Prendo una pausa da Twitter a partire da oggi.
La socialità digitale sta invadendo le mie giornate. Per lavoro, passo molte ore davanti a un computer e/o allo schermo di un telefono. Inevitabilmente, ma per mia debolezza, controllo cosa succede alla mia parte social con una frequenza divenuta preoccupante.
Mi sono accorto che ciò sottraeva sempre più tempo alle mie cose.
Soprattutto toglieva tempo anche ai miei silenzi, di cui ho bisogno.
Continuerò a lanciare i miei aquiloni da qui e, come sempre, quando ciò accadrà, sottolineeranno ciò che mi ha colpito ed emozionato.
Le mie foto - per il momento - continuano a essere qui, flickr/eucromia.
Arrivederci
(Buon Anno a tutti)
Pagine
▼
mercoledì 31 dicembre 2014
martedì 16 dicembre 2014
il bacio
Era qualche giorno prima dell'Epifania.
Non avevano trovato cosa fare e dove andare, come sempre a quell'età.
Si offrì per ospitarli a casa sua, in fondo un gruppo di ragazzi che si diverte in un giorno di festa, non avrebbe mai dato fastidio ai suoi. Erano genitori tolleranti e comprensivi.
Era da Settembre che la frequentava ma le sue storie precedenti lo avevano impaurito. La ragazza era bella procace ma la sua sicurezza ne potenziava il fascino. Lui era timido da morire e spesso aveva cercato di farle capire bene quello che provava per lei. Lei stava al gioco ma non si capiva cosa volesse da lui, nonostante un'intesa fortissima.
La stanza era grande e c'era uno stereo, regalo della maturità di due anni prima. I 33 giri erano pochi ma consentivano di ballare a chi ne aveva voglia.
C'erano i resti delle feste, panettoni, dolciumi vari, e qualche bottiglia di Coca-Cola. Bastava per passare la serata tutti insieme. Chi non ballava, fumava, parlava, ne approfittava per confidarsi con qualcuno. Si affacciavano tutti alla vita vera, il lavoro, università: non era semplice.
Non è mai stato semplice.
Loro continuavano a scherzare e ad essere complici come ormai da tempo. Lui non la mollava un attimo e quasi la voleva mangiare con gli occhi.
La serata sembrava scivolare via così, come tante altre, apparentemente anonime e noiose.
D'un tratto lei rise e gli fece un cenno col dito. Lui al volo capì e si nascosero dietro una porta battente che dava in un corridoio, coperti da un'ombra perfetta. I loro sorrisi non lasciarono spazio alle parole.
Poi naturalmente, come fosse (ed era) la cosa più giusta e bella del mondo, si baciarono.
Per lui era la prima volta. Fu 'stupefacente'. Non aveva idea che potesse essere così magnifico e inebriante questo momento perfetto. Cercò di non aprire gli occhi e superare quella sensazione d'impaccio che lo aveva sempre accompagnato. Avrebbe voluto un'eternità simile a quel bacio.
Però lei improvvisamente scoppiò in un pianto incontenibile, interrompendo quella beatitudine: si accasciò a terra e non riusciva a togliersi le mani dalla faccia. Non aveva mai visto una ragazza piangere così. Già era confuso per il bacio, figurarsi ora che la vedeva in quello stato.
Chiese con dolcezza: 'Perchè stai piangendo ?'
Lei rispose: 'Non mi era mai capitato nulla di così bello."
La strinse a sè e l'abbracciò più forte.
L'adolescenza di entrambi finì in quel momento.
Non avevano trovato cosa fare e dove andare, come sempre a quell'età.
Si offrì per ospitarli a casa sua, in fondo un gruppo di ragazzi che si diverte in un giorno di festa, non avrebbe mai dato fastidio ai suoi. Erano genitori tolleranti e comprensivi.
Era da Settembre che la frequentava ma le sue storie precedenti lo avevano impaurito. La ragazza era bella procace ma la sua sicurezza ne potenziava il fascino. Lui era timido da morire e spesso aveva cercato di farle capire bene quello che provava per lei. Lei stava al gioco ma non si capiva cosa volesse da lui, nonostante un'intesa fortissima.
La stanza era grande e c'era uno stereo, regalo della maturità di due anni prima. I 33 giri erano pochi ma consentivano di ballare a chi ne aveva voglia.
C'erano i resti delle feste, panettoni, dolciumi vari, e qualche bottiglia di Coca-Cola. Bastava per passare la serata tutti insieme. Chi non ballava, fumava, parlava, ne approfittava per confidarsi con qualcuno. Si affacciavano tutti alla vita vera, il lavoro, università: non era semplice.
Non è mai stato semplice.
Loro continuavano a scherzare e ad essere complici come ormai da tempo. Lui non la mollava un attimo e quasi la voleva mangiare con gli occhi.
La serata sembrava scivolare via così, come tante altre, apparentemente anonime e noiose.
D'un tratto lei rise e gli fece un cenno col dito. Lui al volo capì e si nascosero dietro una porta battente che dava in un corridoio, coperti da un'ombra perfetta. I loro sorrisi non lasciarono spazio alle parole.
Poi naturalmente, come fosse (ed era) la cosa più giusta e bella del mondo, si baciarono.
Per lui era la prima volta. Fu 'stupefacente'. Non aveva idea che potesse essere così magnifico e inebriante questo momento perfetto. Cercò di non aprire gli occhi e superare quella sensazione d'impaccio che lo aveva sempre accompagnato. Avrebbe voluto un'eternità simile a quel bacio.
Però lei improvvisamente scoppiò in un pianto incontenibile, interrompendo quella beatitudine: si accasciò a terra e non riusciva a togliersi le mani dalla faccia. Non aveva mai visto una ragazza piangere così. Già era confuso per il bacio, figurarsi ora che la vedeva in quello stato.
Chiese con dolcezza: 'Perchè stai piangendo ?'
Lei rispose: 'Non mi era mai capitato nulla di così bello."
La strinse a sè e l'abbracciò più forte.
L'adolescenza di entrambi finì in quel momento.
venerdì 21 novembre 2014
bond, james bond
Ero a Londra. 1989.
Non era più la swinging London della quale avevo sentito parlare, ma era per me la fine di un viaggio e l'inizio di un'altro. E comunque la città era (e resta) una delle capitali del mondo.
Mi trovavo a un congresso per la prima presentazione internazionale.
In inglese e a Londra. Certo un po' di inglese lo sapevo ma l'ansia era fortissima.
La seconda sera londinese andammo con un gruppo di amici all'Empire, discoteca chic di Piccadilly. Serata noiosissima con musica pessima. Non amo ballare ma almeno speravo di sentire qualcosa di decente, fosse pure musica da discoteca.
Mi sentivo sempre più depresso. La storia che chiudevo in Italia mi aveva lasciato senza sorriso e tutto mi sembra vuoto, inutile. Avevo sperato un giorno di visitare Londra ma non in quelle condizioni.
La sera dopo mi trascinarono all'Hyppodrome, super-mega discoteca di tendenza. Mi misi in un angolo, come al solito, e mi preparai a un'altra serata noiosissima. I miei amici facevano i classici italiani in vacanza e attaccavano bottone con tutte le ragazze. Un po' mi vergognavo.
A un certo punto vedo una ragazza molto carina che balla da sola. I miei sguardi sembravano ricambiati, ma non essendo in un luogo che sentivo mio, pensavo fosse solo un autoconvincimento legato alla mia situazione. Gi sguardi però continuavano a incrociarsi.
I miei amici cominciarono a stuzzicarmi facendomi notare che forse era il caso che mi muovessi. Quando mi decisi, le si avvicinò un tipo molto palestrato: subito rientrai nell'oscurità. Pensai che fosse un segno negativo. Mi sentivo un po' Carlo Verdone.
Invece lei, con fermezza e decisione, gli fece capire che non gradiva la sua presenza.
Era il mio momento. Nello stesso istante, cambiò la musica. Iniziava la serata Disco. Io non sapevo nulla ovviamente. La pista centrale si sollevò e feci giusto in tempo a saltare sopra.
Gloria Gaynor, Donna Summer, KC and Sunshine Band, Chic . . . .
Ballavo vicino a lei e ci sorridevamo.
Le chiesi come si chiamasse. Lei mi disse il suo nome e mi chiarì subito che era austriaca e che si trovava a Londra per studiare. Mi disse che aveva intuito subito che fossi italiano e che fossi timido.
Poi mi chiese:
"What's your name ?"
Ineffabile, e senza scompormi ritrovai improvvisamente sorriso e faccia tosta.
"Bond, James Bond."
Scoppiò a ridere.
Non era più la swinging London della quale avevo sentito parlare, ma era per me la fine di un viaggio e l'inizio di un'altro. E comunque la città era (e resta) una delle capitali del mondo.
Mi trovavo a un congresso per la prima presentazione internazionale.
In inglese e a Londra. Certo un po' di inglese lo sapevo ma l'ansia era fortissima.
