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tutto sembra senza limite

"Poiché non sappiamo quando moriremo, si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile; però tutto accade solo un certo num...

venerdì 30 dicembre 2016

auguri di fine anno (versione 2016)

#vaffanculo a quelli che sanno sempre tutto.

#vaffanculo a quelli che producono solo ansia quasi come fosse uno stupefacente da cui non riescono a disintossicarsi.


#vaffanculo a quelli che ogni mal di testa diventa una malattia incurabile e non sanno cos'è invece il vero dolore.

#vaffanculo ai miserabili, di cuore e/o di portafoglio.


#vaffanculo quelli che (si) misurano sempre e riducono l'esistenza a pura ragioneria.

#vaffanculo a quelli che credono di non aver bisogno di nessuno.

#vaffanculo a quelli che si sono nascosti sotto strati di cinismo solo per nascondere un vuoto immenso.

#vaffanculo a quelli che si ostinano a cercare una perfezione che non esiste svilendo l'imperfezione che li rende unici.

#vaffanculo a quelli che non si emozionano più per nulla e affogano nella totale assenza di entusiasmo. 

#vaffanculo a quelli che non non hanno capito che sopravvivere è un istinto ma vivere è una scelta.

#vaffanculo a quelli che son convinti di essere più furbi degli altri perchè troveranno - prima o poi - uno ancora più stronzo.

#vaffanculo a me stesso, ogni qualvolta per stanchezza o stupidità mi sono vestito e mi vestirò ancora con uno di questi (inadeguati e inutili) abiti.

venerdì 16 dicembre 2016

cieli del nord (alice)

Attimi di milioni di anni fa 
cercano rifugio dentro il cuore 
arie che vengono dal mare a nord 
cambiano umori con amori. 

Sai 
vorrei restare qui 
tra l'erba che si muove al vento 
e ritrovarci un pò. 

Schiavi del tempo che va 
e liberi solo a metà 
come velieri lontani 
viaggiamo ancora nel cerchio 
di questa età. 

Orizzonti 
che si aprono tra noi 
chiamano 
frammenti di serenità. 
C'è un´emozione in te 
fiore di loto immobile 
la ritrovo in me. 

Schiavi del tempo che va 
e liberi nella realtà 
come velieri lontani 
viaggiamo soli nel cerchio di un'altra età 
solitari nei cieli del nord.



venerdì 23 settembre 2016

silenzio

Si resta senza parole. 
Resto spesso senza parole. Sempre più spesso. 
Non saprei spiegare il motivo. Forse la mia incapacità nello sceglierle correttamente.
A volte le mie e le altrui parole, salvo rare eccezioni, mi sembrano solo un inutile ma subdolo rumore di fondo che mi confonde, mi distrae. 

Sento solo il bisogno, quasi vitale, di un silenzio profondo. 




sabato 10 settembre 2016

C'è quel sorriso

C'è questo aver studiato una vita e ritrovarsi sempre con un numero di domande sempre maggiori delle risposte.

C'è questo guardare negli occhi i ragazzi e le ragazze e capire quello che non si può dire: che c'è un dolore, una preoccupazione, una svagatezza. Leggere un sentimento e aspettare l'occasione giusta per aprire un dialogo e dire un semplice: "Sta bene ? Ha bisogno di qualcosa ?".

C'è questo lavorare con persone che non hai mai visto e che ti chiedono come stai; magari capiscono che tu vivi un momento difficile o una gioia, e nel frattempo quello affianco che manco sa se ci sei o meno.

C'è questo usare impropriamente una lingua che conosci senza aver fatto studi specifici, che manca di congiuntivo, che è facile solo apparentemente e nella quale ti viene chiesto (addirittura) di fare un corso.

C'è questo essere per la maggior parte del tempo da soli a lavorare con i propri limiti ed affidarsi sempre ai Maestri, a quelli che hanno tracciato le strade.

C'è questo cercare, quando e come possibile, di costruire quell'attimo magico in cui a lezione si riesce a comunicare qualcosa. Valutando e pesando modi, parole, tempi e sguardi.

C'è poi la difficoltà di spiegare ad altri che la formazione di un individuo è un momento centrale, delicato, fondante e questo non può essere disgiunto da ciò che si ricerca, da ciò che continuamente si cerca di capire, di approfondire.

