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lunedì 30 dicembre 2013
martedì 17 dicembre 2013
i mari che non navigammo (N. Hikmet)
Il più bello dei mari è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto.
Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto.
domenica 15 dicembre 2013
l'utopia è realismo (p. freire)
Mi regalarono per i miei 18 anni, "La pedagogia degli oppressi" di Paulo Freire.
Difficile dire quello che mi provocò la lettura di questo libro. Me lo regalarono i miei due amici gesuiti che tanto mi hanno voluto (e ancora mi vogliono) bene. Al momento lo trovai difficile, ostico in alcuni punti: solo dopo ne capii la forza e la portata.
Erano anni in cui avevo avuto modo di conoscere i temi della teologia della liberazione e addirittura di ascoltare dal vivo, in Italia, la voce di Helder Camara, l'arcivescovo delle favelas.
Ma l'opera di Freire era (ed è ancora) un ragionamento sulla possibilità di un riscatto che possa nascere dalla coscienza di sé e del mondo. E sulle azioni conseguenti.
Parole come 'dialogo', 'educazione', rispetto', e 'speranza' pin questo testo acquistarono una luce nuova che non hanno mai più perso. Scintillano da allora come guide, come fari, ad indicare una delle direzioni, forse l'unica. Il libro di Freire conferisce nuovi significati a queste parole e le trasforma in azioni, singole e collettive.
Tutti siamo in qualche modo oppressi e la nostra liberazione non è un'opzione: è una necessità vitale se vogliamo essere autentici interpreti del nostro futuro.
Mi affido alle parole del Prof. Moacir Modotti che, meglio di quanto saprei fare io, già nel 2002 evidenziavano la potenza dell'approccio di Freire. Ne riporto qui un estratto:
Un’altra categoria basilare nell’ottica freiriana è quella dell’utopia e del sogno. In tempi neo-liberisti, gli ideologi della società di mercato vogliono sostituire l’utopia con il mercato. Secondo Freire, la storia è sempre costruita su un elemento di speranza ed è perciò importante riaffermare la necessità dell’utopia in un momento di “fine della storia” come quello che stiamo vivendo, un momento che offre poche alternative. Freire riteneva primario sognare il nostro mondo possibile e creare una pedagogia che guidasse verso la realizzazione di questo nuovo mondo possibile. Prima di operare nel presente e di rifarsi al passato, la pedagogia sogna una realtà differente, lavora sul futuro con un sogno possibile. La categoria del sogno non è solamente una posizione etica o umanista, è anche una visione scientifica del mondo perché è una concezione legata alla teoria della conoscenza trasformativa della realtà. Il pensiero di Paulo Freire, profondamente umanista e realista, sostiene il bisogno che oggi abbiamo di rianimare certi valori umanisti; la sua teoria della conoscenza, totalmente antropologica, ha un senso molto importante nell’attualità. Chi voglia leggere i suoi testi come interpretazioni tecniche della pedagogia sbaglia, poiché Freire scrisse con un modo che non si riscontra nella pedagogia burocratica, come un poeta che sogna e che cerca nella scienza una ragione per migliorare, una ragione sostenibile per scrivere un’altra realtà. Quando Bartolomeo Bellanova definiva “realismo utopico” l’opera di Paulo Freire, intendeva che non è realista ciò che non è utopico nella visione freiriana, nella quale, in maniera essenziale, l’utopia è realismo. “Bisogna fare oggi quel che è possibile fare oggi, per fare domani quel che è impossibile fare oggi”: ecco il profondo realismo di questa utopia, senza alcuna contraddizione.
A Natale, lo consiglierei a tutti quelli che amano i miei aquiloni.
È un modo per essere più vicini.
Difficile dire quello che mi provocò la lettura di questo libro. Me lo regalarono i miei due amici gesuiti che tanto mi hanno voluto (e ancora mi vogliono) bene. Al momento lo trovai difficile, ostico in alcuni punti: solo dopo ne capii la forza e la portata.
Erano anni in cui avevo avuto modo di conoscere i temi della teologia della liberazione e addirittura di ascoltare dal vivo, in Italia, la voce di Helder Camara, l'arcivescovo delle favelas.
Ma l'opera di Freire era (ed è ancora) un ragionamento sulla possibilità di un riscatto che possa nascere dalla coscienza di sé e del mondo. E sulle azioni conseguenti.
Parole come 'dialogo', 'educazione', rispetto', e 'speranza' pin questo testo acquistarono una luce nuova che non hanno mai più perso. Scintillano da allora come guide, come fari, ad indicare una delle direzioni, forse l'unica. Il libro di Freire conferisce nuovi significati a queste parole e le trasforma in azioni, singole e collettive.
Tutti siamo in qualche modo oppressi e la nostra liberazione non è un'opzione: è una necessità vitale se vogliamo essere autentici interpreti del nostro futuro.
Mi affido alle parole del Prof. Moacir Modotti che, meglio di quanto saprei fare io, già nel 2002 evidenziavano la potenza dell'approccio di Freire. Ne riporto qui un estratto:
Un’altra categoria basilare nell’ottica freiriana è quella dell’utopia e del sogno. In tempi neo-liberisti, gli ideologi della società di mercato vogliono sostituire l’utopia con il mercato. Secondo Freire, la storia è sempre costruita su un elemento di speranza ed è perciò importante riaffermare la necessità dell’utopia in un momento di “fine della storia” come quello che stiamo vivendo, un momento che offre poche alternative. Freire riteneva primario sognare il nostro mondo possibile e creare una pedagogia che guidasse verso la realizzazione di questo nuovo mondo possibile. Prima di operare nel presente e di rifarsi al passato, la pedagogia sogna una realtà differente, lavora sul futuro con un sogno possibile. La categoria del sogno non è solamente una posizione etica o umanista, è anche una visione scientifica del mondo perché è una concezione legata alla teoria della conoscenza trasformativa della realtà. Il pensiero di Paulo Freire, profondamente umanista e realista, sostiene il bisogno che oggi abbiamo di rianimare certi valori umanisti; la sua teoria della conoscenza, totalmente antropologica, ha un senso molto importante nell’attualità. Chi voglia leggere i suoi testi come interpretazioni tecniche della pedagogia sbaglia, poiché Freire scrisse con un modo che non si riscontra nella pedagogia burocratica, come un poeta che sogna e che cerca nella scienza una ragione per migliorare, una ragione sostenibile per scrivere un’altra realtà. Quando Bartolomeo Bellanova definiva “realismo utopico” l’opera di Paulo Freire, intendeva che non è realista ciò che non è utopico nella visione freiriana, nella quale, in maniera essenziale, l’utopia è realismo. “Bisogna fare oggi quel che è possibile fare oggi, per fare domani quel che è impossibile fare oggi”: ecco il profondo realismo di questa utopia, senza alcuna contraddizione.
A Natale, lo consiglierei a tutti quelli che amano i miei aquiloni.
È un modo per essere più vicini.
giovedì 12 dicembre 2013
caro premier (s. settis)
Caro premier, salva l’arte.
Salvatore Settis, l’Espresso, 25.01.2013.
Salvatore Settis, l’Espresso, 25.01.2013.
Al prossimo presidente del Consiglio (chiunque sia). Signor Presidente, negli ultimi anni, principi costituzionali e pratiche politiche consolidate hanno subito una continua erosione. Sotto il peso (o con l’alibi) della crisi economica, tagli spietati hanno colpito la spesa sociale: scuola, cultura, università, tutela del patrimonio e dell’ambiente, ricerca, teatro e musica, sanità. Anche quando i “tagli lineari” (cioè ciechi) dei governi di destra sono stati ribattezzati spending review, in nulla hanno giovato al pubblico interesse: al contrario, hanno ridotto il livello dei servizi ai cittadini, favorito la recessione, incrementato la disoccupazione. Colpendo la dignità di chi (non) lavora e l’equità, questa politica mina alla radice democrazia e libertà.
La nuova legislatura può segnare una svolta, reinnescando quel che da tempo manca al nostro Paese: creazione di competenze, creatività, innovazione, occupazione. Al vertice delle priorità del governo devono essere la cura dell’ambiente e la messa in sicurezza del territorio. E un compito immane, perché questi temi sono stati trascurati per decenni. Ma è un traguardo essenziale, che merita investimenti sostanziosi e può assorbire più forza lavoro di quella per “grandi opere”, spesso invecchiate prima di nascere. Cura dell’ambiente vuoi dire tutela della salute, ma anche tutela del paesaggio, a cominciare dal paesaggio agrario; vuol dire promozione dell’agricoltura di qualità, con potenti ricadute economiche. Vuol dire protezione del patrimonio culturale, e saltato a parole come maggior ricchezza d’Italia, ma di fatto abbandonato al degrado. Questi temi sono fortemente legati fra loro. È perciò urgente agire sulle istituzioni, ponendo fine alla condizione residuale del ministero dei Beni culturali e alla scelta di ministri incapaci. Esso può essere accorpato al ministero dell’Ambiente, per una nuova politica fondata sulla cultura della prevenzione, dal controllo del rischio idrogeologico alla conservazione programmata del patrimonio culturale. Ma anche questa “mossa” sarebbe inefficace, se non si accompagnasse a un torte reinvestimento sui Beni culturali, che quanto meno rimedi al cinico taglio di oltre un miliardo perpetrato da Berlusconi nel 2008. È inoltre necessario il rinnovo del personale, ibernato dal blocco del turn-over, mediante una sana politica di assunzioni per merito, aperta a esperti non solo italiani.
Il futuro di un Paese dipende da tre fattori: lungimiranza degli obiettivi, formazione dei giovani, innesco di energie creative. In Italia da decenni accade il contrario: le riforme della scuola e dell’universirà sono ispirate non da un qualsivoglia progetto culturale, ma dalla decisione di tagliare a ogni costo i bilanci nel segno di un miope neoliberismo. La ricerca di base (la sola che produca esiti, anche economici, di lungo periodo) è accantonata in favore di uno “sguardo corto” che pretende risultati misurabili in tempi brevi; la qualità viene esiliata in favore della quantità. Riportare il futuro al centro della politica rilanciando scuola, università e ricerca mediante accorti investimenti sulla qualità e nuove assunzioni in base al merito: ecco un’altra prioritàdel governo. Altri Paesi, dagli Stati Uniti alla Germania alla Francia, stanno investendo in istruzione e ricerca come mezzi per combattere la crisi economica; in Italia si fa l’opposto. E tempo di rompere questo isolamento, recuperando l’alta tradizione italiana e ricollocando al centro il sistema pubblico di istruzione anziché, come si è fatto negli ultimi anni, depotenziarlo in favore del settore privato.
Questi obiettivi minimi non sono degli optional. Essi corrispondono all’orizzonte dei diritti prescritto dalla Costituzione. La Costituzione, per intenderci, a cui il nuovo governo presterà giuramento, e non una pretesa “Costituzione materiale”. La centralità della cultura è scolpita nell’art.9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Autonomia delle università, centralità della scuola pubblica, diritto allo studio (art. 33–34), libertà di pensiero (art. 21) sono aspetti del diritto alla cultura, essenziale allo sviluppo della personalità individuale (art. 3) e al «progresso spirituale della società»(art.4).
Questi obiettivi minimi non sono degli optional. Essi corrispondono all’orizzonte dei diritti prescritto dalla Costituzione. La Costituzione, per intenderci, a cui il nuovo governo presterà giuramento, e non una pretesa “Costituzione materiale”. La centralità della cultura è scolpita nell’art.9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Autonomia delle università, centralità della scuola pubblica, diritto allo studio (art. 33–34), libertà di pensiero (art. 21) sono aspetti del diritto alla cultura, essenziale allo sviluppo della personalità individuale (art. 3) e al «progresso spirituale della società»(art.4).
Questi principi fondamentali dello Stato sono costantemente disattesi con l’alibi di una “tecnicità” che produce tagli, ma non sviluppo. Devono tornare al centro delle politiche del governo, nel loro nesso con altri diritti essenziali sanciti dalla Costituzione: il diritto alla salute (art. 32), il diritto al lavoro (art. 4), la «pari dignità sociale». (art. 3). La disgregazione, anzi la “macelleria sociale” che è sotto i nostri occhi ha in questi principi il suo rimedio: perché solo se i diritti sono riconosciuti è possibile esigere «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2).
I problemi globali dell’economia e la pessima gestione dei bilanci hanno messo in ombra questi principi, e il “governo tecnico” ha interpretato il proprio mandato alla luce di un precetto che la Costituzione non contiene, anzi nega: la priorità dell’economia sui diritti. È tempo di mettere sul tavolo il contrasto fra la necessità (che tutti riconoscono) di risanamento dei bilanci e l’obbligo (che molti dimenticano) di rispettare la legalità costituzionale. La “ricetta tecnica” di tagliare alla cieca la spesa sociale ha prodotto solo recessione, disoccupazione, disordine. Per uscire da questo vicolo cieco occorre reperire con urgenza nuove risorse, combattendo con fatti e non parole l’enorme evasione fiscale: 142,47 miliardi di euro di tasse non pagare nel solo 2011 (dati Confcommercio). Recuperandone almeno la metà, si potrebbe cominciare a sanare il debito pubblico e investire in scuola, ricerca, patrimonio, sanità, innescando processi virtuosi di stimolo della creatività e dell’economia. Una sana spending review dovrebbe cancellare spese vane o dannose, a cominciare dal ponte sullo Stretto e da altre “grandi opere”, dall’acquisto insensato di aerei da guerra e sommergibili, da interventi onerosi e fallimentari come il “salvataggio” Alitalia.
