C'è questo aver studiato una vita e ritrovarsi sempre con un numero di domande sempre maggiori delle risposte.
C'è questo guardare negli occhi i ragazzi e le ragazze e capire quello che non si può dire: che c'è un dolore, una preoccupazione, una svagatezza. Leggere un sentimento e aspettare l'occasione giusta per aprire un dialogo e dire un semplice: "Sta bene ? Ha bisogno di qualcosa ?".
C'è questo lavorare con persone che non hai mai visto e che ti chiedono come stai; magari capiscono che tu vivi un momento difficile o una gioia, e nel frattempo quello affianco che manco sa se ci sei o meno.
C'è questo usare impropriamente una lingua che conosci senza aver fatto studi specifici, che manca di congiuntivo, che è facile solo apparentemente e nella quale ti viene chiesto (addirittura) di fare un corso.
C'è questo essere per la maggior parte del tempo da soli a lavorare con i propri limiti ed affidarsi sempre ai Maestri, a quelli che hanno tracciato le strade.
C'è questo cercare, quando e come possibile, di costruire quell'attimo magico in cui a lezione si riesce a comunicare qualcosa. Valutando e pesando modi, parole, tempi e sguardi.
C'è poi la difficoltà di spiegare ad altri che la formazione di un individuo è un momento centrale, delicato, fondante e questo non può essere disgiunto da ciò che si ricerca, da ciò che continuamente si cerca di capire, di approfondire.
C'è questo essere convinti che ognuno vale non per quel che ha ma quel che è.
C'è questo custodire certe idee, certi pensieri, e sì, anche certe malinconie associate con il proprio percorso, umano e intellettuale.
C'è, alla fine, questo amore per la strada che si è scelto che ripaga di qualsiasi cosa.
C'è infine quel sorriso che non puoi scambiare con nessuno che compare quando vedi qualcuno tra loro che ha preso tutto quello (poco o molto non ha importanza) che potevi dare e lo ha trasformato unendolo al suo, rendendolo inequivocabilmente unico.
Hominem, dum docent, discunt.
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