C'è questo essere convinti che ognuno vale non per quel che ha ma quel che è.

C'è questo custodire certe idee, certi pensieri, e sì, anche certe malinconie associate con il proprio percorso, umano e intellettuale.

C'è, alla fine, questo amore per la strada che si è scelto che ripaga di qualsiasi cosa.

C'è infine quel sorriso che non puoi scambiare con nessuno che compare quando vedi qualcuno tra loro che ha preso tutto quello (poco o molto non ha importanza) che potevi dare e lo ha trasformato unendolo al suo, rendendolo inequivocabilmente unico.

Hominem, dum docent, discunt.


lunedì 22 agosto 2016

quaranta

Tra qualche giorno saranno 40 anni. 40.

Il patto con i miei genitori era che io volevo andare a Napoli e in una classe mista. Poi qualunque scuola superiore mi sarebbe andata bene. I miei dopo qualche informazione, decisero per il Liceo Scientifico “V. Cuoco”, sezione di spagnolo. La lingua straniera (non inglese, non francese) era il prezzo che il provinciale pagava per andare a studiare in città. Fui ancora più contento. In fondo un po' d'inglese avrei potuto portarlo avanti da solo.

Mio padre il giorno prima mi accompagnò col treno per indicarmi i percorsi e le strade, in modo molto sintetico e con pochissime parole, come suo solito. Mamma era contenta perché vedeva me che ero felice. Papà al ritorno, nel treno, mi disse che
1) se avessi malauguratamente iniziato a fumare avrei dovuto chiedere i soldi a lui e a nessun altro, e 2) se mi avesse scoperto a drogarmi mi avrebbe spezzato le gambe. 

Era Settembre del 1976.

Il primo giorno di liceo mi sentivo come l’uomo sulla luna. Il treno, la città, … tutto era come lo avevo sognato, il mondo sembrava mi stesse aspettando. Arrivai con qualche minuto di ritardo nella sede dove si svolgeva il biennio, un ex-convento a Piazzetta Miracoli nel Quartiere Sanità. Entrai emozionatissimo nell'aula dove avrei conosciuto i miei nuovi compagni. Ovviamente andai a sedermi negli ultimi banchi. Fecero l’appello e al mio cognome ci alzammo in due. L’altro sarebbe diventato e ancora lo è, uno dei miei migliori amici.

Iniziarono cinque anni bellissimi, non facili, intensi, profondi e indimenticabili. Non tutti i professori che incontrammo furono all’altezza, ma l’esperienza che vivemmo assieme fu la migliore che potessimo scegliere di vivere. Non mancarono incomprensioni, piccoli e grandi diverbi, solenni incazzature, ma io oggi sono quello che è maturato in quei cinque anni. Anche la Storia (terrorismo, rapimento Moro, austerity, terremoto, ecc.) s’intrecciava fortemente con le nostre storie.

Entrai bambino e non ne uscii uomo, anzi la parte più difficile venne dopo; ma quel poco di buono che c'è in me, è nato e cresciuto in quei banchi e con quei ragazzi e quelle ragazze.

Ecco l’appello che rifaccio spesso nel mio cuore:
1. Albano
2. Alterio
3. Avitabile
4. Carreras
5. Ciriello
6. Correale (ciao Massimo, riposa in pace)
7. Degni
8. Dell’Aversana
9. De Rosa A
10. De Rosa S
11. Delle Donne (ciao Patricia, riposa in pace anche tu)
12. Giunta
13. Melfi
14. Miccoli
15. Minieri
16. Moltedo
17. Nevola
18. Niutta
19. Riccio
20. Valentini
21. Volpe

Grazie ragazzi.



sabato 30 luglio 2016

linguaggio (p.bausch)

Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. 
A questo punto comincia la danza, e per motivi del tutto diversi dalla vanità. Non per dimostrare che i danzatori sanno fare qualcosa che uno spettatore non sa fare. 
Si deve trovare un linguaggio – con parole, con immagini, atmosfere – che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre.

Pina Bausch

domenica 12 giugno 2016

la prima notte (E. Wiesel)

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

sabato 4 giugno 2016

(ancora) Venezia

- Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco. 
- Ne resta una di cui non parli mai?