Qualificare la spesa capovolgendo le priorità dei governi di questa legislatura è il primo passo verso un rinnovato ruolo dell’Italia in Europa. Per non essere a rimorchio degli gnomi delle Borse, l’Italia deve fare appello alle enormi energie creative dei cittadini, che hanno nella nostra storia, arte, cultura il loro inesauribile tesoro. È un “conto in banca” che non è quotato in Borsa, ma vale più di qualsiasi spread. Dimenticarlo è delittuoso, anche perché condanna l’Italia a un ruolo gregario indegno delle sue potenzialità. Promuoverloè necessario, per rilanciare un’idea di Stato-comunità che costruisce e difende i diritti delle generazioni future. La Costituzione non va cambiata, va riletta alla luce del presente, come la Carta della nostra identità culturale. Perché, molti economisti oggi lo riconoscono, la distruzione dell’identità storica disgrega la società e ne riduce la produttività, mentre ogni “crescita endogena” si fonda sul pieno recupero dell’autocoscienza culturale delle comunità. Uno sguardo lungimirante, una consapevole capacità di futuro: questo, signor presidente, gli italiani aspettano dal nuovo governo.
mercoledì 4 dicembre 2013
un anno fa
Un anno fa misi il primo post.
Si chiamava "un buon inizio".
Ebbi (e c'è ancora) una madrina, @monicarbedana, che mi lasciò un augurio, auspicio graditissimo.
Da allora 15000 visite. Non so se sono tante o poche: a me sembrano un'enormità.
È faticoso tenere questo tipo di relazioni digitali, ma anche molto piacevole in alcuni momenti. Si ha l'impressione di non essere soli e di mettere a disposizione qualcosa di sé.
La fatica nasce dal fatto che anche qui è necessaria una cura. Non mi piace essere superficiale, approssimato. I caratteri, le foto, i temi, tutto dovrebbe essere scelto e suggerito con una realizzazione che sia pure all'interno di formati standard, dovrebbe evidenziare e far percepire il lavoro che c'è dietro.
Ho messo qui, in questi mesi, ciò che mi piace e che ha solleticato la mia attenzione, la mia rabbia, la mia felicità, il mio stupore. Che poi sono i libri che ho letto, la musica che ascolto (e che canto da solo in macchina), le foto che ho scattato negli anni, le considerazioni su questo strano paese nel quale viviamo.
L'interazione con twitter è fondamentale. Senza il volatile azzurro non credo che sarei mai riuscito a farmi leggere da qualcuno.
Ci sono stati momenti in cui questo piccolo blog ha fatto rimbalzare contenuti che arrivavano da voci molto più autorevoli, oppure è servito semplicemente ad amplificare notizie poco note. Di questo aspetto sono particolarmente contento.
Posso solo ringraziare quanto tra voi hanno avuto modo di apprezzare le piccole cose che suggerisco. Non so per quanto tempo andrò avanti ma ci proverò.
Lasciatemi dedicare la rosa fotografata stamattina ad Antonella: lei sa il perché.
Si chiamava "un buon inizio".
Ebbi (e c'è ancora) una madrina, @monicarbedana, che mi lasciò un augurio, auspicio graditissimo.
Da allora 15000 visite. Non so se sono tante o poche: a me sembrano un'enormità.
È faticoso tenere questo tipo di relazioni digitali, ma anche molto piacevole in alcuni momenti. Si ha l'impressione di non essere soli e di mettere a disposizione qualcosa di sé.
La fatica nasce dal fatto che anche qui è necessaria una cura. Non mi piace essere superficiale, approssimato. I caratteri, le foto, i temi, tutto dovrebbe essere scelto e suggerito con una realizzazione che sia pure all'interno di formati standard, dovrebbe evidenziare e far percepire il lavoro che c'è dietro.
Ho messo qui, in questi mesi, ciò che mi piace e che ha solleticato la mia attenzione, la mia rabbia, la mia felicità, il mio stupore. Che poi sono i libri che ho letto, la musica che ascolto (e che canto da solo in macchina), le foto che ho scattato negli anni, le considerazioni su questo strano paese nel quale viviamo.
L'interazione con twitter è fondamentale. Senza il volatile azzurro non credo che sarei mai riuscito a farmi leggere da qualcuno.
Ci sono stati momenti in cui questo piccolo blog ha fatto rimbalzare contenuti che arrivavano da voci molto più autorevoli, oppure è servito semplicemente ad amplificare notizie poco note. Di questo aspetto sono particolarmente contento.
Posso solo ringraziare quanto tra voi hanno avuto modo di apprezzare le piccole cose che suggerisco. Non so per quanto tempo andrò avanti ma ci proverò.
Lasciatemi dedicare la rosa fotografata stamattina ad Antonella: lei sa il perché.
mercoledì 27 novembre 2013
quelli che
quelli che il mio partito è a vocazione maggioritaria
quelli che l'AIDS è una falsa notizia
quelli che tagliano i fondi alle famiglie di disabili
quelli che io a B. non la darò mai
quelli che chiedono cosa sono 135 donne uccise su 60 milioni di italiani
quelli che fanno il plastico della casa dell'omicidio
quelli che B. era sotto di lei mentre l'altra ...
quelli che i dati sul cancro non li puoi presentare perchè non sei autorizzato
quelli che ogni due anni cambiano i testi scolastici
quelli che in 40 ore ho preso l'abilitazione all'insegnamento della lingua inglese
quelli che il referendum sull'acqua pubblica non significa nulla
quelli che mi hanno comprato casa a mia insaputa
quelli che voto D. perchè è intelligente
quelli che voto C. perchè è un moderato
quelli che voto G. perchè se ne devono andare tutti
quelli che voto B. perchè a suo modo è un rivoluzionario
quelli che il tunnel del neutrino
quelli che si aumentano le stock-option mentre l'azienda fallisce
quelli che la camorra è in Campania e la Ndrangheta è in Calabria
quelli che si fa ma non si dice
quelli che benpensano
quelli che hanno messo gli assorbitori dinamici di vibrazione rotti nelle nuove costruzioni antisismiche
quelli che le new town
quelli che non mi hanno lasciato fare le riforme che volevo
quelli che poi dopo mi dimetto e vado in Africa
quelli che bisognerà rivedere la reversibilità delle pensioni
quelli che vorrei un posto in senato anche per mia moglie
quelli che mi faccio l'Università privata
quelli che mi prendo la laurea in Romania
quelli che con la bandiera mi pulisco il sedere
quelli che mio cognato ha la casa a Montecarlo
quelli che sono miei amici di famiglia
quelli che dammi il cartellino che lo timbro anche per te
quelli che oggi prendo una giornata con la legge 104 anche se mia madre abita a 200 km
quelli che non mi compete
quelli che non conosco l'argomento ma vorrei intervenire lo stesso
quelli che bisogna fare le riforme
quelli che il problema è un altro
quelli che una nuova legge elettorale è improcrastinabile
quelli che i giorni dedicati ai disabili devono essere conteggiati prima della pensione
quelli che ho cumulato quattro pensioni perchè mi spettavano
quelli che la ricevuta non te la posso fare perchè
quelli che in questo reparto di terapia intensiva sbatto le porte come e quando voglio
quelli che nel bando di gara non era richiesto di analizzare se il processo di riciclo del rifiuto fosse corretto
quelli che con i proventi del libro ho comprato una casa a mia figlia
quelli che l'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio
quelli che primus super pares
quelli che erano cene eleganti
quelli che avevo al telefono il premier turco
quelli che ce lo chiede l'Europa
quelli che la sinistra governa i mezzi d'informazione
quelli che io non ho mai smesso di essere democristiano
quelli che la padania
quelli che il debito pubblico è aumentato ma l'ho già trovato altissimo
quelli che se non ci fosse il sud sarebbe la prima potenza economica d'Europa
quelli che il sud ha bisogno di infrastrutture e sgravi fiscali
quelli che da grande voglio fare il medico perchè è l'unica possibilità di fare soldi studiando
quelli che la biblioteca alle sei di sera chiude altrimenti dobbiamo pagare lo straordinario
quelli che tutti devono pagare la stessa quota per la refezione
quelli che Rita Levi Montalcini è una p.
quelli che i giovani dovranno costruirsi da soli il loro futuro
quelli che ti pago 500 Euro al mese con p.iva. e ringraziami che c'ho la fila dietro la porta
quelli che la barca l'ho intestata ad una società in Lussemburgo come mi ha detto il commercialista
quelli che "ma tu non scarichi nulla ?"
basta
quelli che l'AIDS è una falsa notizia
quelli che tagliano i fondi alle famiglie di disabili
quelli che io a B. non la darò mai
quelli che chiedono cosa sono 135 donne uccise su 60 milioni di italiani
quelli che fanno il plastico della casa dell'omicidio
quelli che B. era sotto di lei mentre l'altra ...
quelli che i dati sul cancro non li puoi presentare perchè non sei autorizzato
quelli che ogni due anni cambiano i testi scolastici
quelli che in 40 ore ho preso l'abilitazione all'insegnamento della lingua inglese
quelli che il referendum sull'acqua pubblica non significa nulla
quelli che mi hanno comprato casa a mia insaputa
quelli che voto D. perchè è intelligente
quelli che voto C. perchè è un moderato
quelli che voto G. perchè se ne devono andare tutti
quelli che voto B. perchè a suo modo è un rivoluzionario
quelli che il tunnel del neutrino
quelli che si aumentano le stock-option mentre l'azienda fallisce
quelli che la camorra è in Campania e la Ndrangheta è in Calabria
quelli che si fa ma non si dice
quelli che benpensano
quelli che hanno messo gli assorbitori dinamici di vibrazione rotti nelle nuove costruzioni antisismiche
quelli che le new town
quelli che non mi hanno lasciato fare le riforme che volevo
quelli che poi dopo mi dimetto e vado in Africa
quelli che bisognerà rivedere la reversibilità delle pensioni
quelli che vorrei un posto in senato anche per mia moglie
quelli che mi faccio l'Università privata
quelli che mi prendo la laurea in Romania
quelli che con la bandiera mi pulisco il sedere
quelli che mio cognato ha la casa a Montecarlo
quelli che sono miei amici di famiglia
quelli che dammi il cartellino che lo timbro anche per te
quelli che oggi prendo una giornata con la legge 104 anche se mia madre abita a 200 km
quelli che non mi compete
quelli che non conosco l'argomento ma vorrei intervenire lo stesso
quelli che bisogna fare le riforme
quelli che il problema è un altro
quelli che una nuova legge elettorale è improcrastinabile
quelli che i giorni dedicati ai disabili devono essere conteggiati prima della pensione
quelli che ho cumulato quattro pensioni perchè mi spettavano
quelli che la ricevuta non te la posso fare perchè
quelli che in questo reparto di terapia intensiva sbatto le porte come e quando voglio
quelli che nel bando di gara non era richiesto di analizzare se il processo di riciclo del rifiuto fosse corretto
quelli che con i proventi del libro ho comprato una casa a mia figlia
quelli che l'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio
quelli che primus super pares
quelli che erano cene eleganti
quelli che avevo al telefono il premier turco
quelli che ce lo chiede l'Europa
quelli che la sinistra governa i mezzi d'informazione
quelli che io non ho mai smesso di essere democristiano
quelli che la padania
quelli che il debito pubblico è aumentato ma l'ho già trovato altissimo
quelli che se non ci fosse il sud sarebbe la prima potenza economica d'Europa
quelli che il sud ha bisogno di infrastrutture e sgravi fiscali
quelli che da grande voglio fare il medico perchè è l'unica possibilità di fare soldi studiando
quelli che la biblioteca alle sei di sera chiude altrimenti dobbiamo pagare lo straordinario
quelli che tutti devono pagare la stessa quota per la refezione
quelli che Rita Levi Montalcini è una p.
quelli che i giovani dovranno costruirsi da soli il loro futuro
quelli che ti pago 500 Euro al mese con p.iva. e ringraziami che c'ho la fila dietro la porta
quelli che la barca l'ho intestata ad una società in Lussemburgo come mi ha detto il commercialista
quelli che "ma tu non scarichi nulla ?"
basta
sabato 23 novembre 2013
la necessità di una piazza
Ieri, 22/11/2013, Blowin' the web di Cotroneo, su Sette del Corriere della Sera, suggeriva ancora una volta un tema centrale della modernità, o meglio, della post-modernità: l'assenza del tempo e del cammino.
Si ricordava che viviamo, grazie all'evoluzione tecnologica, in un mondo nel quale il tempo è un eterno presente e dove le generazioni non sono più distinguibili. Data l'assenza del tempo, il padre non potrà raccontare al figlio ciò che ha vissuto perché entrambi condividono un tempo, falso, che non li differenzia più.
Cotroneo attribuisce ciò anche al fatto che non ci sono più "cammini"; è difficile delineare dei percorsi individuali che poi vanno raccontati, comunicati e assimilati. I rapporti tra le persone avvengono in una piazza virtuale (web, tv, social) dove si sta tutti insieme e nello stesso istante tutti dicono le stesse cose. A mente fredda è un inferno che neanche Dante avrebbe immaginato così crudele.