La seconda sera londinese andammo con un gruppo di amici all'Empire, discoteca chic di Piccadilly. Serata noiosissima con musica pessima. Non amo ballare ma almeno speravo di sentire qualcosa di decente, fosse pure musica da discoteca.
Mi sentivo sempre più depresso. La storia che chiudevo in Italia mi aveva lasciato senza sorriso e tutto mi sembra vuoto, inutile. Avevo sperato un giorno di visitare Londra ma non in quelle condizioni.
La sera dopo mi trascinarono all'Hyppodrome, super-mega discoteca di tendenza. Mi misi in un angolo, come al solito, e mi preparai a un'altra serata noiosissima. I miei amici facevano i classici italiani in vacanza e attaccavano bottone con tutte le ragazze. Un po' mi vergognavo.
A un certo punto vedo una ragazza molto carina che balla da sola. I miei sguardi sembravano ricambiati, ma non essendo in un luogo che sentivo mio, pensavo fosse solo un autoconvincimento legato alla mia situazione. Gi sguardi però continuavano a incrociarsi.
I miei amici cominciarono a stuzzicarmi facendomi notare che forse era il caso che mi muovessi. Quando mi decisi, le si avvicinò un tipo molto palestrato: subito rientrai nell'oscurità. Pensai che fosse un segno negativo. Mi sentivo un po' Carlo Verdone.
Invece lei, con fermezza e decisione, gli fece capire che non gradiva la sua presenza.
Era il mio momento. Nello stesso istante, cambiò la musica. Iniziava la serata Disco. Io non sapevo nulla ovviamente. La pista centrale si sollevò e feci giusto in tempo a saltare sopra.
Gloria Gaynor, Donna Summer, KC and Sunshine Band, Chic . . . .
Ballavo vicino a lei e ci sorridevamo.
Le chiesi come si chiamasse. Lei mi disse il suo nome e mi chiarì subito che era austriaca e che si trovava a Londra per studiare. Mi disse che aveva intuito subito che fossi italiano e che fossi timido.
Poi mi chiese:
"What's your name ?"
Ineffabile, e senza scompormi ritrovai improvvisamente sorriso e faccia tosta.
"Bond, James Bond."
Scoppiò a ridere.
sabato 8 novembre 2014
Non chiederci la parola (E. Montale)
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro.
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro.
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
E. Montale
sabato 25 ottobre 2014
sogni e persone
@CryScRyx aveva scritto su Twitter: "Tenersi stretti come stile di vita."
Io avevo replicato in questo modo: "Tenersi stretti (i sogni) come stile di vita".
Scambio rapidissimo ma intenso.
Ci realizziamo se siamo capaci di inseguire i nostri sogni. Li dobbiamo scovare nel nostro intimo: spesso non è facile e neanche indolore; poi dobbiamo averne cura e rispettarli perchè ci rappresentano. Ma non basta.
I sogni si realizzano anche attraverso le persone che amiamo e che ci amano. Anche questa ricerca non sempre è facile: spesso è associata a forti sofferenze.
Ma non ci sono alternative.
Saremo persone compiute se daremo rispetto ai nostri sogni e alle persone che amiamo.
Per poi accorgerci che essi coincidono.
Io avevo replicato in questo modo: "Tenersi stretti (i sogni) come stile di vita".
Scambio rapidissimo ma intenso.
Ci realizziamo se siamo capaci di inseguire i nostri sogni. Li dobbiamo scovare nel nostro intimo: spesso non è facile e neanche indolore; poi dobbiamo averne cura e rispettarli perchè ci rappresentano. Ma non basta.
I sogni si realizzano anche attraverso le persone che amiamo e che ci amano. Anche questa ricerca non sempre è facile: spesso è associata a forti sofferenze.
Ma non ci sono alternative.
Saremo persone compiute se daremo rispetto ai nostri sogni e alle persone che amiamo.
Per poi accorgerci che essi coincidono.
domenica 19 ottobre 2014
élévation / elevazione (c. baudelaire)
in francese e in italiano
Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
Par delà le soleil, par delà les éthers,
Par delà les confins des sphères étoilées,
Mon esprit, tu te meus avec agilité,
Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l'onde,
Tu sillonnes gaiement l'immensité profonde
Avec une indicible et mâle volupté.
Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;
Va te purifier dans l'air supérieur,
Et bois, comme une pure et divine liqueur,
Le feu clair qui remplit les espaces limpides.
Derrière les ennuis et les vastes chagrins
Qui chargent de leur poids l'existence brumeuse,
Heureux celui qui peut d'une aile vigoureuse
S'élancer vers les champs lumineux et sereins;
Celui dont les pensers, comme des alouettes,
Vers les cieux le matin prennent un libre essor,
- Qui plane sur la vie, et comprend sans effort
Le langage des fleurs et des choses muettes!
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
Par delà le soleil, par delà les éthers,
Par delà les confins des sphères étoilées,
Mon esprit, tu te meus avec agilité,
Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l'onde,
Tu sillonnes gaiement l'immensité profonde
Avec une indicible et mâle volupté.
Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;
Va te purifier dans l'air supérieur,
Et bois, comme une pure et divine liqueur,
Le feu clair qui remplit les espaces limpides.
Derrière les ennuis et les vastes chagrins
Qui chargent de leur poids l'existence brumeuse,
Heureux celui qui peut d'une aile vigoureuse
S'élancer vers les champs lumineux et sereins;
Celui dont les pensers, comme des alouettes,
Vers les cieux le matin prennent un libre essor,
- Qui plane sur la vie, et comprend sans effort
Le langage des fleurs et des choses muettes!
Al di là degli stagni, al di sopra delle valli,
delle montagne, dei boschi, delle nuvole, dei mari,
al di là del sole, al di là dell’aria,
al di là dei confini delle sfere stellate
Tu, Mio spirito, ti muovi con agilità
e come un bravo nuotatore che gode tra le onde,
solchi allegramente l'immensità profonda
con un'indicibile e maschia voluttà.
Vola via lontano da questi miasmi morbosi
Vai a purificarti nell'aria più alta,
e bevi, come un puro e divino liquore,
il fuoco chiaro che riempie gli spazi limpidi.
Alle spalle la noia e i vasti tormenti,
che caricano col loro peso l'esistenza nebbiosa,
Felice colui che può con un'ala vigorosa
lanciarsi verso i campi luminosi e sereni;
Colui i cui pensieri, come delle allodole,
verso il cielo il mattino prendono libero slancio,
- Chi plana sulla via, e comprende senza sforzo
Il linguaggio dei fiori e delle cose mute!
domenica 5 ottobre 2014
identità
La mia identità è in divenire perenne.
Non ho un'identità da proteggere, ho un'identità da realizzare, un'identità che avanza, che cresce, che evolve. La mia identità di oggi non è più quella di ieri.
Chi sono io? Sono le mie idee che ho cambiato, le emozioni che ho avuto, belle o brutte, sono la mia volontà.
La mia identità è il comporsi di tutte queste cose, per cui sono braccia che si stendono, non sono radici immobili.
Ermes Maria Ronchi
mercoledì 1 ottobre 2014
il questionario di Proust
Nessuno me lo ha chiesto. Allora me lo sono fatto da solo.
Il tratto principale del suo carattere? L'attenzione. Posso seguire un argomento, un pensiero, un ragionamento per giorni, settimane senza mai stancarmi.
La qualità che preferisce in un uomo? La sincerità.
E in una donna? Il sorriso aperto.
Il suo principale difetto? Sono due: la testardaggine e il credere che tutti dicano la verità.
Il suo sogno di felicità? Un mondo in cui ognuno possa impegnar si per realizzare ciò che crede.
Il suo rimpianto? I baci e le carezze non dati. Banale.
L’ultima volta che ha pianto? Ieri.
L’incontro che le ha cambiato la vita? Con mia moglie. Veramente è cambiato tutto.
Sogno ricorrente? Cercare all'infinito qualcosa/qualcuno che non raggiungo mai.
Il giorno più felice della sua vita? Ogni giorno in cui le persone che amo, sorridono.
E il più infelice? Il giorno in cui ho partecipato al dolore forte e irreversibile che ha colpito due persone a noi carissime.
La persona scomparsa che richiamerebbe in vita? Mio zio Gaetano. Il furfante, il simpaticone, quello leggero che se ne fotteva della morte e che viveva veramente ogni giorno come fosse l'ultimo. L'uomo che amava tutte le donne e da tutte era riamato. Eravamo diversi l'uno dall'altro in modo chiaro, netto. E ci volevamo un bene da morire. Mi manca ogni giorno di più. Mi è spirato tra le braccia senza che potessi neanche dirgli ciao.
Quale sarebbe la disgrazia più grande? Perdere le persone che amo.
La materia scolastica preferita? Scienze.
Città preferita? Parigi. Banale. In seconda battuta, Venezia. Ancora più banale, ma è la verità.
Il colore preferito? Il blu. Quello del mare di Capri in primavera.
Il fiore preferito? La gardenia, oltraggiosa a volte nella sua bellezza e nel suo profumo.
