Post in evidenza

tutto sembra senza limite

"Poiché non sappiamo quando moriremo, si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile; però tutto accade solo un certo num...

martedì 6 agosto 2013

betty (roberto cotroneo)


Ho da poco chiuso "Betty". Sono ancora frastornato. 
In un’opera così complessa, non ho trovato un difetto, uno smusso mal riuscito, un aggettivo fuori posto: nulla.

Una vertigine, questo è “Betty”. Anzi la vertigine di una vertigine. Mentre leggevo mi tornavano nella mente le immagini di "Vertigo" e di "Spellbound". Non per i temi ma per il modo. Si cita Fellini ma quell'Hitchcock forse è il riferimento più adeguato.

Ma questo libro è ancora più complesso. Difficile anche da raccontare: sciuperei una trama intricata ma stupendamente intrecciata.
C’è un fotografo a cui si chiede di raccontare per guardare indirettamente.
C’è un libro che influenza le vite che a loro volta influenzano i libri.
C’è una donna che porta un nome che è come un doppio specchio.
C’è un autore, Simenon, che parla con la voce di Cotroneo ma che potrebbe essere quello autentico che a sua volta si specchia in un personaggio che specchia ulteriormente se stesso nell’autore.

E c’è il dolore, però. Indicibile. Così grande che diventa un peccato originale che nessuno è capace di scontare se non inabissandosi in se stesso e quindi perdendosi, come Betty appunto.

Non so quanto umanamente sia costato pensarlo e soprattutto scriverlo.
“Betty” è una lettura che scuote, non può lasciare indifferenti.

Anch'io conosco abbastanza Simenon, sia il Maigret sia il non-Maigret, ma con “Betty”, Cotroneo va lontano. Molto lontano. L’intera vicenda è il presupposto per una riflessione profonda sugli abissi dell’animo umano e sulla relazione tra autore e personaggi, ben nascosta dietro il velo dell’omicidio di una donna misteriosa.

La scrittura è nitida e in alcune pagine si vede, si percepisce, il mutare della luce. Come se la scrittura avesse una sua luce e si adeguasse all’intensità del momento. Indubbiamente la passione fotografica di Cotroneo/Simenon si capisce, ma ovviamente essere un buon fotografo non significa trovare facilmente quella “luce” nella scrittura.

Immergersi in un dolore così profondo e in un'assurdità banale ma allo stesso tempo così inspiegabile richiede anche grande coraggio nel cercare le parole per descrivere quest'orrore e allo stesso tempo smascherare (forse) questa apparente simbiosi vita/letteratura.

Leggere storie che non sono nostre non può forse trasformare le nostre vite ?

Ma i nostri grigi, i grigi delle nostre esistenze, sono intensi, belli quasi perfetti. E ce li teniamo i grigi, e ne siamo anche fieri’.

A pag. 178 c’è l’autoritratto di Cotroneo:
Tutto è in quegli occhi grigi di un mondo indifeso che non sono riuscito a salvare.

Buona lettura

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia un commento