Ieri sera, per quelle coincidenze alle quali sono affezionato, sono andato a sentire la presentazione di un saggio che si preannuncia molto interessante: "La questione giovanile bella società post-moderna" di Claudio Marotti (Ed Aguaplano). L'analisi che Claudio ci ha presentato nelle due ore che ha avuto a disposizione è stata semplice e lineare. La si può riassumere con il fatto che in pochi si sono accorti della mutazione antropologica avvenuta in pochi anni e che ha radicalmente modificato alla radice certi prerogative dell'essere umano. Claudio ha ricondotto la questione giovanile all'interno di questa mutazione antropologica quasi come un corollario.
Non voglio fare il sociologo da quattro soldi ma entrambe le voci, in modi e tempi diversi, raccontano la stessa cosa: l'inadeguatezza di modelli culturali che surrogano, per sete di profitto e/o semplicemente per ignoranza, l'essenza degli individui.
Credo, personalmente, che la situazione italiana sia più grave che in altri paese. Scontiamo anche qui un ritardo enorme. Nei paesi del nord-europa, ma anche in Spagna, i consessi civici hanno riformulato i paradigmi delle architetture cittadine, rimettendo al centro la possibilità di un incontro reale. La necessità di uno spazio fisico nel quale (ri)trovarsi è divenuta vitale. Nel nostro paese, da questo punto di vista, il divario tra nord e sud è ancora più forte di quello industriale e tecnologico.
Le città del centro-nord conservano in parte le loro piazze fisiche dove resistono bar, librerie; resistono luoghi dove è possibile incontrarsi. Qui al Sud, per larga parte il centro di aggregazione è il supermercato o il centro commerciale.
Lo spaesamento all'interno di questi luoghi lo conosciamo tutti: ciò che abbiamo sottovalutato e la ns trasformazione come individui quando messi in questa realtà.
La risposta non potrà che essere un nuovo modello culturale che rimetta al centro la persona. E benvenuto questo papa allora, che sta dando il via alla riformulazione di alcuni concetti che credevamo dimenticati e che vanno proprio in questa direzione.
Da dove si parte ? Non ho risposte certe, figuriamoci, ma credo che il lavoro grosso sia degli architetti e dei musicisti.
Agli architetti, gestori di volumi chiusi e aperti come li definiva un mio compianto professore, dovrebbe essere demandato il progetto, la concezione di nuove piazze, di nuovi centri, che non siano solo il posto dove bere un caffè e comprare il giornale ma diventino stabilmente i luoghi in cui si possa svolgere la vita civica e culturale di una comunità, di un territorio.
Ai musicisti, dispensatori di una cultura che supera le possibili divisioni della lingua parlata, dovrebbe essere affidato la concezione di programmi culturali che in queste nuove piazze fissino appuntamenti che le identifichino e che le conferiscano il ruolo di collante.
Pensiamo al lavoro del Maestro Abreu che dal Venezuela si è allargato al mondo.
I social, le piazze virtuali, il web si dovranno/potranno integrare in questi spazi fisici senza che ne prendano definitivamente il sopravvento. Realtà del genere già esistono in Francia e in Belgio: non parlo di cose impossibili. Esistono anche all'interno di grandi città, come i programmi di riqualificazione del Marais a Parigi.
Ci piaccia o meno, il riappropriarsi del tempo e dello spazio, è la battaglia che dobbiamo combattere.
Si ricordava che viviamo, grazie all'evoluzione tecnologica, in un mondo nel quale il tempo è un eterno presente e dove le generazioni non sono più distinguibili. Data l'assenza del tempo, il padre non potrà raccontare al figlio ciò che ha vissuto perché entrambi condividono un tempo, falso, che non li differenzia più.
Cotroneo attribuisce ciò anche al fatto che non ci sono più "cammini"; è difficile delineare dei percorsi individuali che poi vanno raccontati, comunicati e assimilati. I rapporti tra le persone avvengono in una piazza virtuale (web, tv, social) dove si sta tutti insieme e nello stesso istante tutti dicono le stesse cose. A mente fredda è un inferno che neanche Dante avrebbe immaginato così crudele.
Ieri sera, per quelle coincidenze alle quali sono affezionato, sono andato a sentire la presentazione di un saggio che si preannuncia molto interessante: "La questione giovanile bella società post-moderna" di Claudio Marotti (Ed Aguaplano). L'analisi che Claudio ci ha presentato nelle due ore che ha avuto a disposizione è stata semplice e lineare. La si può riassumere con il fatto che in pochi si sono accorti della mutazione antropologica avvenuta in pochi anni e che ha radicalmente modificato alla radice certi prerogative dell'essere umano. Claudio ha ricondotto la questione giovanile all'interno di questa mutazione antropologica quasi come un corollario.
Non voglio fare il sociologo da quattro soldi ma entrambe le voci, in modi e tempi diversi, raccontano la stessa cosa: l'inadeguatezza di modelli culturali che surrogano, per sete di profitto e/o semplicemente per ignoranza, l'essenza degli individui.
Credo, personalmente, che la situazione italiana sia più grave che in altri paese. Scontiamo anche qui un ritardo enorme. Nei paesi del nord-europa, ma anche in Spagna, i consessi civici hanno riformulato i paradigmi delle architetture cittadine, rimettendo al centro la possibilità di un incontro reale. La necessità di uno spazio fisico nel quale (ri)trovarsi è divenuta vitale. Nel nostro paese, da questo punto di vista, il divario tra nord e sud è ancora più forte di quello industriale e tecnologico.
Le città del centro-nord conservano in parte le loro piazze fisiche dove resistono bar, librerie; resistono luoghi dove è possibile incontrarsi. Qui al Sud, per larga parte il centro di aggregazione è il supermercato o il centro commerciale.
Lo spaesamento all'interno di questi luoghi lo conosciamo tutti: ciò che abbiamo sottovalutato e la ns trasformazione come individui quando messi in questa realtà.
La risposta non potrà che essere un nuovo modello culturale che rimetta al centro la persona. E benvenuto questo papa allora, che sta dando il via alla riformulazione di alcuni concetti che credevamo dimenticati e che vanno proprio in questa direzione.
Da dove si parte ? Non ho risposte certe, figuriamoci, ma credo che il lavoro grosso sia degli architetti e dei musicisti.
Agli architetti, gestori di volumi chiusi e aperti come li definiva un mio compianto professore, dovrebbe essere demandato il progetto, la concezione di nuove piazze, di nuovi centri, che non siano solo il posto dove bere un caffè e comprare il giornale ma diventino stabilmente i luoghi in cui si possa svolgere la vita civica e culturale di una comunità, di un territorio.
Ai musicisti, dispensatori di una cultura che supera le possibili divisioni della lingua parlata, dovrebbe essere affidato la concezione di programmi culturali che in queste nuove piazze fissino appuntamenti che le identifichino e che le conferiscano il ruolo di collante.
Pensiamo al lavoro del Maestro Abreu che dal Venezuela si è allargato al mondo.
I social, le piazze virtuali, il web si dovranno/potranno integrare in questi spazi fisici senza che ne prendano definitivamente il sopravvento. Realtà del genere già esistono in Francia e in Belgio: non parlo di cose impossibili. Esistono anche all'interno di grandi città, come i programmi di riqualificazione del Marais a Parigi.
Ci piaccia o meno, il riappropriarsi del tempo e dello spazio, è la battaglia che dobbiamo combattere.
lunedì 11 novembre 2013
fuoco
Con le macchine fotografiche è sempre conveniente usare la messa a fuoco manuale. Tipicamente, si 'sfuoca' di parecchio per poi ruotare la meccanica dell'obiettivo con una sensibilità più attenta.
Difficilmente intorno ad una data posizione si lavora di fino perchè potrebbe non cogliersi il dettaglio.
C'è bisogno di allontanarsi da quella posizione, inizialmente accettabile, per raggiungerne invece una più precisa.
Così dovrebbe essere anche con le nostre azioni.
La fotografia è una metafora semplice e potente di ciò che dovremmo fare tutti i giorni. Riesaminare criticamente le scelte prima di renderle definitive, essendo convinti che ciò che facciamo sia giusto.
Anche perchè nulla è mai definitivo e la (auto)critica la si può fare solo allontanandosi, 'sfuocando' e poi rimettendo a fuoco.
Spesso è necessario cambiare anche il punto di vista: fosse anche solo di un passo. Tutto cambia.
Difficilmente intorno ad una data posizione si lavora di fino perchè potrebbe non cogliersi il dettaglio.
C'è bisogno di allontanarsi da quella posizione, inizialmente accettabile, per raggiungerne invece una più precisa.
Così dovrebbe essere anche con le nostre azioni.
La fotografia è una metafora semplice e potente di ciò che dovremmo fare tutti i giorni. Riesaminare criticamente le scelte prima di renderle definitive, essendo convinti che ciò che facciamo sia giusto.
Anche perchè nulla è mai definitivo e la (auto)critica la si può fare solo allontanandosi, 'sfuocando' e poi rimettendo a fuoco.
Spesso è necessario cambiare anche il punto di vista: fosse anche solo di un passo. Tutto cambia.
"It's all out of focus
It's all, baby, so unclear
It's all out of focus
And nothing is revealed"
M. Jagger, Out of focus
mercoledì 6 novembre 2013
aria da capo (Gould esegue Bach)
Uno dei regali più belli che ho mai ricevuto è stato una coppia di CD. Mio fratello mi comprò le esecuzioni delle Variazioni Goldberg BWV 988 di J. S. Bach eseguite da G. Gould.Le esecuzioni erano una del 1955, l'altra del 1981 rimasterizzate per l'occasione dalla Sony.
La prima è questa (l'aria è il secondo brano).
La seconda invece è questa.
Ascoltandole di seguito si sente il racconto che fa Gould della sua vita. Il suono diventa con l'età più rarefatto ma non è triste. Si sente la consapevolezza del tempo passato e di una maturità che sottrae al suono per avvicinarsi, forse, all'idea stessa di suono. La prima esecuzione ci parla di un giovane che vuole conquistare il mondo, la seconda porta con sè lo sguardo di chi sa che i giorni stanno per finire e si affida all'arte per andare verso l'oscuro.
Sublime.
Buon ascolto.
La prima è questa (l'aria è il secondo brano).
La seconda invece è questa.
Ascoltandole di seguito si sente il racconto che fa Gould della sua vita. Il suono diventa con l'età più rarefatto ma non è triste. Si sente la consapevolezza del tempo passato e di una maturità che sottrae al suono per avvicinarsi, forse, all'idea stessa di suono. La prima esecuzione ci parla di un giovane che vuole conquistare il mondo, la seconda porta con sè lo sguardo di chi sa che i giorni stanno per finire e si affida all'arte per andare verso l'oscuro.
Sublime.
Buon ascolto.
sabato 2 novembre 2013
il libro dell'amore proibito (m. desiati)
Non sono stato capace di lasciarlo. Da quando ne ho iniziato la lettura, ho interrotto solo per dormire ed ho finito poco fa.
Una narrazione potente e dolce allo stesso tempo.
Veleno, protagonista maschile, difende l'amore e la bellezza del suo amore a costo di tutto e tutti. Contrappone questa bellezza, la bellezza che solo gli adolescenti sanno cogliere, alla giustizia che è un qualcosa che appartiene agli adulti. Una giustizia in cui i comportamenti vanno inquadrati, recintati, incasellati. Apparentemente si vuole capire perchè si sono create certe situazioni 'incresciose' ma nessuno in verità vuole veramente vedere. Perchè spesso vedere vuol dire vedersi.
Veleno è un Holden Caulfield che s'innamora di Donatella, sua insegnante. A questo amore consacra la sua vita, in modo lento ma inesorabilmente determinato.
Lo so che il paragone con Salinger è forte ma è ciò che penso. L'adolescenza è diventata anch'esso uno stereotipo perché è facile descriverla male. Perchè può far molto male descriverla bene.
Ancor più difficile è pensare che in quell'adolescenza si possa cristallizzare un momento perfetto che giustifica tutto il resto e che necessariamente non può più fregarsene di ciò che deve essere.
Veleno e Donatella sono quindi lo schiaffo in faccia al mondo di chi ama e sa che al di fuori dell'amore nulla ha più alcun senso. La 'giustizia', la 'famiglia', la stessa 'amicizia' restano parole vuote se non attraversate dall'amore sincero che loro vivono e al quale non vorranno mai rinunciare.
Alcune pagine di questo libro sono fortissime ed è difficile trattenere sorrisi e lacrime.
Nessuna parola in questo romanzo è superflua o imprecisa.
Ho scritto questo commento a caldo perchè volevo riportare le impressioni vive di chi è ancora con la testa nel libro. Un libro nel quale, alla fine, vorresti entrare e fare il bagno in mare con Nappi, Walter, Veleno e Donatella. Proprio così: giocare a spruzzarsi l'acqua addosso senza preoccuparsi dell'ora e del giorno ma solo guardandosi e ridendo, con la contentezza di ha trovato l'autenticità e non la baratterà più con nessun surrogato.
Buona lettura.
"Non tutte le cose belle sono giuste."
Una narrazione potente e dolce allo stesso tempo.
Veleno, protagonista maschile, difende l'amore e la bellezza del suo amore a costo di tutto e tutti. Contrappone questa bellezza, la bellezza che solo gli adolescenti sanno cogliere, alla giustizia che è un qualcosa che appartiene agli adulti. Una giustizia in cui i comportamenti vanno inquadrati, recintati, incasellati. Apparentemente si vuole capire perchè si sono create certe situazioni 'incresciose' ma nessuno in verità vuole veramente vedere. Perchè spesso vedere vuol dire vedersi.
