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tutto sembra senza limite

"Poiché non sappiamo quando moriremo, si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile; però tutto accade solo un certo num...

mercoledì 30 dicembre 2015

dettagli

A volte è uno sguardo. 
Altre volte è un profumo, una fragranza.
Spesso è una parola. Detta o non detta.
Sono quei piccoli dettagli che fanno la differenza.
Mi restano attaccati addosso e quasi non me ne accorgo.
Poi arriva quel momento in cui capisco che era tutto in quei particolari apparentemente insignificanti. 
Il modo con cui aveva pronunciato quella parola, la velocità con cui aveva compiuto quel gesto, l'intensità di quel bacio.
Alla fine è un insieme di piccoli dettagli che definisce la verità, ciò che per me è la verità. Di un sentimento, di un'amicizia.
Ci vuole solo il coraggio di affidarsi a questi dettagli e scoprire ciò che è.
Per scoprirsi per ciò che si è.


domenica 6 dicembre 2015

misericordia

dalla Treccani

miṡericòrdia s. f. [dal lat. misericordia, der. di miserĭcors -ordis: v. misericorde]. –

Sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla; anche, sentimento di pietà che muove a soccorrere, a perdonare, a desistere da una punizione, e sim.: avere, sentire m. di uno, del suo stato, delle sue sofferenze;
usare m. a uno, soccorrerlo, perdonarlo, risparmiarlo;
fare una cosa per m., per bontà propria, per spirito di carità, non per obbligo;
non c’è più m. a questo mondo, espressione di pessimistica constatazione dell’egoismo e della durezza di cuore degli uomini. 



"proseguì dicendo che però a ogni fallo c’era rimedio e misericordia." (Manzoni). 

domenica 29 novembre 2015

oggi in chiesa

Oggi in chiesa c'era uno, forse mio coetaneo, che non avevo mai notato.
Sembrava fosse immerso in una dimensione sua, unica, incomunicabile.
Alzava la testa ogni tanto, ma senza proferire nessuna parola. Si vedeva che ripeteva le preghiere in cuor suo, ma senza che ce ne fosse un minimo segno evidente, se non un modificare in modo appena impercettibile lo sguardo.
Anche con la testa abbassata, aveva lo sguardo era rivolto in una direzione nota solo a lui.
Al passaggio del cesto delle offerte ha guardato il questuante ma ho capito che era un riflesso condizionato, gli occhi erano ancora in quel luogo accessibile solo a lui.
Raramente avevo visto una tale concentrazione.

Ho immaginato quale peso dovesse avere sul cuore, per chiudersi in quel modo. Quali affanni lo dovessero stringere in un morsa così stretta che non gli consentiva un rapporto con il mondo esterno.
Però poi mi sono detto che non era giusto assegnare arbitrariamente un dolore, una colpa, un rimorso.
Magari era un "buon cristiano" che si concentrava sulle preghiere e sul rito, al contrario di me che perdevo solo tempo a guardare gli altri.

Al segno della pace non ho avuto esitazioni:ci siamo scambiati un sorriso sincero e cordiale oltre a stringere le mani. Ho capito che la sua era una scelta, un modo di essere in quel momento in quel luogo.

Usciti da chiesa, ognuno è andato in direzioni diverse.
Ognuno è ritornato a essere uno sconosciuto per l'altro.
Eppure ci siamo detti molto.







giovedì 19 novembre 2015

l'amore come dovrebbe essere

Non lo vedevo da parecchio. Mi avevano detto che era stato male e che si era ripreso. L'ho incontrato a colazione: braccio destro completamente bloccato e gamba destra semi-paralizzata.
Il sorriso è quello di sempre così come una certa eleganza ancora visibile a dispetto del tempo e della sorte. 

È con la sua signora, una donna non giovanissima, ma di una bellezza viva e forte.

Li vedo parlare con calma mentre fanno colazione. Alla fine lei lo aiuta ad alzarsi e a mettersi il soprabito e poi lo affida ai suoi collaboratori. Sa che il suo uomo terrà una lezione importante, una plenaria e in qualche modo, entrambi sono emozionati.

Ma al momento di separarsi lei accarezza lentamente la sua fronte e la sua guancia e gli  sussurra "Bonne chance !".
E lui ha ricambiato con un semplice sguardo ma immenso. Non c'è stato più bisogno di nulla tra loro.

Credo che aver avuto il privilegio di assistere a questo scambio, sia stato per me una cosa bellissima.

Ho visto l'amore così come dovrebbe essere.

sabato 24 ottobre 2015

luna (Gëzim Hajdari)

Luna,
è fuggita anche questa stagione
senza un bacio
nella notte bianca.

Cielo,
è passato anche quest’anno
senza una ragione,
con la sete dei pozzi prosciugati
nelle nostre labbra nere.

