Tutte le mattine accompagno i miei ragazzi a scuola. L'ultima fermata che faccio è vicino al liceo; lì c'è, all'angolo, la sede INPS di competenza.
Tutte le mattine, da quando è iniziato l'anno scolastico, vedo la fila di persone che attendono l'apertura delle 8:30. Ho imparato a riconoscere certi volti.
C'è quello sprezzante che è lì e non aspetta altro che avere la carta che gli consentirà di tirare avanti senza far nulla per un altro po'. C'è quello nuovo che visibilmente non è avvezzo a quella situazione e fa domande, parlando in continuazione.
Poi ci sono quelli a capo chino, distratti come se guardassero in una direzione nota solo a loro. Fumano magari e si nascondono dietro quei gesti. Sono volti che in qualche modo ti tornano anche familiari: in provincia sembra che tutti si conoscano.
Sono silenziosi, dimessi, sembra palpabile un senso come di vergogna di quella situazione.
È gente che un lavoro l'aveva e magari era di quelli 'buoni', intendo di quelli con contratti accettabili. Oppure erano ben pagati perchè l'azienda fioriva anno dopo anno.
Poi la crisi.
I primi stipendi non pagati, stai tranquillo le cose si aggiustano, ti pago questo mese a metà per il resto vedremo, forse un po' di ripresa ci aiuterà . . . . e ci si ritrova disoccupato, disoccupata. E poi quando finisce il sussidio che faccio, come farò, ho quasi 50 anni, chi mi prende . . . . le domande, le preoccupazioni si percepiscono, anche se io li vedo dal vetro della mia auto, di
passaggio.
A volte, ma molto raramente, si scorge un sorriso: l'azienda riapre, mio cognato apre un negozio e ha detto che mi prende con lui, ho deciso mi metto a vendere la mozzarella, . . .
Più spesso c'è in quei visi un misto di disperazione malcelata, ma anche uno sguardo ancora animato da un filo tenue di speranza. Forse perchè a casa ci sono bambini che aspettano, altre speranze da non disilludere.
A queste persone dovrei, dovremmo pensare sempre. Perché potremmo essere noi.
Siamo noi.
Tra meno di un mese si vota.
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