Bevanda preferita? L’acqua frizzante.
Il piatto preferito? La mozzarella di bufala e le alici fritte.
Il suo primo ricordo? La prima bicicletta, una Graziella. Mi sembrava enorme.
Libro preferito di sempre? Memorie di Adriano.
Libro preferito degli ultimi anni? Sono due: Questo amore di R. Cotroneo e La vita davanti a sé di R. Gary.
Autori preferiti in prosa? Yourcenar, Calvino.
Poeti preferiti? Ho poca cultura poetica. Mi sembra di amare tutta la poesia.
Cantante preferito? Non posso dire. Sono molti, troppi.
Il suo eroe o la sua eroina? Batman
I suoi pittori preferiti? Caravaggio e Monet.
La trasmissione televisiva più amata? Blob.
Film cult? Rear window e Totò turco Napoletano.
Attore preferito? Marcello Mastroianni
Attrice preferita? Due: Anna Magnani e Katharine Hepburn.
La canzone che fischia più spesso sotto la doccia? Lo faccio raramente. Quando lo faccio sono canzoni classiche napoletane.
Se dovesse cambiare qualcosa nel suo fisico, che cosa cambierebbe? Tutto.
Personaggio storico più ammirato? Gandhi.
Personaggio politico più detestato? Qualche leghista forse, ma anche qualcuno cosiddetto di sinistra.
I nomi preferiti? Antonella, Alessandro, Elena.
Quel che detesta di più? La presunzione.
Se potesse rinascere in chi o in che cosa si reincarnerebbe? Un airone. Vorrei essere un airone.
Se non avesse fatto il mestiere che fa? Non saprei. L'astronauta, forse. L'idea fissa è rimasta.
Il dono di natura che vorrebbe avere? Saper suonare la tromba e la batteria.
Il regalo più bello che abbia mai ricevuto? Un orologio, prezioso e completamente inaspettato. Ancora oggi mi emoziono quando lo indosso.
Come vorrebbe morire? Ascoltando musica.
Stato d’animo attuale? Sereno variabile.
Le colpe che le ispirano maggiore indulgenza? Quelle causate dalla buona fede.
Il suo motto? Contro la stupidità anche gli dei lottano invano.
Il tratto principale del suo carattere? L'attenzione. Posso seguire un argomento, un pensiero, un ragionamento per giorni, settimane senza mai stancarmi.
La qualità che preferisce in un uomo? La sincerità.
E in una donna? Il sorriso aperto.
Il suo principale difetto? Sono due: la testardaggine e il credere che tutti dicano la verità.
Il suo sogno di felicità? Un mondo in cui ognuno possa impegnar si per realizzare ciò che crede.
Il suo rimpianto? I baci e le carezze non dati. Banale.
L’ultima volta che ha pianto? Ieri.
L’incontro che le ha cambiato la vita? Con mia moglie. Veramente è cambiato tutto.
Sogno ricorrente? Cercare all'infinito qualcosa/qualcuno che non raggiungo mai.
Il giorno più felice della sua vita? Ogni giorno in cui le persone che amo, sorridono.
E il più infelice? Il giorno in cui ho partecipato al dolore forte e irreversibile che ha colpito due persone a noi carissime.
La persona scomparsa che richiamerebbe in vita? Mio zio Gaetano. Il furfante, il simpaticone, quello leggero che se ne fotteva della morte e che viveva veramente ogni giorno come fosse l'ultimo. L'uomo che amava tutte le donne e da tutte era riamato. Eravamo diversi l'uno dall'altro in modo chiaro, netto. E ci volevamo un bene da morire. Mi manca ogni giorno di più. Mi è spirato tra le braccia senza che potessi neanche dirgli ciao.
Quale sarebbe la disgrazia più grande? Perdere le persone che amo.
La materia scolastica preferita? Scienze.
Città preferita? Parigi. Banale. In seconda battuta, Venezia. Ancora più banale, ma è la verità.
Il colore preferito? Il blu. Quello del mare di Capri in primavera.
Il fiore preferito? La gardenia, oltraggiosa a volte nella sua bellezza e nel suo profumo.
Bevanda preferita? L’acqua frizzante.
Il piatto preferito? La mozzarella di bufala e le alici fritte.
Il suo primo ricordo? La prima bicicletta, una Graziella. Mi sembrava enorme.
Libro preferito di sempre? Memorie di Adriano.
Libro preferito degli ultimi anni? Sono due: Questo amore di R. Cotroneo e La vita davanti a sé di R. Gary.
Autori preferiti in prosa? Yourcenar, Calvino.
Poeti preferiti? Ho poca cultura poetica. Mi sembra di amare tutta la poesia.
Cantante preferito? Non posso dire. Sono molti, troppi.
Il suo eroe o la sua eroina? Batman
I suoi pittori preferiti? Caravaggio e Monet.
La trasmissione televisiva più amata? Blob.
Film cult? Rear window e Totò turco Napoletano.
Attore preferito? Marcello Mastroianni
Attrice preferita? Due: Anna Magnani e Katharine Hepburn.
La canzone che fischia più spesso sotto la doccia? Lo faccio raramente. Quando lo faccio sono canzoni classiche napoletane.
Se dovesse cambiare qualcosa nel suo fisico, che cosa cambierebbe? Tutto.
Personaggio storico più ammirato? Gandhi.
Personaggio politico più detestato? Qualche leghista forse, ma anche qualcuno cosiddetto di sinistra.
I nomi preferiti? Antonella, Alessandro, Elena.
Quel che detesta di più? La presunzione.
Se potesse rinascere in chi o in che cosa si reincarnerebbe? Un airone. Vorrei essere un airone.
Se non avesse fatto il mestiere che fa? Non saprei. L'astronauta, forse. L'idea fissa è rimasta.
Il dono di natura che vorrebbe avere? Saper suonare la tromba e la batteria.
Il regalo più bello che abbia mai ricevuto? Un orologio, prezioso e completamente inaspettato. Ancora oggi mi emoziono quando lo indosso.
Come vorrebbe morire? Ascoltando musica.
Stato d’animo attuale? Sereno variabile.
Le colpe che le ispirano maggiore indulgenza? Quelle causate dalla buona fede.
Il suo motto? Contro la stupidità anche gli dei lottano invano.
lunedì 15 settembre 2014
il filo spezzato
La bellezza degli aquiloni è che guardano lontano, restando attaccati alla terra.
Pochi volano altissimi. Questi tracciano strade per sé ma soprattutto per gli altri. Ci riescono senza "far lezione" e senza ipotizzare una superiorità intellettuale non meglio definita; ci riescono rimanendo persone.
Permettono, a chi sa e chi vuole, di non accontentarsi di una singola visione da un unico e immutabile punto di vista.
Poi certo c'è chi sa andare più in alto, chi si accontenta di un'altezza non troppo elevata. C'è anche chi inesorabilmente cade perchè non riesce a domare la propria paura oppure non ha avuto modo di conoscersi bene e a fondo.
Pochi volano altissimi. Questi tracciano strade per sé ma soprattutto per gli altri. Ci riescono senza "far lezione" e senza ipotizzare una superiorità intellettuale non meglio definita; ci riescono rimanendo persone.
Rispetto, generosità, comprensione, capacità di ascolto, precisione nel giudizio, empatia, umiltà non sono concetti da manuale: sono modi di essere. Sono i modi di quelli tra noi che - appunto - son capaci di volare più in alto di tutti.
Ma in maniera tanto dolorosa quanto inattesa, il filo si può spezzare, e l'aquilone, questa volta non ha più né vincoli né limiti.
Inizia una salita ancora più vertiginosa; inizia l'ultimo volo come lo ha definito il mio amico don Gabriele.
Mi piace pensare che sia stato vertiginoso ma che non sia stato l'ultimo.
Arrivederci, Monica.
Legato ai suoi fianchi con un filo d'argento,
un vecchio aquilone la portava nel vento
e lei lo seguiva senza fare domande
perchè il vento era amico e il cielo era grande,
perchè il vento era amico ed il cielo era grande.
Io le dissi ridendo "Ma Signora Aquilone
non le sembra un pò idiota questa sua occupazione?".
Lei mi prese la mano e mi disse "Chissà,
forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà,
forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà".
Francesco De Gregori: Signora Aquilone (1972).
un vecchio aquilone la portava nel vento
e lei lo seguiva senza fare domande
perchè il vento era amico e il cielo era grande,
perchè il vento era amico ed il cielo era grande.
Io le dissi ridendo "Ma Signora Aquilone
non le sembra un pò idiota questa sua occupazione?".
Lei mi prese la mano e mi disse "Chissà,
forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà,
forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà".
Francesco De Gregori: Signora Aquilone (1972).
venerdì 5 settembre 2014
#lafotocheavreivolutoscattare
Ho lanciato questo hashtag su twitter quasi per gioco. Qualcuno ha inizialmente risposto e la cosa si è messa in movimento.