Valle,
sta andando anche questo secolo
come un toro abbattuto,
con il Tempo che ci scivola tra le dita
e il canto del cuculo da collina a collina.

venerdì 9 ottobre 2015

da Monica ai suoi amici

Il papà di Monica (Maria Monica Donato), mi ha inviato questa poesia di Henry Scott Holland (1847-1918). Un regalo inaspettato, un pensiero gioioso pur nel ricordo di una persona che non è più tra noi, ma che è stata capace di creare legami forti, potenti.


La morte non è nulla. Non conta.
Me ne sono solo andata nella stanza accanto.
Non è successo nulla. Tutto resta esattamente come era.
Io sono io e tu sei tu e la vita passata che abbiamo vissuto insieme è immutata, intatta.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il vecchio nome familiare.
Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Sorridi, pensa a me e prega per me.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.
Pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
È la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Cos’è questa morte se non un incidente insignificante?
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontana, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Va tutto bene; nulla è perduto
Un breve istante e tutto sarà come prima.
E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo!

mercoledì 7 ottobre 2015

tribù (ppp)

Io so questo che i napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg e i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. 

Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità. 

È un rifiuto sorto dal cuore della collettività contro cui non c'è niente da fare. Finché i veri napoletani ci saranno, ci saranno, quando non ci saranno più, saranno altri. 

I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all'ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili ed incorruttibili.

PPP

lunedì 5 ottobre 2015

dell'amore per i libri (commento minimo)

Si scherzava stamattina sulla spesa (a volte esosa) per i libri.
Alcune persone (tra cui chi scrive) hanno una necessità quasi fisica di leggere, come se fosse bere o mangiare. È noto che la lettura sia definita come il nutrimento dell'anima.

Detto questo, e lasciate da parte le problematiche personali, una piccola considerazione va fatta. In un paese serio, gli acquisti dedicati alla cultura personale e domestica (libri e musica, sostanzialmente) dovrebbero essere incentivati.

Sono stato liceale a Napoli negli anni 76-81 e ricordo che chi tra noi non aveva soldi, frequentava assiduamente le biblioteche, soprattutto quelle di quartiere che - anche in una città difficile come Napoli - abbondavano.
Oggi è difficile trovare questo tipo di funzione pubblica e i libri si devono comprare.
Nulla di male in tutto ciò, i tempi sono cambiati, ma credo che un piccolo sforzo un governo attento potrebbe farlo.
Ad esempio portando in detrazione nella dichiarazione dei redditi gli acquisti di libri e musica. Oppure riducendo il costo dei libri scolastici che ormai è diventato un paradosso tipicamente italico.
Oppure ancora dotando di un bonus a crescere per ogni libro in più che viene acquistato, . . .

Prima ho usato l'aggettivo domestico perchè un libro (o un cd) in una libreria domestica cessa di essere un oggetto squisitamente personale e diventa un'opportunità sia per chi vive in quella famiglia sia per chi ci passa per poche ore.

I miei amici francesi addirittura comprano di un libro l'edizione economica da leggersela sui mezzi pubblici e poi passano a quella rilegata solo se il libro vale; doppio acquisto.
Ma c'è anche da dire che nella metropolitana di Santiago del Cile, i passeggeri possono prendere libri in prestito in ogni stazione.

Insomma, se si vogliono mettere al centro l'educazione e la cultura, i mezzi ci sono.

Invece.

venerdì 25 settembre 2015

gabbiani (v. cardarelli)

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.



Vincenzo Cardarelli

domenica 20 settembre 2015

la legge dell'amore (r. nureyev)


Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza. Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi.

Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine corso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria. Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso.
La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. 
Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare.
Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza. Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. 

Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita.
Non essere ballerino, ma danzare. Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. 

È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. 

Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita.
Rudolf Nureyev

sabato 5 settembre 2015

nevo

I miei angeli custodi mi hanno salvato ancora una volta. Doppia apertura, doppia serie di punti di sutura. Non sento neanche dolore; è solo un fastidio più che altro. Nulla di comparabile rispetto all'abisso che si stava aprendo.



lunedì 31 agosto 2015

"Il sacrificio di un uomo raro" (G. Carillo)

Sono fortunato anche nell'avere ottimi amici: Gennaro è uno di questi. 
Il suo commento odierno è da brividi. 






Gennaro Carillo, "Il sacrificio di un uomo raro".
Il Mattino, 31 Agosto 2015

Per quanto rari, esistono uomini-ginestra. Aprono crepe nella lava fredda dell’indifferenza, assumendo su di sé il dolore degli altri. Una ginestra, scrive Leopardi nella sua ultima canzone, «consola» il deserto, lo interrompe, lo contraddice, gli resiste. Ad attenderla, tuttavia, c’è un destino di sconfitta e di morte: il fiore soccomberà alla «crudel possanza» del fuoco che desertifica.

Anatolij Korol, muratore ucraino di trentotto anni e tre figli, era un uomo-ginestra. Ha reagito a una rapina, in un supermercato di Castello di Cisterna, ed è stato freddato da un colpo d’arma da fuoco. Quando si è accorto che uno dei rapinatori minacciava una cassiera, non ha potuto fare a meno di intervenire. L’istinto di operare il bene a tutti i costi, di fare la cosa giusta, ha prevalso sull’impulso naturale alla conservazione della vita. Su quell’impulso a sopravvivere che è il movente primario delle nostre azioni e che ci esonera dal rispondere di quanto accade agli altri.