Marco Polo chinò il capo.
- Venezia, - disse il Kan.

Marco sorrise. – E di che altro credevi che ti parlassi?
L’imperatore non batté ciglio. - Eppure non ti ho sentito mai fare il suo nome.

E Polo: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.
- Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia.
- Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.
- Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia così com’è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei.

L’acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell’antica reggia dei Sung si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano.

- Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, - disse Polo. – Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta a poco a poco.

sabato 9 aprile 2016

Apri gli occhi (M. Righetto)

@MonicaRBedana ne parla da un bel po'.
L'avevo comprato e messo in bella vista ma quasi ne avevo paura. Quando mi viene suggerita una lettura, spesso temo di rimanere deluso perché lil rapporto con un libro rimane un fatto squisitamente personale: non volevo farmi influenzare dalle ottime cose che avevo letto.

Ieri, ho capito che era arrivato il momento. Non l'ho più lasciato. L'argomento è il più difficile e doloroso da trattare ma il linguaggio con cui la vicenda viene narrata è asciutto, secco, preciso. Anche i capitoli sono brevi, intensi, chirurgici quasi.

Ci sono la perdita di un figlio e il conseguente gesto, un'azione simbolica che riavvicina i personaggi in modo doloroso ma necessario.
"Apri gli occhi" è un romanzo verticale, che si sviluppa in un'ascesa in montagna e in una discesa nell'intimo dei genitori che trovano la forza di non affidarsi alle parole ma  ai paesaggi, al bosco, all'aria delle dolomiti per tirare fuori la forza di abbracciarsi, di piangere e piangersi, senza credere illusoriamente che si possa ricominciare (non è possibile) ma accettando il cambiamento come passaggio verso una nuova (ma ignota) destinazione. Un luogo oppure una situazione che comprende il riappropriarsi del sé.
In alcuni momenti, la tensione emotiva è inarrestabile ma il lettore sa bene che in questo duplice movimento verso l'alto e verso il basso, le lacrime debbono essere accettate; in questa nuova e conquistata consapevolezza, il ricordo, sia pure struggente, consentirà la pacificazione con i propri gesti e i propri pensieri e il proprio vissuto.

Il lavoro di sottrazione deve essere stato lungo e sofferto vista la brevità con cui l'intera storia è raccontata ma il risultato premia questo sforzo. Si può pregare recitando il Pater Nostro oppure salendo in silenzio su un percorso di montagna. "Apri gli occhi" è la preghiera di chi ha avuto il coraggio di guardarsi dentro confidando sulla forza prodigiosa di un rapporto sincero e onesto.
Solo così si può liberare lo sguardo.

Buona lettura (grazie Monica).

giovedì 17 marzo 2016

senza immagini

Senza Immagini è un blog dove ci sono fotografie, senza immagini. 
Sono le parole a comandare. 
In un mondo inondato di immagini (miliardi di miliardi, dice qualcuno) solo queste parole, poche e giuste riescono invece a mettere a fuoco uno sguardo, un sentimento, un ricordo.

Non dico altro. Perdetevi, con gioia, con nostalgia, con passione, in questo album immenso, meraviglioso e incantato.


domenica 13 marzo 2016

caffè

Indubbiamente la mia vita è stata accompagnata dai caffè.
La prima volta che arrivai a Napoli, per il primo giorno di liceo, mio padre, sempre riservatissimo e poco loquace, mi disse poche cose. Dove arrivava il treno, come si tornava indietro e dove dovevo prendere il caffè. Secondo lui, lo dovevo bere al Bar Mekico, giusto fuori Napoli Centrale, lato destro di Piazza Garibaldi. I napoletani sanno di cosa parlo.

Sono sempre stato un po' ipoteso e quindi il caffè mi era quasi necessario. Quel bar e quello di fronte al liceo sono stati i punti fissi del mio passaggio adolescenziale. A Napoli (ancora oggi lo sono) la pizza e il caffè erano economici e quindi con i pochi soldi che avevamo in tasca si riusciva durante la settimana a comprare qualche sigaretta, qualche pizza a portafoglio, ma almeno un caffè al giorno ci doveva essere.
Quello di casa, il primo, lo preparavo io stesso, per me e per i miei genitori, ma quello del bar a Napoli era il momento in cui veramente iniziava la giornata.