Veleno è un Holden Caulfield che s'innamora di Donatella, sua insegnante. A questo amore consacra la sua vita, in modo lento ma inesorabilmente determinato.
Lo so che il paragone con Salinger è forte ma è ciò che penso. L'adolescenza è diventata anch'esso uno stereotipo perché è facile descriverla male. Perchè può far molto male descriverla bene.
Ancor più difficile è pensare che in quell'adolescenza si possa cristallizzare un momento perfetto che giustifica tutto il resto e che necessariamente non può più fregarsene di ciò che deve essere.
Veleno e Donatella sono quindi lo schiaffo in faccia al mondo di chi ama e sa che al di fuori dell'amore nulla ha più alcun senso. La 'giustizia', la 'famiglia', la stessa 'amicizia' restano parole vuote se non attraversate dall'amore sincero che loro vivono e al quale non vorranno mai rinunciare.
Alcune pagine di questo libro sono fortissime ed è difficile trattenere sorrisi e lacrime.
Nessuna parola in questo romanzo è superflua o imprecisa.
Ho scritto questo commento a caldo perchè volevo riportare le impressioni vive di chi è ancora con la testa nel libro. Un libro nel quale, alla fine, vorresti entrare e fare il bagno in mare con Nappi, Walter, Veleno e Donatella. Proprio così: giocare a spruzzarsi l'acqua addosso senza preoccuparsi dell'ora e del giorno ma solo guardandosi e ridendo, con la contentezza di ha trovato l'autenticità e non la baratterà più con nessun surrogato.
Buona lettura.
"Non tutte le cose belle sono giuste."
giovedì 31 ottobre 2013
felliniana minima
Nulla si sa, tutto si immagina.
Le notti di Cabiria e La strada di Fellini sono film in piena sintonia con lo spirito del cattolicesimo. Credo che oggi guardando un film considerato una volta scandaloso come La dolce vita, si colga in esso il grande grido di sete metafisica, pure nel tragico suicidio dell'intellettuale disperato amico del protagonista.
Ma il primo film che, da giovane, mi ha commosso e mi ha convinto nel cercare di mettere a frutto la mia energia creativa è stato 'La strada', che ho visto lo stesso giorno di 'Sentieri di gloria' di Kubrick. Due film straordinari.
(Donald Sutherland)
(da La voce della Luna, Einaudi, 1990)
L'ultima ripresa de "La nave va" è un punto mai raggiunto da nessun'altra cinematografia al mondo. I miei film sono così pesanti. Lui invece arrivava molto più in profondità saltellando sulla spiaggia.
(Sidney Lumet)
Sono stata io che ho fatto diventare Fellini famoso, non il contrario.
(Anita Ekberg)
(Krzysztof Zanussi)
(Donald Sutherland)
martedì 22 ottobre 2013
il suono di twitter
Ieri ho partecipato, con piacere, al #tweetmob organizzato da #scritturebrevi (Francesca Chiusaroli, @fchiusaroli ).
Si trattava di twittare dalle 18:00 alle 18:30 con i relativi hashtag. Un convertitore digitale (se ho ben capito) si è fatto carico di trasformare il testo dei tweet in suoni.
Il risultato è qui.
In un certo senso è un forte (e riuscito) esperimento di partecipazione sonora collettiva.
Il risultato è molto interessante, ricorda i brani di certi gruppi di musica sperimentale elettronica anni '70 e anche certa fantascienza scevra da effetti speciali ma intensa dal punto di vista di atmosfera e tematiche affrontate.
Non è musica, almeno se con questo termine intendiamo la presenza di parti melodiche e/o armoniche.
Lo definirei un tappeto sonoro costruito su una base broadband, diffusa, come un rumore di fondo.
Su questo tappeto sonoro cadono dei suoni come gocce di pioggia. Toni singoli, piccoli impatti, note chiare, si ergono da un fondo che ha anche un qualcosa di inquietante. Ipnotico.
Ricorda, per certi versi, anche ciò che fu l'esperimento di Music for Airports di Eno, in forma ancora più oscura e sperimentale.
Ascolto questa traccia sonora, di 30 minuti e 21 secondi, come metafora di una vita nella quale su una base di confusione, spesso di smarrimento, di rumore di fondo, è possibile ricavare, scoprire, costruire attimi, istanti di felicità. Momenti in cui il suono è cristallino, riconoscibile, chiaro.
Resta un'immagine sonora complessiva molto forte.
Ogni tweet, ogni goccia, è l'espressione di uno di noi che qualifica quel momento: ognuno apporta il suo contributo. Ognuno.
Buon ascolto.
PS: Un complimento e un grazie a Francesca e al team di @hashbang2sound.
Si trattava di twittare dalle 18:00 alle 18:30 con i relativi hashtag. Un convertitore digitale (se ho ben capito) si è fatto carico di trasformare il testo dei tweet in suoni.
Il risultato è qui.
In un certo senso è un forte (e riuscito) esperimento di partecipazione sonora collettiva.
Il risultato è molto interessante, ricorda i brani di certi gruppi di musica sperimentale elettronica anni '70 e anche certa fantascienza scevra da effetti speciali ma intensa dal punto di vista di atmosfera e tematiche affrontate.
Non è musica, almeno se con questo termine intendiamo la presenza di parti melodiche e/o armoniche.
Lo definirei un tappeto sonoro costruito su una base broadband, diffusa, come un rumore di fondo.
Su questo tappeto sonoro cadono dei suoni come gocce di pioggia. Toni singoli, piccoli impatti, note chiare, si ergono da un fondo che ha anche un qualcosa di inquietante. Ipnotico.
Ascolto questa traccia sonora, di 30 minuti e 21 secondi, come metafora di una vita nella quale su una base di confusione, spesso di smarrimento, di rumore di fondo, è possibile ricavare, scoprire, costruire attimi, istanti di felicità. Momenti in cui il suono è cristallino, riconoscibile, chiaro.
Resta un'immagine sonora complessiva molto forte.
Ogni tweet, ogni goccia, è l'espressione di uno di noi che qualifica quel momento: ognuno apporta il suo contributo. Ognuno.
Buon ascolto.
PS: Un complimento e un grazie a Francesca e al team di @hashbang2sound.
giovedì 10 ottobre 2013
incroci
Mi sono sempre chiesto quale sarebbe stata la sensazione se, trovandomi in metropolitana piuttosto che in un supermercato, avessi avuto accanto una delle persone che seguo su twitter e che mai avrei potuto riconoscere, specie se si usano pseudonimi.
La risposta più semplice è che questa sensazione può non esistere.
Io non posso sapere, ad esempio, che accanto a me c'è una persona a cui ho detto che Pino Daniele mi piace. Forse questa persona ha anche letto anche qualcosa su questo blog, quindi qualcosa di me sia pur di impercettibile sa, ma anche avendomi di fronte non cambierebbe nulla.
Certo ci sono le foto che possono aiutare, ma in alcuni casi sono piccole e volutamente poco definite.
Ma io alle cose semplificate non ho mai creduto.
Girovagando su twitter tra le persone che seguo, mi è saltata agli occhi l'immagine di un'intestazione da poco modificata. Mi sono incuriosito perchè mi è sembrato di riconoscere il posto e le persone.
Poi, quasi non riuscivo a crederci, ho messo a fuoco giorno, occasione e persone e mi sono rivisto in un'immagine scattata poche settimane fa. Poco visibile, certo, ma quella persona dietro il monitor ero (sono) io e io lo posso dire assieme agli altri presenti in quella occasione.
La persona che ha aggiornato questa immagine sul suo profilo twitter non poteva sapere che affianco a lei c'era una di quelle che lei segue su twitter e con cui c'è qualche sporadico scambio.
Allora ?
Allora ora dovrei dire che io quella persona l'avevo guardata per qualche attimo nei giorni precedenti perchè mi sembrava di conoscerla. Dovrei dire che "sentivo" qualcosa.
Ma non vale: troppo facile ora.
Allora adesso c'è una sensazione di spaesamento, confusione, non saprei come definirla bene. È come se un mondo che ritenevo parallelo avesse avuto la possibilità di una connessione casuale.
Siamo giunti entrambi, e inconsapevolmente, a un punto d'incrocio.
A questa persona - che usa uno pseudonimo - dirò che eravamo uno accanto all'altro. Mi sembra corretto così.
Io continuerò a ragionare su questo spaesamento.
PS:
Marzo 2014: La persona in questione aveva abbandonato twitter per un po'. Poi è tornata.
L'immagine in cui siamo entrambi non c'è più.
La risposta più semplice è che questa sensazione può non esistere.
Io non posso sapere, ad esempio, che accanto a me c'è una persona a cui ho detto che Pino Daniele mi piace. Forse questa persona ha anche letto anche qualcosa su questo blog, quindi qualcosa di me sia pur di impercettibile sa, ma anche avendomi di fronte non cambierebbe nulla.
Certo ci sono le foto che possono aiutare, ma in alcuni casi sono piccole e volutamente poco definite.
Ma io alle cose semplificate non ho mai creduto.
Girovagando su twitter tra le persone che seguo, mi è saltata agli occhi l'immagine di un'intestazione da poco modificata. Mi sono incuriosito perchè mi è sembrato di riconoscere il posto e le persone.
Poi, quasi non riuscivo a crederci, ho messo a fuoco giorno, occasione e persone e mi sono rivisto in un'immagine scattata poche settimane fa. Poco visibile, certo, ma quella persona dietro il monitor ero (sono) io e io lo posso dire assieme agli altri presenti in quella occasione.
La persona che ha aggiornato questa immagine sul suo profilo twitter non poteva sapere che affianco a lei c'era una di quelle che lei segue su twitter e con cui c'è qualche sporadico scambio.
Allora ?
Allora ora dovrei dire che io quella persona l'avevo guardata per qualche attimo nei giorni precedenti perchè mi sembrava di conoscerla. Dovrei dire che "sentivo" qualcosa.
Ma non vale: troppo facile ora.
Allora adesso c'è una sensazione di spaesamento, confusione, non saprei come definirla bene. È come se un mondo che ritenevo parallelo avesse avuto la possibilità di una connessione casuale.
Siamo giunti entrambi, e inconsapevolmente, a un punto d'incrocio.
A questa persona - che usa uno pseudonimo - dirò che eravamo uno accanto all'altro. Mi sembra corretto così.
Io continuerò a ragionare su questo spaesamento.
PS:
Marzo 2014: La persona in questione aveva abbandonato twitter per un po'. Poi è tornata.
L'immagine in cui siamo entrambi non c'è più.
giovedì 3 ottobre 2013
lampedusa
La notte non è mai buia del tutto, ha detto, anche quando si va per mare.
Io le credo, le voglio credere anche se tutte queste stelle mi fanno una certa impressione. Il mare per fortuna è calmissimo e quasi non ci sono onde. Papà quando ci ha accompagnato sulla barca ci ha dato un bacio ciascuno. Uno a mamma, uno a me e uno sulla pancia di mamma dove c'è il fratellino.
Io voglio un fratellino per giocare. Mamma dice che potrebbe essere una sorellina ma io so che è un fratellino. Papà mi ha detto di stare attento a mamma e alla sua pancia. Lui ci raggiungerà tra qualche mese quando avrà messo da parte i soldi anche per il suo viaggio. Mi ha spiegato che l'Italia è un grande paese dove potremo ricominciare una vita tutti insieme, senza paura.
Mi ha detto che anche se non funziona tutto benissimo è molto meglio lì che da noi, dove sono nato io. Anche mamma mi ha detto che gli italiani sono come noi: c'è quello bravo, quello antipatico, quello che aiuta tutti, quello che ti guarda sospettoso ....
Quando siamo saliti sulla barca a me sembrava grande ma poi ho capito che eravamo tantissimi a bordo e la barca sembrava essere diventata più piccola.
Si sentiva una puzza fastidiosa ma mamma mi ha detto di non farci caso. Un uomo ci ha fatto sedere per terra vicini. Lei mi tiene la mano e mi sono messo col capo sotto al suo braccio. Ogni tanto mi accarezza. Mamma mi ha detto che Lampedusa è il nome dell'isola dove sbarcheremo e che ancora prima c'è un'isola più piccola che si chiama dei Conigli: quando la vedremo saremo arrivati.
Vorrei avere un grande giardino con tanti conigli.
Avevo pochi giocattoli ma non me ne hanno fatto portare neanche uno con me. Il signore che guida la barca ha preso i soldi di mio padre e poi ci ha detto che non potevamo portare quasi nulla con noi. È molto duro e mi sembra cattivo.
Una borsa con un po' d'acqua e qualcosa da mangiare, questo è quello che abbiamo. Mamma ha anche una foto piccola di papà e ogni tanto la guarda. Sulla barca c'è silenzio; ognuno sembra pensare ai fatti suoi e non ci sono molti bambini. Nessuno ha voglia di parlare.
Ho chiesto a mamma dove saremmo andati una volta arrivati, in quale casa, in quale città, dove avremmo dormito. Mamma mi ha detto che ci sono dei centri dove cercano di aiutare le persone che arrivano dal mare, come noi. Poi si è alzata ed è andata a guardare verso il mare girandosi. L'ho vista che piangeva, ma non le ho fatto capire che l'avevo vista.