Anatolij non ha agito come tutti, come un «io minimo», pavido e curvo su se stesso, capace solo di contare i secondi che lo separano dalla fine dell’incubo. La regola di prudenza che prescrive di distogliere lo sguardo, quella regola che interiorizziamo fin dall’infanzia e che ci paralizza di fronte ai devastatori di una stazione ferroviaria o ai molestatori di un vecchio, lui non l’ha osservata. Ritenuta inaccettabile la violenza minacciata a un proprio simile, peraltro più debole, l’ha deviata su di sé, rendendola concreta. E rendendo altrettanto concreto, stringente, quel vincolo di solidarietà dal quale noi invece ci sentiamo sciolti.

C’è una bellezza semplice nel sacrificio e nel dono di Anatolij. La cui esistenza non era quella di un uomo illustre ma di un lavoratore anonimo e straniero, come ce ne sono tanti. Uno degli stranieri che contribuiscono alla nostra economia, spesso ripagati con salari indegni e guardati con diffidenza, additati come predatori del lavoro degli italiani. Non è difficile immaginare l’operosità di Anatolij, temprata nel silenzio liturgico e virile che accompagna il lavoro nei cantieri, nelle officine o nei campi. Né è difficile credere a chi ha subito detto che «il padrone gli voleva bene».

Aveva molto da perdere, Anatolij. Non era uno che potesse mettere in gioco la vita donandosi a piene mani e venendo a mancare a quella famiglia che dava un senso a tutta la sua esistenza. Eppure non ha esitato a farlo. Mi viene in mente una pagina di Rousseau dove si dice che in fondo sono gli ultimi, i più umili, gli scarti dell’organismo sociale, coloro che si precipitano a sedare le risse di strada, che si frappongono tra i contendenti e finiscono quasi sistematicamente per avere la peggio. La larghezza nel donare la vita non è affatto appannaggio dei signori. Sono gli Anatolij che si sacrificano per noi. Imitando Cristo, ma senza saperlo, e mettendoci di fronte alla nostra assuefazione all’ingiustizia. Al nostro essere complici della «impietrata lava».

Non si ripeterà mai abbastanza che Anatolij era uno straniero e che ha trovato la morte a migliaia di chilometri da casa. Era dunque, secondo l’accezione classica del termine, un «barbaro». Ebbene, che un barbaro c’impartisca una lezione di rivolta etica e ci dica chi siamo o chi siamo diventati, dovrebbe indurci a riconsiderare il nostro rapporto con chi arriva nel nostro paese. 

A mettere in discussione i nostri pregiudizi.

Non passa giorno in cui non si provi disgusto per l’umanità, per il male che uomini sono in grado di fare ad altri uomini. Ecco perché bisogna esser grati ad Anatolij, uomo-ginestra: «al cielo / di dolcissimo odor mandi un profumo, / che il deserto consola».

domenica 2 agosto 2015

orizzonte

Torno da un viaggio lungo, stancante e intenso. Ero al centro delle Montagne Rocciose, in Colorado. Una notte in preda al fuso, che non ho mai assimilato nei giorni che sono stato lì, sono uscito dalla camera dell'albergo e ho camminato per qualche minuto. Poi mi sono fermato e ho alzato la testa: un'immagine difficile da dimenticare. Lo sguardo poteva andare da est a ovest, da nord a sud in una calotta celeste che mai avevo concepito così.

Un panorama mozzafiato in cui lo splendore della natura sottostante e del cielo sovrastante erano una sola cosa. Pensavo che quella visione racchiudeva molto dei miti americani, ma poi ho smesso di fare il sociologo da quattro soldi. Ho pensato che quella visione mi interrogasse. Su chi ero, chi ero stato e chi avrei voluto essere. Le persone che amavo e che mi amavano erano tutte lì con me, così come le difficoltà, i piccoli successi, i tragitti accidentati e anche una fede non sempre convinta e testimoniante. Insomma una vita.

Me lo sono goduto a lungo quell'orizzonte notturno silenzioso, con quella luna piena e una fetta di cielo immenso. Sono tornato pensando che forse avevo ricevuto un altro regalo dalla vita, un momento di bellezza perfetta che mai saprò spiegare con parole ma che conserverò con cura.



Dice, un mio amico che usa le parole molto meglio di me, che la vita in un'ultima analisi è una questione di orizzonti.
Orizzonte è una parola bellissima.





giovedì 9 luglio 2015

incompatibile (f. capra)

Io credo che la concezione del mondo implicita nella fisica moderna sia incompatibile con la nostra attuale società, la quale non riflette l'armonioso interrelarsi delle cose che osserviamo in natura. 