Questa passione proseguiva negli anni e cresceva invece di diminuire. Imparai a conoscere le miscele, a capire se il bar aveva le macchine giuste e in un certo senso ad apprezzare quello che ormai era diventato un rito.

Al IV liceo, ci fu un periodo di studio durissimo e in tre ci trasferimmo a vivere da uno di noi che viveva da fuori sede a Via Mezzocannone: io ero l'addetto al caffè, manco a dirlo.
Un pomeriggio ci raggiunsero alcune ragazze che si unirono per la preparazione di un'interrogazione, chimica credo. Ad un certo punto crollai dalla stanchezza e mi addormentai sulla poltrona: mi risvegliò la ragazza della quale ero sempre stato perdutamente (e inutilmente) innamorato con un timido e casto bacio e un caffè. Quel sapore, si capisce, non lo scordai più.

E così negli anni è continuata questa storia d'amore col caffè. All'università, quasi divenne una droga. Proprio non riuscivo a farne a meno, e anche oggi che ho smesso anche di fumare, regolo la giornata e le sue pause sul caffè.
Appena ho iniziato a viaggiare, ho dovuto accettare l'idea che solo a Napoli c'era quello che per me era 'caffè'. E inoltre c'era un caffè italico, al limite della decenza, e un caffè del resto del mondo che era veramente offensivo. Ho imparato a berlo, certo, ma mentalmente mi sono dovuto imporre che quella è una bevanda scura che impropriamente hanno chiamato 'caffe'.

Una sera, nel 1989, mi presentai a Londra, d'improvviso, per una storia che dovevo chiudere, con una busta nella quale avevo messo 1/2 kilo di spaghetti, 1 kilo di mozzarella, 2 baci perugina e una moka. Cucinai per lei un piccola cena napoletana, chiusa dal caffè. Fu per me una cena amara per certi versi, ma meno male che portai il caffè.

Nel 1996, mi sono trasferito con mia moglie negli USA. Portammo con noi il caffè e la moka e ben presto cominciammo a preparare caffè a ripetizione per gli amici che ci venivano trovare. Erano tempi in cui 250 gr di caffè italiano in USA potevano costare anche 20$. Ben presto chiedemmo rifornimenti in Italia !
Dovemmo poi rieducare gli amici americani che lo bevevano come fosse il loro caffè quindi in quantità notevolissime e poi ci confidavano che non riuscivano a dormire.

I ricordi legati al caffè sono tanti e non riuscirei a chiuderli qui brevemente. Due però sono quelli più cari. Uno, abbastanza recente, fu il caffè preso al bar del Policlinico con il dottore che aveva fatto nascere nostra figlia in condizioni rocambolesche. Fu un momento di silenzio in cui ognuno ripercorreva i fatti accaduti e i rischi evitati.
Ogni sorso di caffè era un ringraziamento alla buona sorte.

L'altro, 1980, fu un incidente d'auto che vide coinvolto me con 4 amici. Una stupidissima pioggerellina aveva reso l'asfalto molto viscido e seppure la velocità della nostra 127 fosse bassa, l'amico che guidava perse il controllo dell'auto. Invademmo l'altra corsia e l'auto si ribaltò più volte fino a coricarsi sul fianco. Uscimmo dall'apertura che il parabrezza aveva lasciato rompendosi e ognuno guardò gli altri negli occhi: solo qualche graffio. Un miracolo, ancora oggi non me lo spiego se non con una legione di angeli custodi.
Nessuno parlava. Uno di noi tirò fuori il pacchetto di sigarette e ognuno accese la sua. Le prime parole furono: "Che facciamo ora ?"
Ci fu una sola risposta: "Vediamo se riusciamo a prendere un caffè!"


martedì 1 marzo 2016

rispetto

Sono credente (ci provo) e credo che l'aborto sia da evitare.
Credo altresì che l'"utero in affitto" sia una pratica inappropriata per tutte le coppie, etero o omo che siano. Ma la mia battaglia è stata e sarà sempre culturale: mai e poi mai punterei il dito contro qualcuno per accusare. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
So bene però che esistono persone, soprattutto donne, che devono poter scegliere ciò che che pensano sia il loro bene. Rispetto il loro diritto e vorrei pertanto che le cose fossero sempre regolamentate, per evitare che i soliti, possano fare e ottenere sempre ciò che vogliono.