Poi però @casalettori (Marianna) lo ha fatto suo, chiedendo di aggiungere - se possibile - un verso. E' stata un'esplosione bellissima di immagini e versi. Li ha anche raccolti qui: TweetBook. Sono più di 400 pagine.
In un certo qual modo, sono un estratto del nostro immaginario fotografico collettivo.
La mia idea iniziale era proprio di quella di segnalare le poche foto di cui un appassionato di fotografia avrebbe desiderato essere l'autore. Il turbine di immagini piovute da twitter ha anche portato con sé foto da album di famiglia, momenti storici come l'allunaggio o la caduta del muro di Berlino. Ci sono icone famose come Marylin o i Beatles. Ognuno ha filtrato la nostra richiesta iniziale, attraverso la proprio personale e specifica visione.
Su 400 pagine ci sarebbe da lavorare per capire cosa esce poi fuori da questa collezione collettiva.
Per il momento me la riguardo e me la godo così, per puro piacere.
Grazie ancora a @casalettori.
Buona visione.
Poi però @casalettori (Marianna) lo ha fatto suo, chiedendo di aggiungere - se possibile - un verso. E' stata un'esplosione bellissima di immagini e versi. Li ha anche raccolti qui: TweetBook. Sono più di 400 pagine.
In un certo qual modo, sono un estratto del nostro immaginario fotografico collettivo.
La mia idea iniziale era proprio di quella di segnalare le poche foto di cui un appassionato di fotografia avrebbe desiderato essere l'autore. Il turbine di immagini piovute da twitter ha anche portato con sé foto da album di famiglia, momenti storici come l'allunaggio o la caduta del muro di Berlino. Ci sono icone famose come Marylin o i Beatles. Ognuno ha filtrato la nostra richiesta iniziale, attraverso la proprio personale e specifica visione.
Su 400 pagine ci sarebbe da lavorare per capire cosa esce poi fuori da questa collezione collettiva.
Per il momento me la riguardo e me la godo così, per puro piacere.
Grazie ancora a @casalettori.
Buona visione.
“tutto è nell’amore che sai raccontare”
R. Cotroneo
#lafotocheavreivolutoscattare
R.Doisneau pic.twitter.com/k2d9lU1Flu
— sergio de rosa (@eucromia) 2 Settembre 2014
".. naufragar m'è dolce in questo mare."
G. Leopardi / M. Jodice
#lafotocheavreivolutoscattare pic.twitter.com/ibP3dqceNQ
— sergio de rosa (@eucromia) 2 Settembre 2014
giovedì 4 settembre 2014
anime salve (f. de andrè)
Mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che bello il mio tempo che bella compagnia
sono giorni di finestre adornate
canti di stagione
anime salve in terra e in mare
sono state giornate furibonde
senza atti d'amore
senza calma di vento
solo passaggi e passaggi
passaggi di tempo
ore infinite come costellazioni e onde
spietate come gli occhi della memoria
altra memoria e non basta ancora
cose svanite facce e poi il futuro
i futuri incontri di belle amanti scellerate
saranno scontri
saranno cacce coi cani e coi cinghiali
saranno rincorse morsi e affanni per mille anni
mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia
mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia
che bell'inganno sei anima mia
e che bello il mio tempo che bella compagnia
sono giorni di finestre adornate
canti di stagione
anime salve in terra e in mare
sono state giornate furibonde
senza atti d'amore
senza calma di vento
solo passaggi e passaggi
passaggi di tempo
ore infinite come costellazioni e onde
spietate come gli occhi della memoria
altra memoria e non basta ancora
cose svanite facce e poi il futuro
i futuri incontri di belle amanti scellerate
saranno scontri
saranno cacce coi cani e coi cinghiali
saranno rincorse morsi e affanni per mille anni
mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia
mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
mille anni al mondo mille ancora
che bell'inganno sei anima mia
e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia
martedì 26 agosto 2014
sensazione (arthur rimbaud + corto maltese)
Nelle azzurre sere d'estate, me ne andrò per i sentieri,
punzecchiato dalle spighe, a calpestare l'erba tenera:
trasognato, ne sentirò la frescura ai piedi.
Lascerò che il vento bagni la mia testa nuda.
Non parlerò, non penserò a niente:
ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,
e andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
attraverso la Natura, − felice come con una donna.
punzecchiato dalle spighe, a calpestare l'erba tenera:
trasognato, ne sentirò la frescura ai piedi.
Lascerò che il vento bagni la mia testa nuda.
Non parlerò, non penserò a niente:
ma l'amore infinito mi salirà nell'anima,
e andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
attraverso la Natura, − felice come con una donna.
A. Rimbaud
sabato 9 agosto 2014
la vita davanti a sé (romain gary)
Immaginate tutti i luoghi comuni che avete accumulato negli anni sulla religione, sulle religioni, sul pudore, sulla famiglia, sull'amore, sul sesso, sul rispetto, sull'infanzia e sull'adolescenza. Immaginate poi che queste componenti siano come una tavola imbandita con tutte le posate in ordine, i bicchieri di cristallo, quello per l'acqua, quello per il vino e infine quello per lo champagne. Immaginate la perfezione formale e borghese di questa composizione. Immaginate poi che arrivi qualcuno che tenendo la tovaglia strappi tutto via distruggendo tutto. Tutto. E che rimetta una semplice tovaglia a quadri con un tazza di latte. Questo qualcuno è un bambino che si siede e con calma beve il suo latte.
Questo libro è un capolavoro assoluto. Momò non si dimentica.
Il suo è un sguardo puro sul mondo e sulle contraddizioni eterne della vita. La storia e lo sguardo di Momò sono la risposta semplice che solo un bambino può dare agli interrogativi delle vita e gli adulti dimenticano presto e volentieri. Momò regge sulle sue spalle il peso dell'abbandono, della solitudine, dei disorientamento. Ma lo fa come può farlo appunto un bambino senza pregiudizi e valutando ogni volta ciò che è giusto. I personaggi del libro sono tutti indimenticabili ma ancor di più è lo è la lingua di Momò. Vi sembrerà di averlo accanto a voi. Il piscio, la puzza, le condizioni estreme della malattia e del degrado non sono nascoste ma rientrano nella normalità di certe situazioni senza che queste riducano la potenza di certe intese che man mano si rinforzano, anche solo con una carezza, e diventano l'unica fonte di serenità.
Questo è uno dei libri da leggere e rileggere ogni volta che vorrò ricordare a mea stesso cosa deve essere la vita.
Questo libro è un capolavoro assoluto. Momò non si dimentica.
Il suo è un sguardo puro sul mondo e sulle contraddizioni eterne della vita. La storia e lo sguardo di Momò sono la risposta semplice che solo un bambino può dare agli interrogativi delle vita e gli adulti dimenticano presto e volentieri. Momò regge sulle sue spalle il peso dell'abbandono, della solitudine, dei disorientamento. Ma lo fa come può farlo appunto un bambino senza pregiudizi e valutando ogni volta ciò che è giusto. I personaggi del libro sono tutti indimenticabili ma ancor di più è lo è la lingua di Momò. Vi sembrerà di averlo accanto a voi. Il piscio, la puzza, le condizioni estreme della malattia e del degrado non sono nascoste ma rientrano nella normalità di certe situazioni senza che queste riducano la potenza di certe intese che man mano si rinforzano, anche solo con una carezza, e diventano l'unica fonte di serenità.
Questo è uno dei libri da leggere e rileggere ogni volta che vorrò ricordare a mea stesso cosa deve essere la vita.
lunedì 4 agosto 2014
il sogno di scrivere (roberto cotroneo)
Consapevolezza e stupore, sono due tra le parole chiave di questo nuovo lavoro di Roberto Cotroneo.
Ci troviamo davanti un testo che è una guida molto particolare per chiunque abbia il famoso libro nel cassetto. Molto particolare perchè cancella d'un colpo tutti i luoghi comuni che per anni abbiamo sentito (e sopportato) sull'argomento. Lo fa in modo netto, quasi brutale in alcune parti, come la lama di una spada giapponese che separa in due un corpo: ci saranno un prima e un dopo la pubblicazione di questo libro.
È un viaggio nei modi e nei sensi della "scrittura", intesa come mezzo espressivo di una contemporaneità in cui tutto è diventato easy. È un viaggio rivoluzionario perchè attribuisce alla scrittura un valore arcaico, primordiale, sempre più necessario, in tempi confusi come i nostri.
In un mondo dove si accende il telefono e si capisce se a Sydney piove o nevica, dove si lavora con un collega neozelandese senza mai averlo conosciuto, dove al termine della corsa si sa di aver modificato una certa percentuale di massa grassa, cosa resta della nostra umanità ? C'è il rischio che ne resti poca e ben nascosta.
Non ci resta che prendere un foglio e fare uno scarabocchio, oppure cantare o dipingere, suonare. Ancor meglio: scrivere. Di quella volta che l'avremmo voluta baciare e invece un signore la chiamò interrompendo l'attimo speciale. O di quell'altra ancora in cui non capimmo lo schiaffo di nostra madre. Oppure ancora di quel pomeriggio al mare in cui non successe nulla, ma avevamo il cuore pieno di felicità.