Si è venuta a sedere di nuovo vicino a me. Mi ha sorriso di nuovo.
Mi ha detto che è meglio chiudere gli occhi un po' e cercare di riposare. Ha chinato la testa all'indietro e ha socchiuso gli occhi. Io ho fatto la stessa cosa.
Non so quanto abbiamo dormito, forse un'ora, forse pochi minuti, ma qualcuno ora sta gridando.
Una voce nella lingua che conosco dice che si vede l'isola dei Conigli. Tutti cercano di guardare in quella direzione.
Il nostro viaggio è finito.
[Grazie ad Claudia (@angioletto9) per avermi concesso l'uso del suo disegno.]
mercoledì 2 ottobre 2013
lievito
"Dobbiamo essere un lievito di vita e di amore e il lievito è una quantità infinitamente più piccola della massa di frutti, di fiori e di alberi che da quel lievito nascono. Mi pare d’aver già detto prima che il nostro obiettivo non è il proselitismo ma l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza. Dobbiamo ridare speranza ai giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l’amore. Poveri tra i poveri. Dobbiamo includere gli esclusi e predicare la pace. Il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare.".
Estratto del colloquio tra Papa Francesco e Eugenio Scalfari, 01 Ottobre 2013.
venerdì 27 settembre 2013
domenica 22 settembre 2013
terra mia
Comm'è triste, comm'è amaro
Assettarse pe guardà' tutt'e ccose
Tutt'è parole ca niente pònno fa'
Si m'accido ie agg'jettato chellu ppoco 'e libertà
Ca sta' terra, chesta gente 'nu juorno m'adda da'
Terra mia terra mia
comm'è bello a la penzà'
Terra mia terra mia
comm'è bello a la guardà
Nun è overo nun è sempe 'o stesso
Tutt'e juornë po' cagnà'
Ogge è deritto, dimane è stuorto
E chesta vita se ne và
'E vecchie vanno dinto a chiesa
Cu' a curona pe' prià'
E 'a paura 'e chesta morte
Ca nun ce vo' lassà'
Terra mia terra mia
Tu si' chiena 'e libbertà
Terra mia terra mia
I' mò sento 'a libbertà.
Assettarse pe guardà' tutt'e ccose
Tutt'è parole ca niente pònno fa'
Si m'accido ie agg'jettato chellu ppoco 'e libertà
Ca sta' terra, chesta gente 'nu juorno m'adda da'
Terra mia terra mia
comm'è bello a la penzà'
Terra mia terra mia
comm'è bello a la guardà
Nun è overo nun è sempe 'o stesso
Tutt'e juornë po' cagnà'
Ogge è deritto, dimane è stuorto
E chesta vita se ne và
'E vecchie vanno dinto a chiesa
Cu' a curona pe' prià'
E 'a paura 'e chesta morte
Ca nun ce vo' lassà'
Terra mia terra mia
Tu si' chiena 'e libbertà
Terra mia terra mia
I' mò sento 'a libbertà.
rossa lava di fuoco (a. angelone)
Ci sono libri che sono difficili da definire. Questo è uno di quelli.
C'è l'area napoletana, famosa per le sue bellezze, dal Vesuvio a Sorrento, da Positano a Capri. Un fazzoletto d'Italia non grandissimo ma che offre sfumature indimenticabili di mare, di cielo e di verde, in qualsiasi stagione dell'anno.
Ci sono storie d'amore, di quell'amore struggente, oppure fugace, o ancora preludio di vite ed esistenze nuove.
Ci sono ritagli storici, riferimenti alla cronaca civile, mondana e politica degli anni passati.
Ci sono volti noti, quelli più amati, quelli che hanno avuto la capacità ci concentrare l'attenzione dei media e il favore delle persone.
Ci sono episodi noti e meno noti delle vite di chi ebbe il coraggio di mettere l'amore al primo posto sfidando convenzioni e anche di chi si fece soggiogare da queste ultime perdendo banalmente l'ultima possibilità di essere felice. È all'apparenza una passeggiata nelle cronache rosa che invece maschera uno sguardo sull'amore e sul dolore, sentimenti che appartengono. Indagini meticolose, ricerche d'archivio, puntuali ricostruzioni storiche sono in qualche modo perfettamente integrate in scrittura rigorosa che non lascia trapelare alcun giudizio e che usa tutti i registri possibili. L'autrice si guarda bene dal formulare alcun giudizio e si preoccupa di dare al lettore la più nitida visione di certe storie che tutti conosciamo ma che andavano rivisitate nel profondo e soprattutto osservate con uno sguardo attento e amorevole.
Questo è un libro di amori e sull'amore. Ma ancora di più lo è sulle scelte che si fanno (o non si fanno) per quest'amore e che, nel bene e nel male, conducono la vita di ognuno di noi su certi binari.
È un libro che ci ricorda che baciarsi e amarsi a Punta Tragara in una notte stellata è facile.
Più difficile è amarsi come se si fosse sempre a Punta Tragara.
Ci sono libri difficili da definire, ma che hanno una propria bellezza interna e che si lasciano amare lentamente. Questo è uno di quelli.
Buona lettura
C'è l'area napoletana, famosa per le sue bellezze, dal Vesuvio a Sorrento, da Positano a Capri. Un fazzoletto d'Italia non grandissimo ma che offre sfumature indimenticabili di mare, di cielo e di verde, in qualsiasi stagione dell'anno.
Ci sono storie d'amore, di quell'amore struggente, oppure fugace, o ancora preludio di vite ed esistenze nuove.
Ci sono ritagli storici, riferimenti alla cronaca civile, mondana e politica degli anni passati.
Ci sono volti noti, quelli più amati, quelli che hanno avuto la capacità ci concentrare l'attenzione dei media e il favore delle persone.
Ci sono episodi noti e meno noti delle vite di chi ebbe il coraggio di mettere l'amore al primo posto sfidando convenzioni e anche di chi si fece soggiogare da queste ultime perdendo banalmente l'ultima possibilità di essere felice. È all'apparenza una passeggiata nelle cronache rosa che invece maschera uno sguardo sull'amore e sul dolore, sentimenti che appartengono. Indagini meticolose, ricerche d'archivio, puntuali ricostruzioni storiche sono in qualche modo perfettamente integrate in scrittura rigorosa che non lascia trapelare alcun giudizio e che usa tutti i registri possibili. L'autrice si guarda bene dal formulare alcun giudizio e si preoccupa di dare al lettore la più nitida visione di certe storie che tutti conosciamo ma che andavano rivisitate nel profondo e soprattutto osservate con uno sguardo attento e amorevole.
Questo è un libro di amori e sull'amore. Ma ancora di più lo è sulle scelte che si fanno (o non si fanno) per quest'amore e che, nel bene e nel male, conducono la vita di ognuno di noi su certi binari.
È un libro che ci ricorda che baciarsi e amarsi a Punta Tragara in una notte stellata è facile.
Più difficile è amarsi come se si fosse sempre a Punta Tragara.
Ci sono libri difficili da definire, ma che hanno una propria bellezza interna e che si lasciano amare lentamente. Questo è uno di quelli.
Buona lettura
venerdì 20 settembre 2013
il commissario ricciardi (m. de giovanni)
Qualche anno fa la mia cara amica Geppina mi suggerì di leggere l'esordio letterario di un autore che, secondo lei, avrebbe fatto rumore e clamore. Sapendo che mi piacevano i gialli e le atmosfere noir, mi consigliò quello che sarebbe stato il primo libro della serie del Commissario Ricciardi.
È chiaro che ora è difficile parlare di un libro, di una serie di libri, che hanno avuto tanto successo, ma ho un legame forte e particolare con questi libri.
Potrei parlare del modo con cui personaggi sono descritti, di brani e passaggi che sembrano fotografie in bianco e nero, di una fase investigativa a dir poco suggestiva grazie a questo rapporto con le 'anime', ciò che viene definito il fatto.
Ma sostanzialmente mi restò un'idea fortissima in mente: Ricciardi è Napoli.
L'incarnazione cioè di un qualcosa che è ben lontano dallo stereotipo pizza, mandolino e anema' e core. Ma che invece è il rispetto per la diversità, la sospensione del giudizio, l'esercizio costante della pietà e della misericordia, la comprensione degli errori come parte di un'umanità in cui nessuno è senza peccato.
Sentimenti che a Napoli sono spesso mascherati dietro lo sberleffo, l'ostentazione e l'esternazione di certi atteggiamenti estremi, come Pulcinella appunto.
Negli anni la città è cambiata, forse in peggio, ma nei racconti di De Giovanni si sente ancora il rumore, anzi il suono di quella città dove ora i munacielli, le anime, usanze antiche di tradizione millenaria, le stesse canzoni, sono spesso zittiti dal traffico, dai centri commerciali naturali, da una specie di movida continua.
Quel suono, secondo me molti lo portano ancora dentro. De Giovanni forse ne è un custode, tra gli ultimi. Ricciardi è la rivalsa di Napoli contro una presunta modernità che ne sta cancellando lentamente e inesorabilmente l'identità.
Se volete capire Napoli, partire dal Commissario Ricciardi.
Buona lettura
È chiaro che ora è difficile parlare di un libro, di una serie di libri, che hanno avuto tanto successo, ma ho un legame forte e particolare con questi libri.
Potrei parlare del modo con cui personaggi sono descritti, di brani e passaggi che sembrano fotografie in bianco e nero, di una fase investigativa a dir poco suggestiva grazie a questo rapporto con le 'anime', ciò che viene definito il fatto.
Ma sostanzialmente mi restò un'idea fortissima in mente: Ricciardi è Napoli.
L'incarnazione cioè di un qualcosa che è ben lontano dallo stereotipo pizza, mandolino e anema' e core. Ma che invece è il rispetto per la diversità, la sospensione del giudizio, l'esercizio costante della pietà e della misericordia, la comprensione degli errori come parte di un'umanità in cui nessuno è senza peccato.
Sentimenti che a Napoli sono spesso mascherati dietro lo sberleffo, l'ostentazione e l'esternazione di certi atteggiamenti estremi, come Pulcinella appunto.
Negli anni la città è cambiata, forse in peggio, ma nei racconti di De Giovanni si sente ancora il rumore, anzi il suono di quella città dove ora i munacielli, le anime, usanze antiche di tradizione millenaria, le stesse canzoni, sono spesso zittiti dal traffico, dai centri commerciali naturali, da una specie di movida continua.
Quel suono, secondo me molti lo portano ancora dentro. De Giovanni forse ne è un custode, tra gli ultimi. Ricciardi è la rivalsa di Napoli contro una presunta modernità che ne sta cancellando lentamente e inesorabilmente l'identità.
Se volete capire Napoli, partire dal Commissario Ricciardi.
Buona lettura
martedì 17 settembre 2013
fragile (sting)
If blood will flow when flesh and steel are one
Drying in the colour of the evening sun
Tomorrow's rain will wash the stains away
But something in our minds will always stay
Perhaps this final act was meant
To clinch a lifetime's argument
That nothing comes from violence and nothing ever could
For all those born beneath an angry star
Lest we forget how fragile we are
On and on the rain will fall
Like tears from a star like tears from a star
On and on the rain will say
How fragile we are how fragile we are
On and on the rain will fall
Like tears from a star like tears from a star
On and on the rain will say
How fragile we are how fragile we are
How fragile we are how fragile we are
Drying in the colour of the evening sun
Tomorrow's rain will wash the stains away
But something in our minds will always stay
Perhaps this final act was meant
To clinch a lifetime's argument
That nothing comes from violence and nothing ever could
For all those born beneath an angry star
Lest we forget how fragile we are
On and on the rain will fall
Like tears from a star like tears from a star
On and on the rain will say
How fragile we are how fragile we are
On and on the rain will fall
Like tears from a star like tears from a star
On and on the rain will say
How fragile we are how fragile we are
How fragile we are how fragile we are
domenica 15 settembre 2013
the kite (S. Heaney translated the ‘L’Aquilone’ by G. Pascoli)
L'originale l'avevo postata qui.
======================
There’s something new in the sun to-day – but no,
More like something old: at this distance even
I sense the violets starting to peep through
Beside the Convent of the Capuchins,
On the wood floor, between the stumps of oak
Where dead leaves shilly-shally in the wind.
A breath of mild air breathes, its little frolic
Cajoles hard clods, combs the yielding grass
Round country churches green up to the doorstep -
Air from another life and time and place,
Pale blue heavenly air that is holding up
A flotilla of white wings on the breeze –
The kites! Yes, it is! The kites! It’s that morning
And there’s no school and we’ve come trooping out
Among the briar hedges and the hawthorn.
The hedges bristled, shivered, spiky, stripped,
But autumn lingered in red clumps of berries
And spring in a few flowers, blooming white.
A robin hopped around the leafless branches.
In the ditch a lizard showed its darting head
Above dead leaves and vanished: a few scurries.
So now we take our stand, halt opposite
Urbino’s windy hill: each scans the blue
And picks his spot to launch his long-tailed comet.
And there it hovers, flips, veers, dives askew,
Lifts again, goes with the wind until
It rises to loud cheers from us kids below.
It rises, and the hand is like a spool
Unspooling thread, the kite a thin-stemmed flower
Borne far away to flower again as windfall.