Le legge e le regole sono sempre la base di una qualsiasi convivenza civile. 

Il resto che ho letto e sentito in questi giorni è solo un grandissimo rumore di fondo e una puzza insopportabile di retroguardia e falso moralismo. 
Problemi coì grandi non si liquidano stralciando una legge, e ben sapendo che in un mondo così piccolo ormai tutto è possibile.

La complessità del mondo e delle scelte etiche investe campi larghi e connessi che vanno discussi salvaguardando l'autonomia dei singoli, garantendo tutto ciò che è possibile.

Gli sgarbi, i salvini, gli alfani contronatura e gli accordi al ribasso mi hanno fatto rabbrividire.





domenica 21 febbraio 2016

un film è pornografico se ...

"Talora la coincidenza dei tre tempi (della fabula, del discorso e della lettura) viene cercata per fini pochissimi artistici. Non sempre l'indugio è indice di nobiltà. Una volta mi sono posto il problema di come stabili scientificamente se un film sia pornografico o meno. Un moralista risponderebbe che un film è pornografico se contiene rappresentazioni esplicite e minuziose di atti sessuali ...."


U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani 1994

domenica 14 febbraio 2016

vecchi dentro

Ultime settimane con notizie strane. Come se mi fosse chiaro il vicolo cieco nel quale tutti ci siamo cacciati.

  • Il festival di Sanremo presenta e celebra persone e gruppi con attività di 30 anni e oltre. Molti che ripetono se stessi da anni in modo imbarazzante. 
  • Per la candidatura a sindaco di Roma si chiede a Rita Dalla Chiesa la disponibilità (che per fortuna rinuncia!) poi si rilancia Bertolaso. Bertolaso: ho verificato per essere sicuro di aver letto bene. Intervengono nella discussione Alemanno e Storace. Alemanno e Storace.
  • Lunedì, se capisco bene, ricomincia una specie di Rischiatutto mentre ritorna Raffaella Carrà.
  • A Milano, si candiderà Sala mentre a Napoli c'è il ritorno di Bassolino.
  • Si discute ancora sul riconoscimento dei diritti civili in funzione del proprio orientamento sessuale.

Guardare avanti? Mai.
Forse bisogna proprio andare via da questo paese. 
Sembra che siamo tutti diventati vecchi dentro, a prescindere dalla data di nascita.



sabato 6 febbraio 2016

febbraio


Liberarsi di un pensiero giusto ma negativo, aiuta. 
Certo, restava la correttezza di una considerazione e di una serie di constatazioni ma era pur vera la loro corrosiva negatività.
La avvertivo crescere giorno per giorno, come una febbre. In parte c'è ancora, ma sta scemando. Allora, preso atto che quella negatività avrebbe intaccato anche i (miei) progetti e le speranze,  altro non mi restava da fare che affrontare una situazione, con me stesso in primo luogo. Avere il coraggio di dirsi ciò che è necessario non sempre è facile, né scontato. Ma è stato l'unico modo per ritrovare uno sguardo limpido con cui guardarmi allo specchio la mattina.
A volte si tratta solo di parole, da dire e da dirsi, che diventano in breve delle chiavi per aprire porte e chiuderne altre.

E poi sono rientrato a casa nel blu e nell'arancio. 

venerdì 22 gennaio 2016

sarri / mancini

Indubbiamente se ne discuterà a lungo. E sinceramente lo spero. Sono episodi gravi e forti che rappresentano occasioni uniche di riflessione e analisi per il futuro.
Speriamo anche che portino a una sintesi.

Sarri ha fatto notevoli errori: i due più gravi sono le offese e il successivo tentativo di minimizzare adducendo giustificazioni ('sono cose che devono restare in campo') che sono suonate peggio delle stesse offese. A sua, minima discolpa, le scuse private e pubbliche che ha formulato rendendosi conto dell'eccesso nel quale era caduto.

Il ditino alzato e le lezioni di moralità sono però insopportabili, così come le difese 'a prescindere' di Sarri, sia ben chiaro. Articoli gramelliniani, severgniniani si sono subito levati per stigmatizzare, evidenziare, sottolineare quello che si deve e non si deve fare. Tanto tra una quindicina di giorni tutto è passato.