Scegliere le parole per raccontarsi e raccontare una storia. Non so se siamo all'alba di un nuovo umanesimo digitale ma di sicuro ne abbiamo bisogno.
Nel testo, gli echi di Bowles e Hillmann si aggiungono a quelli espliciti (Calvino, Eco, Omero); servono a sostanziare un valore della scrittura che per anni è stato sottaciuto o peggio sottovalutato. Il Sogno di Scrivere è rivoluzionario perchè abbatte tutti i confini e le mura che negli anni sono stati creati consapevolmente o meno attorno alla scrittura ed apre, letteralmente, quel cassetto e suggerisce una strada diversa. In questa strada la grammatica, la punteggiatura, i riferimenti e la strutturazione, sono importanti ma almeno quanto la consapevolezza della storia che si vuole narrare e lo stupore che l'ha generata.
Apparentemente, è un libro che invoglia alla scrittura e lo fa non mirando a pubblicare o guadagnare un altro giorno alla propria vanità (che pure sono obiettivi legittimi e sacrosanti per certi versi). Lo fa perchè colui che scrive, scelga le parole con cui raccontare e raccontarsi e quindi si compia, si conosca, si completi, si approfondisca. Diventi ciò che è in quelle parole, con tutto ciò che queste sono in grado di rappresentare.
Significativo è il passaggio in cui Cotroneo sottolinea come la scrittura sia ancora in qualche modo poco o mal considerata nella maturazione del bambino mentre la musica e il disegno sono continuamente consigliati.
L'atto dello scrivere diventa allora rivoluzionario perchè verrà compiuto per indagare, se ne si ha la forza e il coraggio, le possibili vite dentro e fuori di noi.
Ed è poi un atto che da esperienza singola diviene collettiva riconoscendo un legame tra le parole proprie e le parole di tutti. Con le dovute differenze ma senza gerarchie.
L'immagine della passeggiata sulla spiaggia dopo la tempesta, difficilmente si dimentica.
Questo libro è ossigeno per chi ha scritto anche poche righe nella sua vita e sa cosa esse possano nascondere, quanto siano state faticose. Ma sa anche quanto possano aiutare a a capire, a scegliere, a cambiare. A conoscersi, soprattutto.
Chi segue Cotroneo sa che questo libro è contemporaneamente un punto di arrivo e una nuova partenza.
Il suo sguardo sulla scrittura e sulla scrittura del mondo è attivo in vari campi e Il Sogno di Scrivere ne è la sintesi. È allo stesso tempo una riflessione intima di un autore che guarda nuovi orizzonti, difficili certo, ma presenti e possibili.
"La letteratura non salva nessuno, ma nessuno si salva senza letteratura e senza poesia."
Buona lettura
Ci troviamo davanti un testo che è una guida molto particolare per chiunque abbia il famoso libro nel cassetto. Molto particolare perchè cancella d'un colpo tutti i luoghi comuni che per anni abbiamo sentito (e sopportato) sull'argomento. Lo fa in modo netto, quasi brutale in alcune parti, come la lama di una spada giapponese che separa in due un corpo: ci saranno un prima e un dopo la pubblicazione di questo libro.
È un viaggio nei modi e nei sensi della "scrittura", intesa come mezzo espressivo di una contemporaneità in cui tutto è diventato easy. È un viaggio rivoluzionario perchè attribuisce alla scrittura un valore arcaico, primordiale, sempre più necessario, in tempi confusi come i nostri.
In un mondo dove si accende il telefono e si capisce se a Sydney piove o nevica, dove si lavora con un collega neozelandese senza mai averlo conosciuto, dove al termine della corsa si sa di aver modificato una certa percentuale di massa grassa, cosa resta della nostra umanità ? C'è il rischio che ne resti poca e ben nascosta.
Non ci resta che prendere un foglio e fare uno scarabocchio, oppure cantare o dipingere, suonare. Ancor meglio: scrivere. Di quella volta che l'avremmo voluta baciare e invece un signore la chiamò interrompendo l'attimo speciale. O di quell'altra ancora in cui non capimmo lo schiaffo di nostra madre. Oppure ancora di quel pomeriggio al mare in cui non successe nulla, ma avevamo il cuore pieno di felicità.
Scegliere le parole per raccontarsi e raccontare una storia. Non so se siamo all'alba di un nuovo umanesimo digitale ma di sicuro ne abbiamo bisogno.
Nel testo, gli echi di Bowles e Hillmann si aggiungono a quelli espliciti (Calvino, Eco, Omero); servono a sostanziare un valore della scrittura che per anni è stato sottaciuto o peggio sottovalutato. Il Sogno di Scrivere è rivoluzionario perchè abbatte tutti i confini e le mura che negli anni sono stati creati consapevolmente o meno attorno alla scrittura ed apre, letteralmente, quel cassetto e suggerisce una strada diversa. In questa strada la grammatica, la punteggiatura, i riferimenti e la strutturazione, sono importanti ma almeno quanto la consapevolezza della storia che si vuole narrare e lo stupore che l'ha generata.
Apparentemente, è un libro che invoglia alla scrittura e lo fa non mirando a pubblicare o guadagnare un altro giorno alla propria vanità (che pure sono obiettivi legittimi e sacrosanti per certi versi). Lo fa perchè colui che scrive, scelga le parole con cui raccontare e raccontarsi e quindi si compia, si conosca, si completi, si approfondisca. Diventi ciò che è in quelle parole, con tutto ciò che queste sono in grado di rappresentare.
Significativo è il passaggio in cui Cotroneo sottolinea come la scrittura sia ancora in qualche modo poco o mal considerata nella maturazione del bambino mentre la musica e il disegno sono continuamente consigliati.
L'atto dello scrivere diventa allora rivoluzionario perchè verrà compiuto per indagare, se ne si ha la forza e il coraggio, le possibili vite dentro e fuori di noi.
Ed è poi un atto che da esperienza singola diviene collettiva riconoscendo un legame tra le parole proprie e le parole di tutti. Con le dovute differenze ma senza gerarchie.
L'immagine della passeggiata sulla spiaggia dopo la tempesta, difficilmente si dimentica.
Questo libro è ossigeno per chi ha scritto anche poche righe nella sua vita e sa cosa esse possano nascondere, quanto siano state faticose. Ma sa anche quanto possano aiutare a a capire, a scegliere, a cambiare. A conoscersi, soprattutto.
Chi segue Cotroneo sa che questo libro è contemporaneamente un punto di arrivo e una nuova partenza.
Il suo sguardo sulla scrittura e sulla scrittura del mondo è attivo in vari campi e Il Sogno di Scrivere ne è la sintesi. È allo stesso tempo una riflessione intima di un autore che guarda nuovi orizzonti, difficili certo, ma presenti e possibili.
"La letteratura non salva nessuno, ma nessuno si salva senza letteratura e senza poesia."
Buona lettura
lunedì 14 luglio 2014
roma (ancora incroci)
Spesso vado a Roma per lavoro e ci arrivo come sempre con l’Alta Velocità.
Da Napoli è un soffio ormai.
Faccio Via Cavour a piedi, se non piove, e prima di arrivare alla Sapienza prendo il caffè allo stesso posto, da anni. Stamattina ho deciso, chissà perchè, di cambiare. Vado al bar più avanti. Proprio sul marciapiedi di fronte alla fermata Cavour della Metro.
Entro e mentre bevo il caffè sento una voce. All’inizio ho subito cercato di non farci caso. A Roma tra centinaia di migliaia di persone, tra tutti i possibili bar, non poteva essere. Invece era proprio quella voce. Mi sono girato per vedere se la sagoma corrispondesse. Corrispondeva. Anche di spalle, l’ho riconosciuta subito: era lei.
Seduta assieme a un bell’uomo, molto eleganti entrambi; lui molto più grande di lei.
Quante volte ho visto questa scena. Troppe. Per una di queste scene salii in macchina e tornai a Napoli senza farmi più sentire per settimane. E quanti anni sono passati ? Tanti. Tutto è cambiato.
Ma la scena mi ha fatto ricadere in un baratro buio che credevo dimenticato.
Assurdo.
Magari lei era lì a discutere di lavoro, a concordare qualcosa.
Faccio Via Cavour a piedi, se non piove, e prima di arrivare alla Sapienza prendo il caffè allo stesso posto, da anni. Stamattina ho deciso, chissà perchè, di cambiare. Vado al bar più avanti. Proprio sul marciapiedi di fronte alla fermata Cavour della Metro.
Entro e mentre bevo il caffè sento una voce. All’inizio ho subito cercato di non farci caso. A Roma tra centinaia di migliaia di persone, tra tutti i possibili bar, non poteva essere. Invece era proprio quella voce. Mi sono girato per vedere se la sagoma corrispondesse. Corrispondeva. Anche di spalle, l’ho riconosciuta subito: era lei.