It rises and it carries ever higher
The longing in the breast and anxious feet
And gazing face and heart of the kite-flier.
Higher and higher until it’s just a dot
Of brightness far, far up…But now a sudden
Crosswind and a scream…Whose scream was that?
Companions’ voices rise to me unbidden
And familiar, still the same old chorus
Of sweet and high and hoarse. And there isn’t,
My friends, one I don’t recognize, and yes,
Of us all, you in particular, who droop your head
On your shoulder and avert your quiet face,
You, over whom I shed my tears and prayed,
You who were lucky to have seen the fallen
Only in the windfall of a kite.
You were very pale, I remember, but had grown
Red at the knees from kneeling on the floor -
Raw from all that praying night and morning.
And ah, were you not lucky to cross over
With confidence in your eyes, and in your arms
The plaything that of all things was most dear.
Gently, I well know, when the time comes
We die with our childhood clasped close to our breast
Like a flower in bloom that closes and reforms
Its petals into itself. O you, so young, the youngest
Of my dead, I too will soon go down into the clay
Where you sleep calmly, on your own, at rest.
Better to arrive there breathless, like a boy
Who has been racing up a hill,
Flushed and hot and soft, a boy at play,
Better to arrive there with a full
Head of blond hair, which spread cold on the pillow
As you mother combed it, wavy and beautiful,
Combed it slowly so as not to hurt you.
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There’s something new in the sun to-day – but no,
More like something old: at this distance even
I sense the violets starting to peep through
Beside the Convent of the Capuchins,
On the wood floor, between the stumps of oak
Where dead leaves shilly-shally in the wind.
A breath of mild air breathes, its little frolic
Cajoles hard clods, combs the yielding grass
Round country churches green up to the doorstep -
Air from another life and time and place,
Pale blue heavenly air that is holding up
A flotilla of white wings on the breeze –
The kites! Yes, it is! The kites! It’s that morning
And there’s no school and we’ve come trooping out
Among the briar hedges and the hawthorn.
The hedges bristled, shivered, spiky, stripped,
But autumn lingered in red clumps of berries
And spring in a few flowers, blooming white.
A robin hopped around the leafless branches.
In the ditch a lizard showed its darting head
Above dead leaves and vanished: a few scurries.
So now we take our stand, halt opposite
Urbino’s windy hill: each scans the blue
And picks his spot to launch his long-tailed comet.
And there it hovers, flips, veers, dives askew,
Lifts again, goes with the wind until
It rises to loud cheers from us kids below.
It rises, and the hand is like a spool
Unspooling thread, the kite a thin-stemmed flower
Borne far away to flower again as windfall.
It rises and it carries ever higher
The longing in the breast and anxious feet
And gazing face and heart of the kite-flier.
Higher and higher until it’s just a dot
Of brightness far, far up…But now a sudden
Crosswind and a scream…Whose scream was that?
Companions’ voices rise to me unbidden
And familiar, still the same old chorus
Of sweet and high and hoarse. And there isn’t,
My friends, one I don’t recognize, and yes,
Of us all, you in particular, who droop your head
On your shoulder and avert your quiet face,
You, over whom I shed my tears and prayed,
You who were lucky to have seen the fallen
Only in the windfall of a kite.
You were very pale, I remember, but had grown
Red at the knees from kneeling on the floor -
Raw from all that praying night and morning.
And ah, were you not lucky to cross over
With confidence in your eyes, and in your arms
The plaything that of all things was most dear.
Gently, I well know, when the time comes
We die with our childhood clasped close to our breast
Like a flower in bloom that closes and reforms
Its petals into itself. O you, so young, the youngest
Of my dead, I too will soon go down into the clay
Where you sleep calmly, on your own, at rest.
Better to arrive there breathless, like a boy
Who has been racing up a hill,
Flushed and hot and soft, a boy at play,
Better to arrive there with a full
Head of blond hair, which spread cold on the pillow
As you mother combed it, wavy and beautiful,
Combed it slowly so as not to hurt you.
venerdì 13 settembre 2013
una nuova direzione
Partiamo dal caso Amato. C'era una possibilità, ovvero che Amato rifiutasse. Non è l'unico che poteva sedere sulla poltrona che gli è stata offerta.
Non pretendo di avere ragione, ma vorrei che i discorsi si affrontassero con un minimo di serietà tra coloro che hanno voglia di costruire, anzi ricostruire questo paese.
Abbiamo bisogno di andare in una nuova direzione.
Qualcosa c'è già e noi tutti, uomini e donne di buona volontà, dobbiamo far emergere la nostra volontà di cambiamento. Il cambiamento comincia quando qualcuno si rifiuterà di fare come si è sempre fatto.
"Grazie Presidente. Ma la poltrona di giudice costituzionale offriamola a qualcuno nuovo e preparato. Cosa ne pensa ?"
Tutti i grandi cambiamenti sono semplici.
(E. Pound)
Ancora prima, Giorgio Napolitano avrebbe potuto declinare per il secondo mandato. Quelli che adesso hanno formato il governo delle "larghe intese" sarebbero stati inchiodati alle loro responsabilità.
Mancano in Italia figure che potevano occupare quella poltrona ? Non credo.
Mancano in Italia figure che potevano occupare quella poltrona ? Non credo.
Sia chiaro che non esprimo giudizi di tipo politico (che pure ho) ma cerco di fotografare la situazione.
Provate la sera a seguire uno dei talk-show cosiddetti politici. Uno qualsiasi, non ha importanza. Mi raccomando togliete l'audio; solo così capirete tutto. Nessuno, con rarissime eccezioni, accenna a mettere in funzione il cervello. Ripetono frasi stantie e slogan desueti e insulsi. Manca qualsiasi tipo di argomentazione. Hanno gli occhi fissi, vitrei quasi.
Non ci vuole molto a dire delle cose semplici. Ne faccio una lista brevissima.
1) Berlusconi è stato condannato in via definitiva. Se in coscienza sente di essere innocente, dedichi i suoi sforzi da privato cittadino a provare a ribaltare le cose, senza ribaltare la giustizia e il paese. D'altronde ha avuto più di una possibilità come premier di cambiare sia il paese che la giustizia.
2) La situazione economica è disastrosa: in una famiglia si taglia tutto il superfluo per dare da mangiare ai figli e soprattutto ai più deboli. Invece il debito pubblico continua a salire e i privilegi non vengono toccati. La rimozione dei privilegi non risolverebbe il problema ma sarebbe un segno.
3) Se una banca riceve denaro all'1% di interesse deve cercare di metterlo in circolo tra le imprese e le famiglie che ne necessitano, limitando momentaneamente i profitti.
4) Un partito democratico, ma democratico veramente, ricomincia dai comuni, dai singoli cittadini a parlare una lingua nuova che cancelli lentamente un passato recente da dimenticare (MPS docet).
5) 5Stelle non può stare a guardare il lago di merda senza sporcarsi le mani. Per pulire bisogna metterci le mani, dentro.
6) Non lontano da dove vivo c'è un'area di 20 Km quadrati che è stata dichiarata morta. Le percentuali di mortalità e morbilità sono quelle che tutti conoscono. Allora - forse - è arrivato il momento che i ministri della salute rimuovano tutte le persone che negli anni hanno avuto responsabilità dirette e indirette. (Oggi sfogliavo "La banalità del male" di Hannah Arendt e pensavo proprio a come sia facile immergersi in una spirale che ti porta sempre più in basso.)
Mi fermo qui. Tutti ormai sappiamo tutto. Non c'è più bisogno neanche dei giudici. Ci basta il cielo stellato e la legge morale.
Bisogna dare voce a chi parla nuove lingue e ha nuovi occhi. Pensiamo solo a Papa Francesco: credenti o meno, ci si dovrà confrontare quotidianamente con quest'uomo che per me è veramente un segno dello Spirito Santo.
Provate la sera a seguire uno dei talk-show cosiddetti politici. Uno qualsiasi, non ha importanza. Mi raccomando togliete l'audio; solo così capirete tutto. Nessuno, con rarissime eccezioni, accenna a mettere in funzione il cervello. Ripetono frasi stantie e slogan desueti e insulsi. Manca qualsiasi tipo di argomentazione. Hanno gli occhi fissi, vitrei quasi.
Non ci vuole molto a dire delle cose semplici. Ne faccio una lista brevissima.
1) Berlusconi è stato condannato in via definitiva. Se in coscienza sente di essere innocente, dedichi i suoi sforzi da privato cittadino a provare a ribaltare le cose, senza ribaltare la giustizia e il paese. D'altronde ha avuto più di una possibilità come premier di cambiare sia il paese che la giustizia.
2) La situazione economica è disastrosa: in una famiglia si taglia tutto il superfluo per dare da mangiare ai figli e soprattutto ai più deboli. Invece il debito pubblico continua a salire e i privilegi non vengono toccati. La rimozione dei privilegi non risolverebbe il problema ma sarebbe un segno.
3) Se una banca riceve denaro all'1% di interesse deve cercare di metterlo in circolo tra le imprese e le famiglie che ne necessitano, limitando momentaneamente i profitti.
4) Un partito democratico, ma democratico veramente, ricomincia dai comuni, dai singoli cittadini a parlare una lingua nuova che cancelli lentamente un passato recente da dimenticare (MPS docet).
5) 5Stelle non può stare a guardare il lago di merda senza sporcarsi le mani. Per pulire bisogna metterci le mani, dentro.
6) Non lontano da dove vivo c'è un'area di 20 Km quadrati che è stata dichiarata morta. Le percentuali di mortalità e morbilità sono quelle che tutti conoscono. Allora - forse - è arrivato il momento che i ministri della salute rimuovano tutte le persone che negli anni hanno avuto responsabilità dirette e indirette. (Oggi sfogliavo "La banalità del male" di Hannah Arendt e pensavo proprio a come sia facile immergersi in una spirale che ti porta sempre più in basso.)
Mi fermo qui. Tutti ormai sappiamo tutto. Non c'è più bisogno neanche dei giudici. Ci basta il cielo stellato e la legge morale.
Bisogna dare voce a chi parla nuove lingue e ha nuovi occhi. Pensiamo solo a Papa Francesco: credenti o meno, ci si dovrà confrontare quotidianamente con quest'uomo che per me è veramente un segno dello Spirito Santo.
Non pretendo di avere ragione, ma vorrei che i discorsi si affrontassero con un minimo di serietà tra coloro che hanno voglia di costruire, anzi ricostruire questo paese.
Abbiamo bisogno di andare in una nuova direzione.
Qualcosa c'è già e noi tutti, uomini e donne di buona volontà, dobbiamo far emergere la nostra volontà di cambiamento. Il cambiamento comincia quando qualcuno si rifiuterà di fare come si è sempre fatto.
"Grazie Presidente. Ma la poltrona di giudice costituzionale offriamola a qualcuno nuovo e preparato. Cosa ne pensa ?"
Tutti i grandi cambiamenti sono semplici.
(E. Pound)
giovedì 12 settembre 2013
onore (a. bergonzoni)
Ai caduti (in disgrazia), a chi resta in piedi grazie ai caduti, al vento che ti fa diventare, al sole e alle sue effusioni non nucleari, al nocciolo delle questioni, all’acqua che torna pianto, a chi cambia quello che c’è nel petto e non a chi ci mette sopra medaglie, all’arte (non di arrangiarsi), ai poeti che onorano il pare e l’amare.
lunedì 9 settembre 2013
bambino (a. merini)
Bambino,
se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento.
se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
e portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento.
domenica 8 settembre 2013
l'aquilone (g. pascoli)
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti male.
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti male.
venerdì 6 settembre 2013
la solitudine (f. de andré)
La solitudine non esiste; nel senso che la solitudine non consiste nello stare soli, ma piuttosto nel non sapersi tenere compagnia.
Chi non sa tenersi compagnia difficilmente la sa tenere ad altri.
Ecco perché si può essere soli in mezzo a mille persone, ecco anche perché ci si può trovare in compagnia di se stessi ed essere felici, per esempio ascoltando il silenzio, stretto parente della solitudine. Ma il silenzio vero non esiste, come non esiste la vera solitudine.
Basta abbandonarsi alle voci dell'Universo.
giovedì 5 settembre 2013
Lettori si nasce o si diventa ?
Seguo un blog molto ben fatto e interessante di Patrizia La Daga, dedicato ai libri e alla letteratura in generale; è un blog poco ingessato e molto dinamico. Molti temi importanti sono trattati con una leggerezza particolare.
Patrizia (twitter: @patrizialadaga) ha lanciato una provocazione molto interessante chiedendo risposta sul fatto che si nasca o si diventi lettori, riprendendo il quesito da altri blog.
Patrizia (twitter: @patrizialadaga) ha lanciato una provocazione molto interessante chiedendo risposta sul fatto che si nasca o si diventi lettori, riprendendo il quesito da altri blog.
Non ho risposte alla domanda fondamentale, ma posso raccontare questo mio personale passaggio.
Ho vissuto in un appartamento molto bello (ma piccolo per il numero di componenti familiari) per più di 18 anni. L'unica stanza della casa in cui era possibile avere una libreria era lo studio di mio padre. Questi aveva fatto trasformare un'intera parete in una libreria laccata verde incassata nel muro attorno ad una finestra. Sotto la finestra c'erano dei piccoli scaffali per ospitare I Maestri del Sapere (quei piccoli libri verdi che qualcuno ricorda); ai lati c'erano i libri che leggeva lui e qualche Enciclopedia.