Il calcio è un sport nel quale, nella massima divisione, in una partita in cui il Napoli non giocava, si levano cori contro il Napoli e i napoletani.
C'è un presidente federale che usa termini particolari, definirli offensivi sarebbe già sminuirli.
Ma ciò va avanti da anni. Scommesse, traffici di giocatori e plus-valenze, iscrizioni a bilancio gonfiate ad arte, genitori che nella partite dei bambini picchiano l'arbitro, ...

Non giustifico nulla, sia chiaro e direi le stesse cose se il fatto fosse successo a Voghera con l'allenatore del Voghera.

Non mi pare però che ci sia qualcuno degli addetti ai lavori (inclusi i giornalisti) che possa vestirsi d'autorità e dire di ad un altro cosa sia giusto o sbagliato.

La ricetta per me è sempre stata una soltanto: blocco totale delle attività calcistiche per un anno (come minimo) e riorganizzazione complessiva.
Ma mi accontenterei che Sarri e Mancini si stringessero pubblicamente la mano e dessero vita ad una fondazione contro le discriminazioni nello sport. Che ingenuo che sono, vero ?

giovedì 21 gennaio 2016

con un buco nel cuore (s. perugini)

Apparentemente è il diario di una diagnosi, della preparazione, dell'intervento operatorio e della fase di convalescenza dell'autrice che si sottopone ad un intervento al cuore.
Come tutti i diari è frammentato, discontinuo, senza una forma ricercata, imposta dalla scrittura. Ma come tutti i diari, presenta delle crepe, delle fessure attraverso le quali si può vedere qualcosa in più.

Non saprei dire quanto questo effetto sia voluto e quanto invece si proprio il risultato della scrittura stessa che libera energie e memorie sopite. 

Si parlava con Saša dell'imprevedibilità di certe diagnosi e di come possano spalancare abissi inattesi. Nel mio caso si è trattato di un qualcosa preso sul nascere e quindi di impatto veramente minimo. Nel suo caso invece, il cuore si è dovuto aprire in tutti i sensi. Lei si è posta con la massima razionalità possibile di fronte al percorso che l'attendeva ma nel diario è evidente questa costante ma decisa azione contraria, in cui il raziocinio lascia pian piano il campo a qualcosa di più dolce che non è rassegnazione ma la consapevolezza che il controllo assoluto non esiste.

Ci sono dei momenti di assoluta comicità in cui, Pag. 98 ad esempio, si parla di fidanzati e poi due righe dopo di un ex. Sorge spontaneo chiedersi la differenza quale sia ! Nella stessa pagina si parla di un lutto atroce, il più grande che un padre possa avere. I registri si alternano come se la scrittura dovesse riflettere questo continuo succedersi di pensieri. La pagina in cui Saša racconta del marito e della sua scelta di re-iniziare con lei a camminare è davvero commovente, così il suo guardarsi e raccontare/rsi le ferite è molto particolare, intenso.

C'è lei che ricorda la sua infanzia, la perdita prematura del padre, gli USA, il rapporto con la madre; c'è molto ma in un misura che consente empatia senza entrare in un dettaglio che sarebbe invasivo e forse inutile. Ci sono infine, e questo non deve essere sottovalutato, la compassione e la sincera partecipazione per chi in un ospedale si reca per cose più gravi in un confronto che riduce naturalmente la tendenza del proprio ego a occupare tutti gli spazi possibili.

"L'unica foto di me che c'è in tutta la casa.": pag.132, la felicità è una lastra del torace appesa come una opera della pop-art. Bellissima.

Buona lettura.
Con un buco nel cuore: è qui.

lunedì 11 gennaio 2016

lazarus / bowie


Look up here, I'm in heaven
I've got scars that can't be seen
I've got drama, can't be stolen
Everybody knows me now

Look up here, man, I'm in danger
I've got nothing left to lose
I'm so high, it makes my brain whirl
Dropped my cell phone down below
Ain't that just like me?

By the time I got to New York
I was living like a king
Then I used up all my money
I was looking for your ass

This way or no way
You know I'll be free
Just like that bluebird
Now, ain't that just like me?

Oh, I'll be free
Just like that bluebird
Oh, I'll be free
Ain't that just like me?