Seduta assieme a un bell’uomo, molto eleganti entrambi; lui molto più grande di lei.
Quante volte ho visto questa scena. Troppe. Per una di queste scene salii in macchina e tornai a Napoli senza farmi più sentire per settimane. E quanti anni sono passati ? Tanti. Tutto è cambiato.
Ma la scena mi ha fatto ricadere in un baratro buio che credevo dimenticato.
Assurdo.
Magari lei era lì a discutere di lavoro, a concordare qualcosa.
Non mi importa di lei, non più. M’importa di me.
È come se delle cicatrici dolorosissime si fossero riaperte e dai miei 51 anni quasi fossi stato scaraventato in un macchina del tempo e riportato indietro ai 25, come se nulla fosse poi successo. Sono stato riportato in quegli anni terribili in cui quella storia bella, ma assurdamente dolorosa, si svolgeva. In quegli anni in cui, forse, pagai il pegno per essere ciò che sono.
Assurdo.
Questa città, Roma, mi ha sempre rifiutato.
È come se delle cicatrici dolorosissime si fossero riaperte e dai miei 51 anni quasi fossi stato scaraventato in un macchina del tempo e riportato indietro ai 25, come se nulla fosse poi successo. Sono stato riportato in quegli anni terribili in cui quella storia bella, ma assurdamente dolorosa, si svolgeva. In quegli anni in cui, forse, pagai il pegno per essere ciò che sono.
Assurdo.
Questa città, Roma, mi ha sempre rifiutato.
L'amo tantissimo perchè non si può non essere rapiti da certi scorci, da certi angoli di eternità e di vita vera, ma spesso mi sono dovuto difendere da questi imprevisti - a volte insopportabili - che mi ha regalato. Bellissima e crudele.
Sono rimasto qualche secondo in ascolto di quella voce; ho colto sguardi, risa e toni di voce che ben conoscevo.
Senza farmi notare sono uscito e mi sono diretto respirando forte verso S. Pietro in Vincoli. Mi sono confuso in gruppo di turisti e mi sono avviato verso la facoltà.
Sono rimasto qualche secondo in ascolto di quella voce; ho colto sguardi, risa e toni di voce che ben conoscevo.
Senza farmi notare sono uscito e mi sono diretto respirando forte verso S. Pietro in Vincoli. Mi sono confuso in gruppo di turisti e mi sono avviato verso la facoltà.
Ancora incroci.
martedì 1 luglio 2014
il deserto del mondo (sophia de mello breyner andresen)
PER ATTRAVERSARE CON TE IL DESERTO DELMONDO
Per attraversare con te il deserto del mondo
Per affrontare insieme il terrore della morte
Per vedere la verità per perdere la paura
Per attraversare con te il deserto del mondo
Per affrontare insieme il terrore della morte
Per vedere la verità per perdere la paura
Camminai a lato dei tuoi passi
Per te lasciai il mio regno il mio segreto
La mia rapida notte il mio silenzio
La mia perla rotonda e il suo oriente
Il mio specchio la mia vita la mia immagine
E abbandonai i giardini del paradiso
Qua fuori alla luce senza velo del giorno duro
Senza gli specchi vidi che ero nuda
E lo spazio aperto si chiamava tempo
Perciò con i tuoi gesti mi vestisti
E imparai a vivere in pieno vento
PARA ATRAVESSAR CONTIGO O DESERTO DO MUNDO
Para atravessar contigo o deserto do mundo
Para enfrentarmos juntos o terror da morte
Para ver a verdade para perder o medo
Ao lado dos teus passos caminhei
Por ti deixei meu reino meu segredo
Minha rápida noite meu silêncio
Minha pérola redonda e seu oriente
Meu espelho minha vida minha imagem
E abandonei os jardins do paraíso
Cá fora à luz sem véu do dia duro
Sem os espelhos vi que estava nua
E ao descampado se chamava tempo
Por isso com teus gestos me vestiste
E aprendi a viver em pleno vento
Per te lasciai il mio regno il mio segreto
La mia rapida notte il mio silenzio
La mia perla rotonda e il suo oriente
Il mio specchio la mia vita la mia immagine
E abbandonai i giardini del paradiso
Qua fuori alla luce senza velo del giorno duro
Senza gli specchi vidi che ero nuda
E lo spazio aperto si chiamava tempo
Perciò con i tuoi gesti mi vestisti
E imparai a vivere in pieno vento
Sophia de Mello Breyner Andresen
PARA ATRAVESSAR CONTIGO O DESERTO DO MUNDO
Para atravessar contigo o deserto do mundo
Para enfrentarmos juntos o terror da morte
Para ver a verdade para perder o medo
Ao lado dos teus passos caminhei
Por ti deixei meu reino meu segredo
Minha rápida noite meu silêncio
Minha pérola redonda e seu oriente
Meu espelho minha vida minha imagem
E abandonei os jardins do paraíso
Cá fora à luz sem véu do dia duro
Sem os espelhos vi que estava nua
E ao descampado se chamava tempo
Por isso com teus gestos me vestiste
E aprendi a viver em pleno vento
domenica 22 giugno 2014
biancosale (s. stravato)
Arrivo alla poesia quasi per sbaglio dopo anni di letture varie ma volutamente di difficoltà crescente. Incredibilmente è twitter che mi ci ha quasi portato per mano quando ho iniziato a scegliere le persone da seguire per la qualità di certi tweet e anche per certi rimandi a cose un po' più serie.
La necessità di una sintesi più efficace, forse anche perchè con l'età si vuole una fotografia più essenziale, e la ricerca di un qualcosa che fosse al tempo stesso sostanza e forma, mi hanno condotto e cercare sempre di più versi e poesia.
Ho avuto e ho la fortuna di avere letterati e poeti tra le mie amicizie, ma questo non mi ha consentito di rendere più veloce un processo che rimane intimo e personale. Con i suoi tempi e la sua specifica velocità.
Iniziando a leggere i tweet di Stefania Stravato sono arrivato alle sue poesie e al suo blog (http://www.rossovenexiano.com/blogs/stefania-stravato).
Lentamente queste poesie mi si sono letteralmente attaccate addosso. Le leggevo e poi mi capitava di ripensarle, di aver voglia di rileggerle, di capire se mi avessero detto tutto. Avevo (e ho ancora) la sensazione che siano mutevoli e che offrano sempre nuovi spunti.
Ora Stefania ha pubblicato il suo primo libro: bellissimo. Non so se questa prima raccolta è una sua personalissima antologia o ci sono altri fili conduttori. Di sicuro è un viaggio intenso nella vita e nelle emozioni.
Binacosale è un insieme di onde, così mi piace descriverlo. Alcune sono quelle onde leggere che arrivano a bagnarti i piedi durante una passeggiata sulla riva al calar della sera. Altre sono quelle onde forti, grandi dove riesce difficile nuotare e non si sa mai se abbandonarsi oppure orgogliosamente cercare di affrontarle, sapendo di perdere. In ogni caso provocano una reazione, non possono lasciare indifferenti. Sono versi sensuali, intendendo con ciò proprio la capacità della parola di procedere dai sensi e per i sensi.
I versi di Stefania sono infine potenti, ecco, "potenza" è forse il sostantivo esatto.
Una potenza che nasce dalla volontà, la necessità quasi, di vivere e viversi senza mai accontentarsi di un qualsiasi surrogato. L'autenticità ricercata nel dolore, nella gioia, nell'amore, nel distacco, in tutte le espressioni dell'individuo.
Trascrivo qui - col permesso dell'autrice - la mia preferita.
Gli occhi stretti addosso
Ci terremo gli occhi stretti addosso
nessun luogo sulla pelle
perderemo
per stare in ginocchio
di spalle al mare e leccarci
l'intimità di mille baci
lungo le ore di un istante troppo breve
troppo vicino alla morte
innocenti di un peccato commesso
in mezzo ad un mattino di cui nulla sapevamo
superbi noi
di questo stupido amore antico
che ancora cerca l'acqua nel deserto
sopravvissuti
ai falò di conchiglie
quando arsero estati e canti sulle tempie.
Buona lettura
S. Stravato, Biancosale, Ed. LietoColle
P.S.: Credo che in questo paese, in questo momento storico, leggere di sera un libro di poesia - spegnendo la tv - sia un atto veramente rivoluzionario.
La necessità di una sintesi più efficace, forse anche perchè con l'età si vuole una fotografia più essenziale, e la ricerca di un qualcosa che fosse al tempo stesso sostanza e forma, mi hanno condotto e cercare sempre di più versi e poesia.
Ho avuto e ho la fortuna di avere letterati e poeti tra le mie amicizie, ma questo non mi ha consentito di rendere più veloce un processo che rimane intimo e personale. Con i suoi tempi e la sua specifica velocità.
Iniziando a leggere i tweet di Stefania Stravato sono arrivato alle sue poesie e al suo blog (http://www.rossovenexiano.com/blogs/stefania-stravato).