Per raggiungere un tale stato di equilibrio dinamico sarà necessaria una struttura economica e sociale radicalmente differente: una rivoluzione culturale nel vero senso della parola. 
La sopravvivenza della nostra intera civiltà può dipendere dalla nostra capacità di effettuare un simile cambiamento. 
Essa dipenderà, in definitiva, dalla nostra capacità di assumere alcuni degli atteggiamenti yin del misticismo orientale, per esperire la globalità della natura e attingere l'arte di vivere in armonia con essa.

F. Capra, Il Tao della Fisica

domenica 5 luglio 2015

democrazia (g. zagrebelsky)

La democrazia, come la concepiamo e la desideriamo, in breve, è il regime delle possibilità sempre aperte. 
Non basandosi su certezze definitive, essa è sempre disposta a correggersi perché – salvi i suoi presupposti procedurali (le deliberazioni popolari e parlamentari) e sostanziali (i diritti di libera, responsabile e uguale partecipazione politica), consacrati in norme intangibili della Costituzione, oggi garantiti da Tribunali costituzionali – tutto può sempre essere rimesso in discussione. 

In vita democratica è una continua ricerca e un continuo confronto su ciò che, per il consenso comune che di tempo in tempo viene a determinarsi modificandosi, può essere ritenuto prossimo al bene sociale. 

Il dogma – cioè l'affermazione definitiva e quindi indiscutibile di ciò che è vero, buono e giusto – come pure le decisioni di fatto irreversibili, cioè quelle che per loro natura non possono essere ripensate e modificate (come mettere a morte qualcuno), sono incompatibili con la democrazia. 

G. Zagrebelsky

sabato 4 luglio 2015

vasco live kom 2015 (napoli, 3 Luglio)

Mi ci hanno portato quasi di peso a causa di una caduta che non mi fa ancora camminare bene.
Audio pessimo e spettacolo non sempre omogeneo. Pubblico di almeno tre generazioni e capace di creare un gigantesco karaoke.
A Vasco però si perdona (quasi) tutto: è un'artista forse alla fine della sua carriera ma che ancora rappresenta un certo modo di vedere la vita. La penultima canzone è stata questa.


E poi ci troveremo come le stars
a bere del whisky al Roxy bar
oppure non c'incontreremo mai
ognuno a rincorrere i suoi guai
ognuno col suo viaggio
ognuno diverso
e ognuno in fondo perso
dentro i fatti suoi.





giovedì 2 luglio 2015

sosta forzata


Una sosta forzata, inattesa.
Sembra che tutto debba poi andare male.
Gli appuntamenti, le scadenze, gli impegni.
I programmi sembrano saltare tutti.

Poi, lentamente si inizia a capire che forse qualcosa si può spostare, qualcos'altro si può rimandare a dopo l'estate e altro ancora si può proprio eliminare. Da non credere.

Le cose vanno al loro posto. Non quello che noi abbiano scelto per loro, ma quello proprio naturale.

Alcune notizie, non bellissime, ricevute in settimana, mi hanno trovato in questa specie di vacanza nella quale sono stato costretto, e le ho forse meditate meglio.

Attorno a me, mi godo le persone che amo e le guardo con attenzione cercando di carpire ciò che nella quotidianità spesso, troppo spesso, perdo. E si perde in modo irreversibile: me ne accorgo da certe piccole cose che vedo cambiate e della cui mutazione non ho traccia.

Sistemo le carte, metto a posto i file nel computer, le presentazioni e comincio a ragionare su quello che c'è da fare. Tutto sembra acquistare un dimensione corretta.

Forse questa è la mia vacanza. Rimanere in penombra di un pomeriggio caldissimo a guardare il cielo attraverso la finestra aspettando che rinfreschi per innaffiare le piante.






mercoledì 1 luglio 2015

l'uomo è uomo (e. de filippo)

 
Io ti dico che l’uomo è uomo quando non è testardo.
Quando capisce che è venuto il momento di fare marcia indietro, e la fa.
Quando riconosce un errore commesso se ne assume le responsabilità, paga le conseguenze, e non cerca scuse. 

Quando amministra e valorizza nella stessa misura tanto il suo coraggio quanto la sua paura.



mercoledì 10 giugno 2015

fine corso

Ogni anno per circa tre mesi e mezzo si ripete la stessa cosa.
Sono mesi in cui ho praticamente lezione ogni mattina, due o quattro ore; il pomeriggio è dedicato alla preparazione delle lezioni, alle decisioni su come impostare gli argomenti, alla definizione di eventuali esercizi ed alla loro correzione.

Un'immersione totale nella didattica e nei metodi della didattica.
Poi arriva il giorno come questo, in cui si chiudono i corsi. Guardo le coorti (le chiamano così adesso) a cui ho fatto lezione e comincio a farmi le stesse domande.

Avranno capito qualcosa ? 
Sarò stato in grado di porre bene i concetti più difficili ?
Avranno ben chiaro lo sviluppo complessivo degli argomenti ? 
E gli esercizi saranno stati sufficienti a esplicitarne gli aspetti più complicati ?