Fino alle elementari la mia lettura preferita era Topolino però passavo ore a capire in alcuni di quei libri cosa ci fosse. L'attrazione forte era per l'Enciclopedia della Scienza e della Tecnica Mondadori. Volumi pesantissimi e perfettamente incomprensibili.
Lentamente iniziai a leggere qualcosa di semplice (o almeno ritenevo così) e il primo ricordo di lettore è "I Tre Moschettieri". L'avventura, le spade, la regina, l'onore, il patto, l'amicizia, . . . un mondo nuovo si apriva.
Alla prima Comunione avendo capito che avevo voglia di leggere, mi regalarono una collezione completa di classici: Robinson Crusoe, David Copperfield, L'isola del tesoro, Ventimila leghe sotto i mari, Dr. Jekyll e Mr. Hyde, . . .
Ho letto ininterrottamente quei libri per mesi. Mi sembrò di fare un viaggio nel tempo e nello spazio. Non ho più smesso.
Come premio, poi, per la licenza media i miei genitori mi regalarono una Lettera 35 con la quale subito mi misi all'opera per scrivere romanzi, fondare giornali e dirigere studi enciclopedici.
Come premio, poi, per la licenza media i miei genitori mi regalarono una Lettera 35 con la quale subito mi misi all'opera per scrivere romanzi, fondare giornali e dirigere studi enciclopedici.
Non ho avuto grandi maestri nei cicli scolastici ma ho avuto ed ho amici e persone che scrivono e che hanno fatto della letteratura un punto centrale della loro vita. Mi basta leggerli e/o ascoltarli.
Alcune precisazioni finali: la libreria laccata verde, la Lettera 35 e l'Enciclopedia della Scienza e della Tecnica sono ancora con me :)
martedì 3 settembre 2013
la moda è ciò che passa di moda
"E quello che non potrò mai cambiare, più che la paura del debutto, sono la tristezza e il vuoto della fine - immagino sia la stessa cosa che succede quando si scrivono libri -, ma quando tutto è finito, e l'ultimo spillo è stato appuntato, mi sento orfano. Tutte le tue idee sono passate e andate; spariranno come quelle di prima e di dopo. Non resterà niente di tutti questi sforzi, di tutte queste notti in bianco... E' doloroso. Dare la vita a cose che non vedremo più e la cui stessa essenza è quella di svanire. La moda è ciò che passa di moda."
Brano dell'intervista di Francoise Sagan a Yves Saint Laurent (1969) contenuta nel libro "Il tubino nero".
domenica 1 settembre 2013
manifesto dell'essere (e. fromm)
Riprendo da qui una riflessione tratta da Erich Fromm, Avere o Essere (1976)
La sua proposta trascende ogni ideologismo religioso o politico; con pazienza analitica e semplicità espositiva, Fromm stila un elenco delle caratteristiche che deve riscoprire l’Uomo se vuole continuare a vivere nel rispetto di se stesso e della Terra:
Molti psicologi e psichiatri rifiutano l’idea che la società
La sua proposta trascende ogni ideologismo religioso o politico; con pazienza analitica e semplicità espositiva, Fromm stila un elenco delle caratteristiche che deve riscoprire l’Uomo se vuole continuare a vivere nel rispetto di se stesso e della Terra:
- Disponibilità a rinunciare a tutte le forme di avere, per essere senza residui.
- Sicurezza, sentimento di identità e fiducia fondati sulla fede in ciò che si è, nel proprio bisogno di rapporti, interessi, amore, solidarietà con il mondo circostante, anziché sul proprio desiderio di avere, di possedere, di controllare il mondo, divenendo così schiavo dei propri possessi.
- Accettazione del fatto che nessuno e nulla al di fuori di noi può dare significato alla propria vita, ma che questa indipendenza e distacco radicali dalle cose possono diventare la condizione della piena attività volta alla compartecipazione e all’interesse per gli altri.
- Essere davvero presenti nel luogo in cui ci si trova.
- La gioia che proviene dal dare e condividere, non già dall’accumulare e sfruttare.
- Amore e rispetto per la vita in tutte le sue manifestazioni, con la consapevolezza che non le cose, il potere e tutto ciò che è morto, bensì la vita e tutto quanto pertiene alla sua crescita hanno carattere sacro.
- Tentare di ridurre, nel limite del possibile, brama di possesso, odio e illusioni.
- Sviluppo della propria capacità di amare, oltre che della propria capacità di pensare in maniera critica senza abbandonarsi a sentimentalismi.
- Capacità di rinunciare al proprio narcisismo e di accettare le tragiche limitazioni implicite nell’esistenza umana.
- Fare della piena crescita di se stessi e dei propri simili lo scopo supremo dell’esistenza.
- Rendersi conto che, per raggiungere tale meta, sono indispensabili la disciplina e il riconoscimento della realtà di fatto.
- Rendersi inoltre conto che una crescita non è sana se non avviene nell’ambito di una determinata struttura, ma in pari tempo riconoscere le differenze tra la struttura intesa quale un attributo della vita e l’”ordine” inteso quale un attributo della non vita, di ciò che è morto.
- Sviluppare la propria fantasia, non come una fuga da circostanze intollerabili, bensì come anticipazione di possibilità concrete, come un mezzo per superare circostanze intollerabili.
- Non ingannare gli altri, ma non lasciarsene neppure ingannare; si può accettare di essere definiti innocenti, non ingenui.
- Conoscere se stessi, intendendo con questo non soltanto il sé di cui si ha nozione, ma anche il sé che si ignora, benché si abbia una vaga intuizione di ciò che non si conosce.
- Avvertire la propria identità con ogni forma di vita, e quindi rinunciare al proposito di conquistare la natura, di sottometterla, sfruttarla, violentarla, distruggerla, tentando invece di capirla e di collaborare con essa.
- Far proprio una libertà che non sia arbitrarietà, ma equivalga alla possibilità di essere se stessi, intendendo con questo non già un coacervo di desideri e brame di possesso, bensì una struttura dal delicato equilibrio che a ogni istante si trova di fronte alla scelta tra crescita o declino, vita o morte.
- Rendersi conto che il male e la distruttività sono conseguenze necessarie del fallimento del proposito di crescere.
- Rendersi conto che solo pochi individui hanno raggiunto la perfezione per quanto attiene a tutte queste qualità, rinunciando d’altro canto all’ambizione di riuscire a propria volta a “raggiungere l’obbiettivo”, con la consapevolezza che un’ambizione del genere non è che un’altra forma di bramosia, un’altra versione dell’avere.
- Trovare la felicità nel processo di una continua, vivente crescita, quale che sia il punto massimo che il destino permette a ciascuno di raggiungere, dal momento che vivere nella maniera più piena possibile al singolo è fonte di tale soddisfazione, che la preoccupazione per ciò che si potrebbe o non si può raggiungere ha scarse possibilità di rendersi avvertita.
Molti psicologi e psichiatri rifiutano l’idea che la società
nel suo insieme potrebbe essere malata. Assumono che il problema
della salute mentale in una società è solo quello degli individui «inadeguati» e non
quello di una possibile inadeguatezza della cultura stessa.
E. Fromm da The Sane Society (1955)
E. Fromm da The Sane Society (1955)
venerdì 30 agosto 2013
modernità liquida (z. bauman)
All'epoca dell' Illuminismo, di Bacone, Cartesio o Hegel, in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. Oggi il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero, lo Zimbabwe. E si tratta, non dimentichiamolo, di paragoni tra valori medi, che ricordano la proverbiale statistica dei due polli.
Il tenace persistere della povertà su un pianeta travagliato dal fondamentalismo della crescita economica è più che sufficiente a costringere le persone ragionevoli a fare una pausa di riflessione sulle vittime collaterali dell' «andamento delle operazioni».
L'abisso sempre più profondo che separa chi è povero e senza prospettive dal mondo opulento, ottimista e rumoroso - un abisso già oggi superabile solo dagli arrampicatori più energici e privi di scrupoli - è un' altra evidente ragione di grande preoccupazione. Come avvertono gli autori dell'articolo citato, se l'armamentario sempre più raro, scarso e inaccessibile che occorre per sopravvivere e condurre una vita accettabile diverrà oggetto di uno scontro all'ultimo sangue tra chi ne è abbondantemente provvisto e gli indigenti abbandonati a se stessi, la principale vittima della crescente disuguaglianza sarà la democrazia.
Ma c' è anche un' altra ragione di allarme, non meno grave. I crescenti livelli di opulenza si traducono in crescenti livelli di consumo; del resto, arricchirsi è un valore tanto desiderato solo in quanto aiuta a migliorare la qualità della vita,e «migliorare la vita» (o almeno renderla un po' meno insoddisfacente) significa, nel gergo degli adepti della chiesa della crescita economica, ormai diffusa su tutto il pianeta, «consumare di più». I seguaci di questo credo fondamentalista sono convinti che tutte le strade della redenzione, della salvezza, della grazia divina e secolare e della felicità (sia immediata che eterna) passino per i negozi. E più si riempiono gli scaffali dei negozi che attendono di essere svuotati dai cercatori di felicità, più si svuota la Terra, l' unico contenitore/produttore delle risorse (materie prime ed energia) che occorrono per riempire nuovamente i negozi: una verità confermata e ribadita quotidianamente dalla scienza, ma (secondo uno studio recente) recisamente negata nel 53 per cento degli spazi dedicati al tema della «sostenibilità» dalla stampa americana, e trascurata o taciuta negli altri casi. Quello che viene ignorato, in questo silenzio assordante che ottenebra e de-responsabilizza, è l' avvertimento lanciato due anni fa da Tim Jackson nel libro Prosperità senza crescita: entro la fine di questo secolo «i nostri figli e nipoti dovranno sopravvivere in un ambiente dal clima ostile e povero di risorse, tra distruzione degli habitat, decimazione delle specie, scarsità di cibo, migrazioni di massa e inevitabili guerre».
Il nostro consumo, alimentato dal debito e alacremente istigato/ assistito/amplificato dalle autorità costituite, «è insostenibile dal punto di vista ecologico, problematico da quello sociale e instabile da quello economico». Un' altra delle osservazioni raggelanti di Jackson è che in uno scenario sociale come il nostro, in cui un quinto della popolazione mondiale gode del 74 per cento del reddito annuale di tutto il pianeta, mentre il quinto più povero del mondo deve accontentarsi del 2 per cento, la diffusa tendenza a giustificare le devastazioni provocate dalle politiche di sviluppo economico richiamandosi alla nobile esigenza di superare la povertà non è altro che un atto di ipocrisia e un' offesa alla ragione: e anche questa osservazione è stata pressoché universalmente ignorata dai canali d' informazione più popolari (ed efficaci), o nel migliore dei casi è stata relegata alle pagine, e fasce orarie, notoriamente dedicate a ospitare e dare spazio a voci abituate e rassegnate a predicare nel deserto.
Già nel 1990, una ventina d' anni prima del volume di Jackson, in Governare i beni collettivi Elinor Ostrom aveva avvertito che la convinzione propagandata senza sosta secondo cui le persone sono naturalmente portate a ricercare profitti di breve termine e ad agire in base al principio «ognun per sé e Dio per tutti»non regge alla prova dei fatti. La conclusione dello studio di Ostrom sulle imprese locali che operano su piccola scala è molto diversa: nell'ambito di una comunità le persone tendono a prendere decisioni che non mirano solo al profitto. È tempo di chiedersi: quelle forme di «vita in comunità» che la maggior parte di noi conosce unicamente attraverso le ricerche etnografiche sulle poche nicchie oggi rimaste da epoche passate, «superate e arretrate», sono davvero qualcosa di irrevocabilmente concluso? O, forse, sta per emergere la verità di una visione alternativa della storia (e con essa di una concezione alternativa del "progresso"): che cioè la rincorsa alla felicità è solo un episodio, e non un balzo in avanti irreversibile e irrevocabile, ed è stata/è/si rivelerà, sul piano pratico, una semplice deviazione una tantum, intrinsecamente e inevitabilmente temporanea?
Dalla prefazione di Zygmunt Bauman alla nuova edizione di Modernità Liquidità, Laterza.
domenica 25 agosto 2013
18262 giorni
18262 giorni: 50 anni insomma.
Potrei scriverne, potrei raccontare episodi, emozioni, sconfitte, qualche successo. Ma sarebbe molto difficile, non essendo uno scrittore, le inevitabili approssimazioni offenderebbero in primo luogo me stesso, i miei sentimenti, i miei accadimenti. E poi ogni vita passa con la sua unicità, con la sua eccezionalità. La mia come quella di tutti.
Una cosa posso dire però: ho imparato - sto imparando ancora - a essere felice.
Ho capito con gli anni che anche quelli che potrebbero, spesso, dimenticano che la felicità è una conquista. Non è un pacco che si scarta subito per vedere il regalo.
La felicità è un viaggio, un cammino. Lungo questa strada, generalmente, si deve togliere, eliminare, alleggerirsi per far spazio a ciò che è essenziale e con gli anni diventa sempre più chiaro. Lungo questa strada si incontrano persone che fanno un pezzo con te: lungo o grande non ha importanza. Un mio amico mi ricordava giorni fa una frase di V. de Moraes: “la vita è l’arte dell’incontro”.