Lentamente queste poesie mi si sono letteralmente attaccate addosso. Le leggevo e poi mi capitava di ripensarle, di aver voglia di rileggerle, di capire se mi avessero detto tutto. Avevo (e ho ancora) la sensazione che siano mutevoli e che offrano sempre nuovi spunti.
Ora Stefania ha pubblicato il suo primo libro: bellissimo. Non so se questa prima raccolta è una sua personalissima antologia o ci sono altri fili conduttori. Di sicuro è un viaggio intenso nella vita e nelle emozioni.
Binacosale è un insieme di onde, così mi piace descriverlo. Alcune sono quelle onde leggere che arrivano a bagnarti i piedi durante una passeggiata sulla riva al calar della sera. Altre sono quelle onde forti, grandi dove riesce difficile nuotare e non si sa mai se abbandonarsi oppure orgogliosamente cercare di affrontarle, sapendo di perdere. In ogni caso provocano una reazione, non possono lasciare indifferenti. Sono versi sensuali, intendendo con ciò proprio la capacità della parola di procedere dai sensi e per i sensi.
I versi di Stefania sono infine potenti, ecco, "potenza" è forse il sostantivo esatto.
Una potenza che nasce dalla volontà, la necessità quasi, di vivere e viversi senza mai accontentarsi di un qualsiasi surrogato. L'autenticità ricercata nel dolore, nella gioia, nell'amore, nel distacco, in tutte le espressioni dell'individuo.
Trascrivo qui - col permesso dell'autrice - la mia preferita.
Gli occhi stretti addosso
Ci terremo gli occhi stretti addosso
nessun luogo sulla pelle
perderemo
per stare in ginocchio
di spalle al mare e leccarci
l'intimità di mille baci
lungo le ore di un istante troppo breve
troppo vicino alla morte
innocenti di un peccato commesso
in mezzo ad un mattino di cui nulla sapevamo
superbi noi
di questo stupido amore antico
che ancora cerca l'acqua nel deserto
sopravvissuti
ai falò di conchiglie
quando arsero estati e canti sulle tempie.
Buona lettura
S. Stravato, Biancosale, Ed. LietoColle
P.S.: Credo che in questo paese, in questo momento storico, leggere di sera un libro di poesia - spegnendo la tv - sia un atto veramente rivoluzionario.
venerdì 20 giugno 2014
tango (dalla / mannoia)
Ci sono giorni di sole e poi pioggia e poi sole ancora.
Pieni di nuvole e pensieri e immagini confuse. Ci si aggrappa alla musica sperando che possa chiarire, possa aiutarti a viaggiare con serenità nei tuoi meandri.
Ci sono canzoni che sono porte tra passati ancora da esplorare e futuri tutti da decidere.
Ci sono canzoni che sono porte tra le parti di sè, quello oscure e misteriose e quelle più sfacciate ed evidenti. Tutte importanti.
Tango è una di queste. Una delle canzoni che mi appartengono. Una canzone che appartiene a molti tra noi: ne sono certo.
E l'interpretazione di Fiorella Mannoia, che pure è capace di trasformare le cover, di riappropriapersene, qui invece è rispettosa, come un ultimo e doveroso tributo a un grande.
Hai gia' preso il treno
io alle dieci avevo lezione di tango
quanta brillantina e coraggio mi mettevo
guarda oggi come piango.
Hai piu' preso il treno
quella donna che tangava con furore
nei locali della croce rossa
fuori era la guerra nel suo cuore
nel suo cuore tanto tango
da unire il cielo con la terra.
Hai piu' preso il treno mi son guardato intorno
ho viaggiato cento notti per arrivare di giorno
ho letto libri antichi e preoccupanti
poi arrivati a Torino
ci siamo commossi in tanti per quel tango
ballato dal bambino.
Coltello frai denti fiori in mano
ballava con aria di questura e l'occhio lontano
stava per accadere il miracolo il cielo da nero a rosso
ma il treno si e' fermato li' e non si e' piu' mosso.
Hai piu' preso il treno
ci siamo spinti senza avere fretta
ci siamo urlati nell'orecchio senza darci retta
mentre il tango si perdeva in un mare lontano
dov'e' la tua testa da accarezzare dov'e' la tua mano.
Ora ci mostrano i denti e i coltelli
ci bucano gli occhi non ci sono tanghi da ballare
bisogna fare in fretta per ricominciare
tutte le stelle del mondo per un pezzo di pane
per la tua donna da portare in campagna a ballare
per un treno con tanta gente che parte davvero
per un tango da ballare tutti insieme
ad occhi aperti senza mistero
Morena e' lontana e aspetta, suona il suo violino ed e' felice
nel sole e' ancora piu' bella e non ha fretta
e sabato e' domani, e sabato e' domani...
Buon ascolto
Pieni di nuvole e pensieri e immagini confuse. Ci si aggrappa alla musica sperando che possa chiarire, possa aiutarti a viaggiare con serenità nei tuoi meandri.
Ci sono canzoni che sono porte tra passati ancora da esplorare e futuri tutti da decidere.
Ci sono canzoni che sono porte tra le parti di sè, quello oscure e misteriose e quelle più sfacciate ed evidenti. Tutte importanti.
Tango è una di queste. Una delle canzoni che mi appartengono. Una canzone che appartiene a molti tra noi: ne sono certo.
E l'interpretazione di Fiorella Mannoia, che pure è capace di trasformare le cover, di riappropriapersene, qui invece è rispettosa, come un ultimo e doveroso tributo a un grande.
Hai gia' preso il treno
io alle dieci avevo lezione di tango
quanta brillantina e coraggio mi mettevo
guarda oggi come piango.
Hai piu' preso il treno
quella donna che tangava con furore
nei locali della croce rossa
fuori era la guerra nel suo cuore
nel suo cuore tanto tango
da unire il cielo con la terra.
Hai piu' preso il treno mi son guardato intorno
ho viaggiato cento notti per arrivare di giorno
ho letto libri antichi e preoccupanti
poi arrivati a Torino
ci siamo commossi in tanti per quel tango
ballato dal bambino.
Coltello frai denti fiori in mano
ballava con aria di questura e l'occhio lontano
stava per accadere il miracolo il cielo da nero a rosso
ma il treno si e' fermato li' e non si e' piu' mosso.
Hai piu' preso il treno
ci siamo spinti senza avere fretta
ci siamo urlati nell'orecchio senza darci retta
mentre il tango si perdeva in un mare lontano
dov'e' la tua testa da accarezzare dov'e' la tua mano.
Ora ci mostrano i denti e i coltelli
ci bucano gli occhi non ci sono tanghi da ballare
bisogna fare in fretta per ricominciare
tutte le stelle del mondo per un pezzo di pane
per la tua donna da portare in campagna a ballare
per un treno con tanta gente che parte davvero
per un tango da ballare tutti insieme
ad occhi aperti senza mistero
Morena e' lontana e aspetta, suona il suo violino ed e' felice
nel sole e' ancora piu' bella e non ha fretta
e sabato e' domani, e sabato e' domani...
Buon ascolto
giovedì 5 giugno 2014
questione morale
Intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari, «La Repubblica», 28 luglio 1981
«I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer. «I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia».
I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. [..]
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
È quello che io penso.
Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?
[..]
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
[..]
[..]
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
[..]
Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.
martedì 27 maggio 2014
Antonella
il tempo di uno sguardo fu il nostro sentire
il lampo di un'intesa trafisse i pensieri acerbi
mentre la primavera si annunciava per noi
mentre la primavera si annunciava per noi
bellissima.
Un mistero questi nostri anni insieme: un mistero grande e meraviglioso. Baci, lacrime, litigi, abbracci, incomprensioni.
Sguardi incrociati che si saldano ogni giorno e ogni volta e ancora di più. E poi ancora pensieri, viaggi, discussioni e sorrisi. E bimbi e fiori. E fotografie e canzoni, come queste quattro, scelte tra tutte quelle che amiamo. Per festeggiare domani, quando gli anni saranno venti.
Sguardi incrociati che si saldano ogni giorno e ogni volta e ancora di più. E poi ancora pensieri, viaggi, discussioni e sorrisi. E bimbi e fiori. E fotografie e canzoni, come queste quattro, scelte tra tutte quelle che amiamo. Per festeggiare domani, quando gli anni saranno venti.
qualcosa era successo (d. buzzati)
Il treno aveva percorso solo pochi chilometri (e la strada era lunga, ci saremmo fermati soltanto alla lontanissima stazione d'arrivo, così correndo per dieci ore filate) quando a un passaggio a livello vidi dal finestrino una giovane donna. Fu un caso, potevo guardare tante altre cose invece lo sguardo cadde su di lei che non era bella né di sagoma piacente, non aveva proprio niente di straordinario, chissà perché mi capitava di guardarla. Si era evidentemente appoggiata alla sbarra per godersi la vista del nostro treno, superdirettissimo, espresso del nord, simbolo per quelle popolazioni incolte, di miliardi, vita facile, avventurieri, splendide valige di cuoio, celebrità, dive cinematografiche, una volta al giorno questo meraviglioso spettacolo, e assolutamente gratuito per giunta.