Mi lascio la porta alle spalle ed esco dall'aulario con il mio carico di domande.

So bene che dei buoni risultati d'esame non garantiscono nulla in termini di crescita umana e professionale: sono stato studente anch'io. So bene che i formulari sul docente per come e quando vengono somministrati non hanno molto valore, nel bene e nel male: i giudizi devono essere dati al tempo e nel modo giusto.
So bene che ci sono cose che non possono essere misurate sempre e comunque. Come ad esempio la maturazione di un gruppo di ragazzi rispetto a certe discipline: questa potrà dare frutti (ed essere valutata) molto più avanti ed è lì che si capirà se e quanto sono stato capace di trasferire certe conoscenze e di far 'appassionare' su certi temi.

L'università dovrebbe allenare il pensiero e non (o non soltanto) fornire procedure e percorsi pre-confezionati.

Mentre raggiungo il mio studio faccio un viale abbastanza lungo. Incontro un gruppo di studenti. Mi sorridono e sono ricambiati. 

Forse anche quest'anno sono riuscito a fare qualcosa di buono.





domenica 31 maggio 2015

velocità



Colui che pretende un posto su un veicolo più rapido sostiene di fatto che il proprio tempo vale più di quello del passeggero di un veicolo più lento.

I. Illich


sabato 16 maggio 2015

#labuonascuola

Un frigorifero è un prodotto.
Può funzionare bene e può funzionare male. Può rompersi e non funzionare più. Tutti i frigoriferi funzionano allo stesso modo, bene o male.

Un'automobile è un prodotto. Può funzionare bene e può funzionare male. Può rompersi e non funzionare più. Magari si può aggiustare, se ne vale la pena. Tutte le automobili, grosso modo, hanno lo stesso principio di funzionamento.

Ma uno studente (non importa se universitario o di scuola materna) non è un prodotto. E' una persona. Unica. Con i suoi tempi e i suoi modi.

E gli insegnanti, le maestre e i maestri, i professori e le professoresse non sono ingegneri, meccanici, elettricisti. Sono persone. Uniche.

Qualunque riforma dei sistemi educativi dovrebbe partire da qui, dall'ascolto delle persone coinvolte.
Dall'ascolto delle persone e dal rispetto della loro unicità. Il che non significa avallare qualsiasi cosa, come sbrigativamente viene detto.

Piero Calamandrei diceva che "trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere".
Una cattiva scuola trasforma possibili cittadini in sudditi.


Note di Lettura
1) La Rivoluzione Educativa: un'intervista a Sir Ken Robinson

2) Video molto bello

mercoledì 6 maggio 2015

sai mio figlio ...

Sai amico mio, la classe dei docenti è piena di scansafatiche. Quelli che lavorano sono pochissimi.
Ed è gente che lavora, quando va bene, 8 mesi l'anno, mezza giornata.
Non parliamo poi dei professori universitari. Quelli ormai a lavorare ci vanno per sport.
Ma forse li capisco, per quel poco che vengono pagati !
Pensa che io da solo fatturo un budget quanto un intero istituto superiore. E do lavoro a centinaia di persone. Qualcuno in nero, ovviamente.

Molti insegnanti fanno doppia attività e poi sarei io quello cattivo ?
La politica schifa tutta questa generazione di falsi intellettuali che non sa fare altro che andare in aula ed dire sempre le stesse cose.

Non, non parlavo di te, chiaramente; come docente tu sei diverso. Tu sei l'eccezione che conferma la regola. Ma mi chiedo chi te lo fa fare. Fatti furbo ! Fai il docente come tutti gli altri. Che ti frega ?! Tanto lavori o non lavori è la stessa cosa.

Sai però, mio figlio avrebbe bisogno di un tuo aiuto. Lui è bravo ma svogliato.
Legge poco, a volte è confuso, lo vedo perso: potresti aiutarlo ?
Magari te lo mando di sera così non infastidisco la tua giornata.
Poche cose, poi al resto ci penso io.

http://www.internazionale.it/video/2015/05/05/obama-letterman-ospite-video

venerdì 1 maggio 2015

'o mese d' 'e rose (v. de sica)







Nénne belle 'e stu bellu paese
cantate, cantate, felice cu'mmé.
Primmavera ve porta p' 'e ccase
na smania 'e calore, va' trova ched è?
Só' sti rrose ca maggio ha purtato pe'tté.
Rose 'e maggio, e che bellu buchè.
 

 
Chist'è 'o mese d' 'e rrose,
chist'è 'o mese 'e ll'ammore,
se fa ll'aria addirosa
e nénna scuntrosa,
scuntrosa nun è.
Chist'è 'o mese d' 'e vase,
vase ardente e azzeccuse.
Si dimane mme sposo,
mm' 'a piglio cu 'e rrose,
cu maggio e cu'tté.
 

 
Mm'aggio fatto na casa ô paese,
nu nido annascuso cu 'o bellovedé.
E' na casa ca sta 'nparaviso,
nu regno 'ncampagna ch'è degno 'e nu rre.
Nove mise ce vonno pe' fá nu bebé,
ma cu st'aria, n'abbastano tre.
 

