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domenica 4 agosto 2013

l'estate di pier andrea

Alcuni dei miei migliori amici li ho avuti (e li ho ancora) tra i gesuiti.
Uno di questi, Pier Andrea Todde, apparve nella nostra piccola comunità, come un pulcino bagnato. Proprio così: un pulcino bagnato. Umile, dimesso, silenzioso.
Era di Cagliari e il suo accento rendeva inutile la sua carta d'identità. Ci ritrovammo subito a parlare di come una persona come lui ad un solo esame dalla laurea in medicina, un ragazzo a cui le ragazze erano sempre piaciute, potesse ricevere una chiamata - come diceva lui - fortissima, diretta, chiara.

E quindi in tarda età, rispetto alla media, decise di dare seguito a questa vocazione tardiva.
Pier Andrea era un pulcino bagnato, fragile, tenero ma non quando parlava di Dio. In quel momento anche la sua minutezza fisica si trasformava, sembrava che veramente lo Spirito operasse in lui in modo preciso e limpido.

Aveva un modo di presentare l'azione di Dio che non era solo nelle parole che usava ma anche nei gesti,  negli sguardi, nei movimenti del suo corpo magro ma forte.

Nei pomeriggi assolati delle lunghe estati di quando la scuola finisce, spesso veniva a casa mia a sentire la musica che amava e a cui non poteva dare il giusto tempo (forse era il suo cruccio maggiore): John McLaughlin, Mahavishnu Orchestra, Weather Report . . . .

Poi crescendo ci siamo persi anche perchè come tutti i gesuiti si spostava in continuazione, mentre io mi avviavo verso gli anni importanti dell'università.
Qualche anno fa, incontrai amici comuni a cui chiesi immediatamente sue notizie.
Mi dissero che un brutto male lo aveva portato via.

In rete trovo questo suo scritto.
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“BEATI I PURI DI CUORE PERCHE’ VEDRANNO DIO” (Mt 5,8)
di Pier Andrea Todde S.J.

L’estate può essere vissuta come tempo in cui si cerca di raccogliere le forze, di ritemprare le energie fisiche, psichiche e spirituali spese durante l’anno. Il tempo dell’estate allora dovrebbe essere un tempo in cui trovare momenti privilegiati per una pacificazione e unificazione del cuore, laddove il cuore è la sede in cui risiede tutto il nostro mondo affettivo-spirituale, sede in cui possono ricomporsi in gioiosa armonia le relazioni vissute durante l’anno. Anche dal punto di vista organico-fisiologico il cuore è il centro della vita perché nel suo inesauribile lavoro fatto di innumerevoli e costanti movimenti sistolico-diastolici, consente che tutto l’organismo si rigeneri e si rinnovi in modo che il sangue irrori tutto il corpo.

Ritornare al cuore significa mettere ordine, dando senso e orientamento alle nostre relazioni. Se il nostro cuore è diviso e frammentato risulta che anche le nostre relazioni verranno di fatto vissute nella dispersione, nella superficialità o nella fretta. Il cuore, centro della vita affettiva ed emotiva; nel linguaggio comune si dice “cordiale” di una persona attenta, empatica, accogliente, che si muove in apertura e gratuità verso l’altro e che con l’altro entra facilmente in comunicazione. Anche per l’uomo biblico il cuore rappresenta il centro della vita personale, di relazione, la sede in cui Dio fa alleanza con l’uomo. Il cuore è la coscienza stessa della persona. Tornare al cuore indica un dinamismo interiore che consente all’uomo di rientrare in se stesso per aprirsi agli altri e a Dio in una vita vissuta nella verità e nella autenticità.

E’ nel cuore che avviene infine quel movimento di ritorno a Dio che viene chiamato col termine “conversione”.

Il modo di pregare naturale per una preghiera vissuta nel cuore, in un cuore che desideri di ridarsi a Dio, è l’esame di coscienza inteso non come analisi psicologica o come tempo per fare un bilancio moralistico della propria giornata.

Normalmente, se vissuto in tal modo, l’esame diventa il luogo in cui emerge facilmente il nostro narcisismo, il nostro autocompiacimento e anche il nostro autolesionismo.
La preghiera dell’esame di coscienza è soprattutto una preghiera di contemplazione e di vigilanza, una preghiera che consente una purificazione del nostro cuore che si affida progressivamente e gioiosamente al proprio Creatore.

Ritornare al cuore diventerà allora ri-cor-dare, cioè ridare il cuore a Dio perché sia Lui a guarirlo. Un cuore riconoscente e grato per le continue meraviglie che il Signore opera.

Ridare il cuore a Dio consente di irrobustirci nella fede perché non poniamo più le nostre preoccupazioni esclusivamente sulle nostre forze e non vedremo solamente i nostri limiti e le nostre fragilità, ma restituiremo tutto di noi al Cuore amante e misericordioso del Padre: Gesù Cristo.

(da “Piazza del Gesù, periodico della CVX Gesù Nuovo di Napoli, luglio-settembre 1990)

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Questa è per te, Pier Andrea. Per noi.


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