Continuo a fare i miei progetti, a elaborare visioni per il futuro. So che molte non verranno realizzate per la mia pigrizia. Ma la cosa che mi piace di più è andare avanti per questa strada in compagnia delle persone che amo, possibilmente offrendo un sorriso al mio, al nostro futuro.
Vale la pena di fermarsi solo a guardare il mare, una nuvola. O magari una rosa.
Potrei scriverne, potrei raccontare episodi, emozioni, sconfitte, qualche successo. Ma sarebbe molto difficile, non essendo uno scrittore, le inevitabili approssimazioni offenderebbero in primo luogo me stesso, i miei sentimenti, i miei accadimenti. E poi ogni vita passa con la sua unicità, con la sua eccezionalità. La mia come quella di tutti.
Una cosa posso dire però: ho imparato - sto imparando ancora - a essere felice.
Ho capito con gli anni che anche quelli che potrebbero, spesso, dimenticano che la felicità è una conquista. Non è un pacco che si scarta subito per vedere il regalo.
La felicità è un viaggio, un cammino. Lungo questa strada, generalmente, si deve togliere, eliminare, alleggerirsi per far spazio a ciò che è essenziale e con gli anni diventa sempre più chiaro. Lungo questa strada si incontrano persone che fanno un pezzo con te: lungo o grande non ha importanza. Un mio amico mi ricordava giorni fa una frase di V. de Moraes: “la vita è l’arte dell’incontro”.
Continuo a fare i miei progetti, a elaborare visioni per il futuro. So che molte non verranno realizzate per la mia pigrizia. Ma la cosa che mi piace di più è andare avanti per questa strada in compagnia delle persone che amo, possibilmente offrendo un sorriso al mio, al nostro futuro.
Vale la pena di fermarsi solo a guardare il mare, una nuvola. O magari una rosa.
giovedì 22 agosto 2013
come ti vorrei (di anna mittone)
Ultimo libro di questa estate. Anche questo ho avuto il piacere di riceverlo in anteprima.
“Come ti vorrei” è un viaggio interiore. Un viaggio a volte buffo, a volte tenero, a volte comico. I registri si alternano per raccontare, anzi è la protagonista che lo fa in prima persona, un viaggio che si tiene tra Roma e Torino ancorato a una festa. Francesca, è il nome della protagonista, utilizza l’invito ad una festa di amici del liceo, la rimpatriata che tutti temono e desiderano contemporaneamente, per provare a rimettere insieme alcune tessere della sua vita. Non solo quelle passate ma, in modo quasi inaspettato, anche quelle future.
“Come ti vorrei” è un viaggio interiore. Un viaggio a volte buffo, a volte tenero, a volte comico. I registri si alternano per raccontare, anzi è la protagonista che lo fa in prima persona, un viaggio che si tiene tra Roma e Torino ancorato a una festa. Francesca, è il nome della protagonista, utilizza l’invito ad una festa di amici del liceo, la rimpatriata che tutti temono e desiderano contemporaneamente, per provare a rimettere insieme alcune tessere della sua vita. Non solo quelle passate ma, in modo quasi inaspettato, anche quelle future.
Il romanzo scivola con una sua propria, definita leggerezza che cattura subito. Francesca, ben presto, diventa un’eroina a cui si vuol bene, per questa sua voglia di cercare di dare un senso a certe attese, di dare risposte a certi quesiti.
Francesca sa che non può più rimandare la definizione di alcuni punti, e si avventura in un territorio di sé che potrebbe non piacerle. Si mette in gioco completamente, per la prima volta, per capire finalmente se vivere, accontentandosi, una vita ‘tranquilla’ oppure se nella stessa vita lei possa riconsiderare una parola come ‘emozione’. E ci porta con sé.
Francesca cerca uno sguardo nuovo sul mondo ma soprattutto su se stessa. Non cela più le sue fragilità ma le considera lentamente come parte della sua vita per poi usarle come punto di partenza per un cambiamento.
Un bacio mai dato, una festa, una Panda, la neve che scende copiosa, telefoni cellulari scarichi, la sala di un pronto soccorso sono eventi e oggetti che diventano luoghi e momenti centrali assieme a molte citazioni musicali. Queste ultime sono contrappunti molto riusciti.
Il modo con cui il linguaggio alterna dei momenti di pura confessione ad altri in cui si descrivono ricordi, situazioni, possibilità, cattura e rende la lettura un vero piacere. Sembra sempre che la storia stia virando verso qualcosa di banale e invece.
Francesca cerca uno sguardo nuovo sul mondo ma soprattutto su se stessa. Non cela più le sue fragilità ma le considera lentamente come parte della sua vita per poi usarle come punto di partenza per un cambiamento.
Un bacio mai dato, una festa, una Panda, la neve che scende copiosa, telefoni cellulari scarichi, la sala di un pronto soccorso sono eventi e oggetti che diventano luoghi e momenti centrali assieme a molte citazioni musicali. Queste ultime sono contrappunti molto riusciti.
Il modo con cui il linguaggio alterna dei momenti di pura confessione ad altri in cui si descrivono ricordi, situazioni, possibilità, cattura e rende la lettura un vero piacere. Sembra sempre che la storia stia virando verso qualcosa di banale e invece.
Invece ogni volta c’è uno scarto, una piccola variazione che testimonia come Francesca si stia avvicinando al centro della sua ricerca, sempre più consapevolmente.
Segnatevi questo libro per i vostri acquisti di Settembre: Francesca è un personaggio che non si dimentica.
Buona Lettura
Segnatevi questo libro per i vostri acquisti di Settembre: Francesca è un personaggio che non si dimentica.
Buona Lettura
sabato 17 agosto 2013
orgoglio
Dei sette vizi capitali, l'orgoglio è il peggiore.
Rabbia, avarizia, invidia, lussuria, accidia, gola, riguardano il rapporto degli uomini tra di loro e con il resto del mondo.
L'orgoglio, invece, è assoluto. È la rappresentazione della relazione soggettiva che una persona intrattiene con se stessa.
Quindi, tra tutti, è il più mortale. L'orgoglio non ha bisogno di un oggetto di cui essere orgogliosi.
È narcisismo portato all'estremo.
P. K. Dick, "Do the androids dream electric sheeps ?"
P. K. Dick, "Do the androids dream electric sheeps ?"
giovedì 15 agosto 2013
tutto sembra senza limite
"Poiché non sappiamo quando moriremo, si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile; però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte. Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia, un pomeriggio che è così profondamente parte di voi che senza neanche riuscireste a concepire la vostra vita - forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno. Quante altre volte guarderete levarsi la luna - forse venti - eppure tutto sembra senza limite."
Il tè nel deserto, Paul Bowles
Il tè nel deserto, Paul Bowles
lunedì 12 agosto 2013
serve a qualcosa ?
Oggi ho letto il post di Roberto Cotroneo (@robertocotroneo) a cui ha fatto seguito quello di Giuliano Castigliego (@giulicast) che a sua volta rimandava anche a questa lettura di Serena Danna (@serena_danna).
Scambio interessantissimo.
Argomento complesso al quale so rispondere solo con molte, moltissime difficoltà. Ma ci provo.
Posso raccontare che mentre ho avuto subito un rigetto per FB dove tutto è troppo, su twitter mi sono trovato abbastanza bene.
Credo sia stato il solito mix di fortuna, volontà e casualità che mi ha consentito di avere un gruppo di persone da cui sono seguito e/o che seguo che mi arricchiscono.
Non sempre allo stesso modo e non sempre con cadenza costante, ma la crescita l'avverto: è palpabile. Poi - certo - ci sono i momenti di stanca in cui ti sembra tempo perso, tempo rubato ad altro, ma anche quella criticità serve a pulire, a capire, a rifinire.
Non mi sono accontentato però. Con alcuni mi sono incontrato, con altri abbiamo scambiato i numeri di telefono, ci siamo parlati; altri account mi sono stati utili per ritornare a leggere cose che avevo lasciato nel dimenticatoio e che invece mi faceva piacere riprendere.
Cotroneo dice: "È un mostrarsi senza voler vedere, è un essere senza esistere.".
Esiste questo rischio, non si può dubitarne.
Così come si può avere una persona davanti per 20 anni con la quale si condivide un ufficio, un lavoro e accorgersi che non si sa nulla di lei.
Si può essere senza esistere dovunque: dipende da cosa ci si mette di proprio. La capacità di essere senza esistere non dipende dal social ma dalla nostra abilità nel nascondere l'umano: spesso troviamo superuomini e superdonne che non rendono mai conto di un fallimento, di una difficoltà oppure al contrario non comunicano mai una gioia intima, un'emozione. Fuori e dentro dei social. Hanno costruito esoscheletri di finta perfezione con la quale si muovono nel mondo reale e virtuale.
Invece io cerco l'umano, il simile a me, colui o colei che manifesta le sue debolezze, le sue difficoltà così come i suoi momenti felici.
Ho trovato personalmente più attenzione in certi tweet diretti a me che in alcune strette di mano fasulle di chi si interessa solo con modi di circostanza o convenienza.
Ed ancora "Serve davvero a qualcosa?".
Serve se si è disposti laddove possibile e con le persone selezionate a mettersi in gioco. Twitter come qualsiasi altro social network non deve diventare la gabbia nella quale ognuno si maschera, ma deve, dovrebbe, portare al momento di un rivelamento. Non con tutti, non sempre: questo è quello che sto provando a fare.
Twitter appare senza dubbio come il solito calderone nel quale si trova l'autopromozione, il narcisismo debordante, le personalità rilucidate per l'occasione, la retorica a buon mercato e non richiesta, il surrogato insopportabile di concetti e pensieri, l'ostentazione ripetuta di autoritratti (meglio noti come selfie).
Ma si trovano anche sofferenze che cercano ascolto, preghiere palesi e preghiere inespresse, desideri manifesti, vere e proprie ricerche linguistiche (vedi il lavoro di #scritturebrevi di Francesca Chiusaroli, @fchiusaroli). A questo aspetto sono molto legato.
Certi tweet, poi, sono come finestre aperte per pochi istanti sulla vita di persone che mettono a disposizione qualcosa di sé.
Tutto sta nel cogliere, capire e partecipare.
Sensibilità, è sempre un fatto di sensibilità.
Scambio interessantissimo.
Argomento complesso al quale so rispondere solo con molte, moltissime difficoltà. Ma ci provo.
Posso raccontare che mentre ho avuto subito un rigetto per FB dove tutto è troppo, su twitter mi sono trovato abbastanza bene.
Credo sia stato il solito mix di fortuna, volontà e casualità che mi ha consentito di avere un gruppo di persone da cui sono seguito e/o che seguo che mi arricchiscono.
Non sempre allo stesso modo e non sempre con cadenza costante, ma la crescita l'avverto: è palpabile. Poi - certo - ci sono i momenti di stanca in cui ti sembra tempo perso, tempo rubato ad altro, ma anche quella criticità serve a pulire, a capire, a rifinire.
Non mi sono accontentato però. Con alcuni mi sono incontrato, con altri abbiamo scambiato i numeri di telefono, ci siamo parlati; altri account mi sono stati utili per ritornare a leggere cose che avevo lasciato nel dimenticatoio e che invece mi faceva piacere riprendere.
Cotroneo dice: "È un mostrarsi senza voler vedere, è un essere senza esistere.".
Esiste questo rischio, non si può dubitarne.
Così come si può avere una persona davanti per 20 anni con la quale si condivide un ufficio, un lavoro e accorgersi che non si sa nulla di lei.
Si può essere senza esistere dovunque: dipende da cosa ci si mette di proprio. La capacità di essere senza esistere non dipende dal social ma dalla nostra abilità nel nascondere l'umano: spesso troviamo superuomini e superdonne che non rendono mai conto di un fallimento, di una difficoltà oppure al contrario non comunicano mai una gioia intima, un'emozione. Fuori e dentro dei social. Hanno costruito esoscheletri di finta perfezione con la quale si muovono nel mondo reale e virtuale.
Invece io cerco l'umano, il simile a me, colui o colei che manifesta le sue debolezze, le sue difficoltà così come i suoi momenti felici.
Ho trovato personalmente più attenzione in certi tweet diretti a me che in alcune strette di mano fasulle di chi si interessa solo con modi di circostanza o convenienza.
Ed ancora "Serve davvero a qualcosa?".
Serve se si è disposti laddove possibile e con le persone selezionate a mettersi in gioco. Twitter come qualsiasi altro social network non deve diventare la gabbia nella quale ognuno si maschera, ma deve, dovrebbe, portare al momento di un rivelamento. Non con tutti, non sempre: questo è quello che sto provando a fare.
Twitter appare senza dubbio come il solito calderone nel quale si trova l'autopromozione, il narcisismo debordante, le personalità rilucidate per l'occasione, la retorica a buon mercato e non richiesta, il surrogato insopportabile di concetti e pensieri, l'ostentazione ripetuta di autoritratti (meglio noti come selfie).
Ma si trovano anche sofferenze che cercano ascolto, preghiere palesi e preghiere inespresse, desideri manifesti, vere e proprie ricerche linguistiche (vedi il lavoro di #scritturebrevi di Francesca Chiusaroli, @fchiusaroli). A questo aspetto sono molto legato.
Certi tweet, poi, sono come finestre aperte per pochi istanti sulla vita di persone che mettono a disposizione qualcosa di sé.
Tutto sta nel cogliere, capire e partecipare.
Sensibilità, è sempre un fatto di sensibilità.