 
Chist'è 'o mese d' 'e rrose,
……………………………….

canzone del maggio

Sembra di secoli fa. Eppure è ancora maggio.



Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credevi assolti
siete lo stesso coinvolti.

Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere
lasciamoci in buonafede
massacrare sui marciapiedi
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c’eravate.

E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le “verità” della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

martedì 21 aprile 2015

mare nostro (e. de luca)

Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell'isola e del mondo
sia benedetto il tuo sale
e sia benedetto il tuo fondale
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde
pescatori usciti nella notte
le loro reti tra le tue creature
che tornano al mattino
con la pesca dei naufraghi salvati

Mare nostro che non sei nei cieli
all'alba sei colore del frumento
al tramonto dell'uva di vendemmia,
Che abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste
tu sei più giusto della terra ferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le riabbassi a tappeto
custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale
fai da autunno per loro
da carezza, da abbraccio, da bacio in fronte
di padre e di madre prima di partire.

Erri de Luca

venerdì 10 aprile 2015

a chi esita (b. brecht)

A chi esita

Dici:
per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano.

Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.

Sembra gli siano cresciute le forze.
Ha preso un'apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può più mentire.
Siamo sempre di meno.

Le nostre parole d'ordine sono confuse.
Una parte delle nostre parole
le ha travolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto ? Su chi contiamo ancora?
Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente?
Resteremo indietro,
senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi?
O contare sulla buona sorte?
Questo tu chiedi.

Non aspettarti nessuna risposta
oltre la tua.


Bertolt Brecht

sabato 7 marzo 2015

venezia / guggenheim / giraud (moebius) / brodskij

In questa città si può versare una lacrima in diverse occasioni. Posto che la bellezza sia una particolare distribuzione della luce, quella più congeniale alla retina, la lacrima è il modo con cui la retina – come la lacrima stessa – ammette la propria incapacità di trattenere la bellezza.

I. A. Brodskij
Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele, ma è un grave errore. Vivere a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro. 

P. Guggenheim



Venezia è un luogo elaborato in maniera molto cosciente dalla sua popolazione. In più c'è un accordo a livello planetario perché Venezia rimanga un luogo della bellezza. Bellezza resa più eccitante proprio dal fatto di essere minacciata. Una bellezza che si conserva sul luogo, a disposizione del mondo. 
Ogni pietra è un evento, ogni muro di mattoni un dipinto, ogni prospettiva di stradine è stata costruita da migliaia di vite, da artisti ignari e geniali, non sempre consapevoli di ciò che stavano creando. Nessuna impresa cosciente può eguagliare l'accumulazione di creatività selvaggia che è propria delle città antiche.

J. Giraud (Moebius)

mercoledì 25 febbraio 2015

il vento (m. luzi)

Il vento sparso luccica tra i fiumi

della pianura, il monte ride raro

illuminandosi, escono barlumi

dall'acqua, quale messaggio più chiaro?

È tempo di levarsi su, di vivere

puramente.


M. Luzi

domenica 22 febbraio 2015

#zero15

Patrizia La Daga (@patrizialadaga) ha postato sul suo sito una riflessione interessante sulle iniziative che nascono su Twitter e che hanno orizzonti letterari e culturali:
http://leultime20.it/twitter-tra-libri-e-filosofia/. In fondo è la dimostrazione, se mai ce ne fossero ancora bisogno, che tutti mezzi possono essere usati nei modi più disparati e che, scegliendo, si possono trovare opportunità di scambio e pensiero anche in un social apparentemente limitato come Twitter.

Sono contento di aver seguito alcune tra queste iniziative fin dagli inizi come #scritturebrevi di F. Chiusaroli (@FChiusaroli ); ne scrissi anche qui http://laforzadegliaquiloni.blogspot.it/2013/06/scritturebrevi_6.html.
C'è stato un momento per me fantastico che è stato il #tweetmob sul suono di twitter: http://laforzadegliaquiloni.blogspot.it/2013/10/il-suono-di-twitter.html

Le iniziative segnalate e riassunte da Patrizia sono tutte interessantissime ma ovviamente non si riesce a seguirle tutte. Il tempo che si dedica ai social in questi casi deborda e viene sottratto alle altre incombenze lavorative e familiari.

Una coniata da Giuliano Castigliego, (@giulicast) è stata particolarmente ben accolta e rappresenta una raccolta di brani musicali che commentano i sentimenti umani: #tdaymusic. Questa fa parte di quelle che mi sarebbe piaciuto seguire meglio.

