla relazione tra autore e personaggi, ben nascosta dietro il velo
dell’omicidio di una donna misteriosa.
La scrittura è nitida e in alcune pagine si vede, si
percepisce, il mutare della luce. Come se la scrittura avesse una sua luce
e si adeguasse all’intensità del momento. Indubbiamente la passione fotografica
di Cotroneo/Simenon si capisce, ma ovviamente essere un buon fotografo non
significa trovare facilmente quella “luce” nella scrittura.
Immergersi in un dolore così profondo e in
un'assurdità banale ma allo stesso tempo così inspiegabile richiede anche
grande coraggio nel cercare le parole per descrivere quest'orrore e allo stesso
tempo smascherare (forse) questa apparente simbiosi vita/letteratura.
Leggere storie che non sono nostre non può forse
trasformare le nostre vite ?
Ma i nostri grigi, i grigi delle nostre esistenze,
sono intensi, belli quasi perfetti. E ce li teniamo i grigi, e ne siamo anche
fieri’.
A pag. 178 c’è l’autoritratto di Cotroneo:
Tutto è in quegli occhi grigi di un mondo indifeso
che non sono riuscito a salvare.
Buona lettura
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