Poi è apparso un hashtag che mi ha particolarmente preso: #zero15.
L'hashtag creato da Giulia Valdi (@giuliavaldi) è stata una idea semplice, geniale per certi versi. Percorrere giorno per giorno quest'anno, il 2015, esprimendo liberamente un'associazione di idee, un verso, un pensiero e magari una foto, aggiungendo il simbolo "/" con il numero cardinale sequenziale della data.
Apparentemente è un giochino innocuo, ma poi strada facendo ci si accorge che quel pensiero, quella foto e quel verso spesso associati a quell'account assumono un aspetto, una sfumatura particolare.
Non significa conoscere la persona ma in un certo senso se ne percepisce un aspetto.
Si partecipa per un istante brevissimo di una gioia, di una preoccupazione, di una riflessione. Come avere un diario pubblico da scrivere assieme e da leggere anche con calma a distanza di tempo.
E' un po' come camminare insieme per un pezzo di strada tenendosi per mano.

Loro non lo sanno, ma a Patrizia, Giuliano, Giulia e Francesca devo molto dei miei pensieri recenti e anche qualche approfondimento inatteso e benvenuto.


Gli uomini più tremendi: quelli che sanno tutto e ci credono.
Elias Canetti
da PensieriParole



venerdì 20 febbraio 2015

ode al giorno felice (p. neruda)

Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all'ultimo profondo angolino del cuore.

Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
sono più sterminato dell'erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l'acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l'aria canta come una chitarra.

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto,
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché si,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l'erba
e la sabbia essere felice con l'aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.

martedì 10 febbraio 2015

#ioleggoperché

Se non avessi letto:

  1. non sarei mai potuto scappare insieme a D'Artagnan per sfuggire alla vendetta di Richelieu;
  2. non avrei mai potuto percorrere ventimila leghe sotto i mari con il Capitano Nemo a bordo del Nautilus;
  3. non avrei indagato con Ricciardi tra le pieghe oscure dell'anima;
  4. non avrei potuto ammazzare un monaco;
  5. non sarei stato sulla spiaggia di Troia quando Priamo ordinò di fare entrare il cavallo.
  6. non avrei mai compreso quanto bello e importante possa essere stato governare l'impero più grande e ricco dell'antichità;
  7. non avrei mai viaggiato con Marco Polo attraverso le città invisibili;
  8. non mi sarei mai chiesto cosa stesse scrivendo sulla sabbia;
  9. non sarei stato con Momo a guardare la vita davanti a me, a noi;
  10. non avrei mai potuto leggere una storia ai miei figli.

Ma c'è un solo motivo, in fondo: io leggo, noi leggiamo, perchè non è possibile non leggere. Sarebbe un po' come morire.

lunedì 2 febbraio 2015

cattiva amministrazione (m. corsale)

Va ricordato che una delle radici della cattiva amministrazione, della burocratizzazione intesa in senso deteriore, consiste proprio nella pretesa di molti cattivi funzionari di limitarsi ad "applicare" le norme: essi così facendo esercitano la loro discrezionalità in maniera non consapevole e comunque non orientata alla risoluzione dei problemi che sono appunto di competenza dell'amministrazione e sono la ragione stessa della sua esistenza, bensì orientata unicamente all'illusorio e mistificante adempimento delle disposizioni ricevute dall'alto.

M. Corsale

giovedì 29 gennaio 2015

this hard land (b. springsteen)

Hey there mister can you tell me what happened to the seeds I've sown
Can you give me a reason sir as to why they've never grown
They've just blown around from town to town
Till they're back out on these fields
Where they fall from my hand
Back into the dirt of this hard land

Now me and my sister from Germantown
We did ride
We made our bed sir from the rock on the mountainside
We been blowin' around from town to town
Lookin' for a place to stand
Where the sun burst through the cloud
To fall like a circle
Like a circle of fire down on this hard land

Now even the rain it don't come 'round
It don't come 'round here no more
And the only sound at night's the wind
Slammin' the back porch door
It just stirs you up like it wants to blow you down
Twistin' and churnin' up the sand
Leavin' all them scarecrows lyin' face down
Face down in the dirt of this hard land

From a building up on the hill
I can hear a tape deck blastin' "Home on the Range"
I can see them Bar-M choppers
Sweepin' low across the plains
It's me and you Frank we're lookin' for lost cattle
Our hooves twistin' and churnin' up the sand
We're ridin' in the whirlwind searchin' for lost treasure
Way down south of the Rio Grande
We're ridin' 'cross that river
In the moonlight
Up onto the banks of this hard land


Hey Frank won't ya pack your bags
And meet me tonight down at Liberty Hall
Just one kiss from you my brother
And we'll ride until we fall
We'll sleep in the fields
We'll sleep by the rivers and in the morning
We'll make a plan
Well if you can't make it
Stay hard, stay hungry, stay alive
If you can
And meet me in a dream of this hard land


martedì 27 gennaio 2015

maus (a. spiegelman)

Parlare di un capolavoro è difficile. Però questa è davvero un'opera particolare. 
I libri di storia potranno raccontare dettagli ed evoluzione di una delle più grandi tragedie dell'umanità. Così come i filosofi si interrogheranno ancora per anni sul senso (se c'è) di ciò che è accaduto.

Qui invece il discorso è semplice. Ci sono dei gatti terribili, sanguinari, impietosi, senza alcuna traccia di miseria e compassione che massacrano degli umili e indifesi topi.
Il tutto è raccontato dal figlio di uno dei sopravvissuti che raccoglie i racconti e le impressioni del padre, mentre fa i conti con la figura genitoriale. Raccoglie con attenzione anche le impressioni apparentemente più stupide o addirittura secondarie, che disvelano la reazione e il prezzo pagato ds un uomo normale di fronte all'abisso.

Una grafica in bianco e nero essenziale, lacerante, adeguata ai contenuti.

Dovremmo suggerire a tutti di vedere "Il Pianista", "Schindler's List" e di leggere questo. Son convinto infatti che queste tre opere siano un insieme minimo per provare a capire, a percepire l'orrore che è stato. 
E che speriamo non sia - mai - più.


venerdì 16 gennaio 2015

l'aquilone più bello

Luca 15:11-24

“[Il Signore Gesù] Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane di loro disse al padre: “Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta”. E il padre divise fra loro i beni. 

Pochi giorni dopo il figlio più giovane, raccolta ogni cosa, se ne andò in un paese lontano e là dissipò le sue sostanze vivendo dissolutamente. Ma quando ebbe speso tutto, in quel paese sopraggiunse una grave carestia ed egli cominciò ad essere nel bisogno. Allora andò a mettersi con uno degli abitanti di quel paese, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Ed egli desiderava riempire il ventre con le carrube che i porci mangiavano, ma nessuno gliene dava. Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti lavoratori salariati di mio padre hanno pane in abbondanza, io invece muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi lavoratori salariati.” 
Egli dunque si levò e andò da suo padre. 

Ma mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te e non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai suoi servi: “Portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei sandali ai piedi. Portate fuori il vitello ingrassato e ammazzatelo; mangiamo e rallegriamoci, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. 

E si misero a fare grande festa.”

venerdì 9 gennaio 2015

il male, la satira e la libertà (#jesuischarlie)

Il Male lo compravo, lo leggevo. Spesso erano capolavori, come l falso numero di Paese Sera in cui si annunciava l'arresto di Ugo Tognazzi come capo delle BR. Moltissimi lo ricorderanno.
Altre volte c'erano vignette che a me come cattolico davano fastidio. Alcune le trovavo addirittura fastidiose o blasfeme. 
Ma guai a chi mi avesse detto che Il Male non avrebbe potuto fare satira su determinati argomenti.
Se accettiamo un mondo senza libertà di espressione, è finita. Senza se e senza ma. 
Ora inizieranno le discussioni sulla reciprocità tra Islam e Cristianesimo, sulla necessità del dialogo interconfessionale, ecc. Argomenti complessi, millenari e sempre attuali.
Ma stasera, alla fine di 48 ore da incubo, ci sono in Francia circa 20 persone morte, inclusi i terroristi, e bisogna solo dire, ribadire, gridare che la libertà di espressione è un diritto non negoziabile


(Chi crede in un Dio, qualunque sia il suo nome, preghi per tutti stasera: musulmani, cattolici, ebrei..... 
Stasera siamo morti un po' tutti.)

giovedì 8 gennaio 2015

la retorica dell'antiretorica







Chiederei a @gadlernertweet alcune cose:
1) Cosa intende per napoletanità ?
2) Come definisce una persona intelligente ?
3) Come misura le distanze ?

Considero Gad Lerner un bravo giornalista, ma stavolta credo sia caduto nella retorica dell'antiretorica. 

Peccato.


martedì 6 gennaio 2015

in memoria di un artista

Abbiamo assistito e assisteremo ad un flusso ininterrotto di commenti, necrologi, interviste, edizioni speciali dei tg sulla morte di Pino Daniele. Tutto bello, tutto giusto. 

Ma oggi non posso togliermi dalla mente il fatto che sia stato un artista incompreso dal suo paese.
Pino Daniele è passato in questa vita lasciandoci la sua musica, la sua arte, la sua visione del mondo. Ma nessuno ha mai pensato di mettergli a disposizione un luogo dove poter suonare per giovani che volessero emergere, imparare, migliorarsi.
Lui lo ha fatto, lo sappiamo bene, collaborando sia con i più grandi sia con quelli ancora agli inizi, ma ciò su base personale. 

Mi sarebbe piaciuto vivere in un paese in cui ai figli migliori venisse affidato il riscatto artistico e sociale di altri figli.

Adesso si organizzeranno serate, tributi, retrospettive, cofanetti: il tutto prevedibile e insopportabile per molti versi.  Solito marketing supportato dal marchetting intellettuale.
Ci resterà l'opera immensa di un artista che non è stato capito - volutamente o meno non ha importanza - fino in fondo.
La speranza è nei giornalisti, nei musicisti, nelle persone che lo hanno conosciuto e amato: speriamo che possano evitare che diventi la solita icona o peggio, una nuova macchietta.

giovedì 1 gennaio 2015

cominciare

L'unica gioia al mondo è cominciare. 
È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire.

C. Pavese