Ma come il treno le passò davanti lei non guardò dalla nostra parte (eppure era là ad aspettare forse da un'ora) bensì teneva la testa voltata indietro badando a un uomo che arrivava di corsa dal fondo della via e urlava qualcosa che noi naturalmente non potemmo udire: come se accorresse a precipizio per avvertire la donna di un pericolo. Ma fu un attimo: la scena volò via, ed ecco io mi chiedevo quale affanno potesse essere giunto, per mezzo di quell'uomo, alla ragazza venuta a contemplarci. E stavo per addormentarmi al ritmico dondolio della vettura quando per caso - certamente si trattava di una pura e semplice combinazione - notai un contadino in piedi su un muretto che chiamava chiamava verso la campagna facendosi delle mani portavoce. Fu anche questa volta un attimo perché il direttissimo filava eppure feci in tempo a vedere sei sette persone che accorrevano attraverso i prati, le coltivazioni, l'erba medica, non importa se la calpestavano, doveva essere una cosa assai importante. Venivano da diverse direzioni chi da una casa, chi dal buco di una siepe chi da un filare di viti o che so io, diretti tutti al muriccioio con sopra il giovane chiamante. Correvano, accidenti se correvano, si sarebbero detti spaventati da qualche avvertimento repentino che li incuriosiva terribilmente, togliendo loro la pace della vita. Ma fu un attimo, ripeto, un baleno, non ci fu tempo per altre osservazioni.
Che strano, pensai, in pochi chilometri già due casi di gente che riceve una improvvisa notizia, così almeno presumevo. Ora, vagamente suggestionato, scrutavo la campagna, le strade, i paeselli, le fattorie, con presentimenti ed inquietudini.
Forse dipendeva da questo speciale stato d'animo, ma più osservavo la gente, contadini, carradori, eccetera, più mi sembrava che ci fosse dappertutto una inconsueta animazione. Ma sì, perché quell'andirivieni nei cortili, quelle donne affannate, quei carri, quel bestiame? Dovunque era lo stesso. A motivo della velocità era impossibile distinguere bene eppure avrei giurato che fosse la medesima causa dovunque. Forse che nella zona si celebravan sagre? Che gli uomini si disponessero a raggiungere il mercato? Ma il treno andava e le campagne erano tutte in fermento, a giudicare dalla confusione. E allora misi in rapporto la donna del passaggio a livello, il giovane sul muretto, il viavai dei contadini: qualche cosa era successo e noi sul treno non ne sapevamo niente.
Guardai i compagni di viaggio, quelli dello scompartimento, quelli in piedi nel corridoio. Essi non si erano accorti. Sembravano tranquilli e una signora di fronte a me sui sessant'anni stava per prender sonno. O invece sospettavano? Sì, sì, anche loro erano inquieti, uno per uno, e non osavano parlare. Più di una volta li sorpresi, volgendo gli occhi repentini, guatare fuori. Specialmente la signora sonnolenta, proprio lei, sbirciava tra le palpebre e poi subito mi controllava se mai l'avessi smascherata. Ma di che avevano paura?
Napoli. Qui di solito il treno si ferma. Non oggi il direttissimo. Sfilarono rasente a noi le vecchie case e nei cortili oscuri vedemmo finestre illuminate e in quelle stanze - fu un attimo - uomini e donne chini a fare involti e chiudere valige, così pareva. Oppure mi ingannavo ed erano tutte fantasie?
Si preparavano a partire. Per dove? Non una notizia fausta dunque elettrizzava città e campagne. Una minaccia, un pericolo, un avvertimento di malora. Poi mi dicevo: ma se ci fosse un grosso guaio, avrebbero pure fatto fermare il treno; e il treno invece trovava tutto in ordine, sempre segnali di via libera, scambi perfetti, come per un viaggio inaugurale.
Un giovane al mio fianco, con l'aria di sgranchirsi, si era alzato in piedi. In realtà voleva vedere meglio e si curvava sopra di me per essere più vicino al vetro. Fuori, le campagne, il sole, le strade bianche e sulle strade carriaggi, camion, gruppi di gente a piedi, lunghe carovane come quelle che traggono ai santuari nel giorno del patrono. Ma erano tanti, sempre più folti man mano che il treno si avvicinava al nord. E tutti avevano la stessa direzione, scendevano verso mezzogiorno, fuggivano il pericolo mentre noi gli si andava direttamente incontro, a velocità pazza ci precipitavamo verso la guerra, la rivoluzione, la pestilenza, il fuoco, che cosa poteva esserci mai? Non lo avremmo saputo che fra cinque ore, al momento dell'arrivo, e forse sarebbe stato troppo tardi.
Nessuno diceva niente. Nessuno voleva essere il primo a cedere. Ciascuno forse dubitava di sé, come facevo io, nell'incertezza se tutto quell'allarme fosse reale o semplicemente un'idea pazza, allucinazione, uno di quei pensieri assurdi che infatti nascono in treno quando si è un poco stanchi. La signora di fronte trasse un sospiro, simulando di essersi svegliata, e come chi uscendo dal sonno leva gli sguardi meccanicamente, così lei alzo le pupille fissandole, quasi per caso, alla maniglia del segnale d'allarme. E anche noi tutti guardammo l'ordigno, con l'identico pensiero. Ma nessuno parlò o ebbe l'audacia di rompere il silenzio o semplicemente osò chiedere agli altri se avessero notato, fuori, qualche cosa di allarmante.
Ora le strade formicolavano di veicoli e gente, tutti in cammino verso il sud. Rigurgitanti i treni che ci venivano incontro. Pieni di stupore gli sguardi di coloro che da terra ci vedevano passare, volando con tanta fretta al settentrione. E zeppe le stazioni. Qualcuno ci faceva cenno, altri ci urlavano delle frasi di cui si percepivano soltanto le vocali come echi di montagna.
La signora di fronte prese a fissarmi. Con le mani piene di gioielli cincischiava nervosamente un fazzo1etto e intanto i suoi sguardi supplicavano: parlassi, finalmente, li sollevassi da quel silenzio, pronunciassi la domanda che tutti si aspettavano come una grazia e nessuno per primo osava fare.
Ecco un'altra città. Come il treno, entrando nella stazione, rallentò un poco, due tre si alzarono non resistendo alla speranza che il macchinista fermasse. Invece si passò, fragoroso turbine, lungo le banchine dove una folla inquieta si accalcava anelando a un convoglio che partisse, tra caotici mucchi di bagagli. Un ragazzino tentò di rincorrerci con un pacco di giornali e ne sventolava uno che aveva un grande titolo nero in prima pagina. Allora con un gesto repentino, la signora di fronte a me si sporse in fuori, riuscì ad abbrancare il foglio ma il vento della corsa glielo strappò via. Tra le dita restò un brandello. Mi accorsi che le sue mani tremavano nell'atto di spiegarlo. Era un pezzetto triangolare. Si leggeva la testata e del gran titolo solo quattro lettere. IONE, si leggeva. Nient'altro. Sul verso, indifferenti notizie di cronaca.
Senza parole, la signora alzò un poco il frammento affinché tutti lo potessero vedere. Ma tutti avevamo già guardato. E si finse di non farci caso. Crescendo la paura, più forte in ciascuno si faceva quel ritegno. Verso una cosa che finisce in IONE noi correvamo come pazzi, e doveva essere spaventosa se, alla notizia, popolazioni intere si erano date a immediata fuga. Un fatto nuovo e potentissimo aveva rotto la vita del Paese, uomini e donne pensavano solo a salvarsi, abbandonando case, lavoro, affari, tutto, ma il nostro treno no, il maledetto treno marciava con la regolarità di un orologio, al modo del soldato onesto che risale le turbe dell'esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea dove il nemico già sta bivaccando. E per decenza, per un rispetto umano miserabile, nessuno di noi aveva il coraggio di reagire. Oh i treni come assomigliano alla vita!
Mancavano due ore. Tra due ore, all'arrivo, avremmo saputo la comune sorte. Due ore, un'ora e mezzo, un'ora, già scendeva il buio. Vedemmo di lontano i lumi della sospirata nostra città e il loro immobile splendore riverberante un giallo alone in cielo ci ridiede un fiato di coraggio. La locomotiva emise un fischio, le ruote strepitarono sul labirinto degli scambi. La stazione, la curva nera delle tettoie, le lam- pade, i cartelli, tutto era a posto come il solito.
Ma, orrore!, il direttissimo ancora andava e vidi che la stazione era deserta, vuote e nude le banchine, non una figura umana per quanto si cercasse. Il treno si fermava finalmente. Corremmo giù per i marciapiedi, verso l'uscita, alla caccia di qualche nostro simile. Mi parve di intravedere, nell'angolo a destra in fondo, un po' in penombra, un ferroviere col suo berrettuccio che si eclissava da una porta, come terrorizzato. Che cosa era successo? In città non avremmo più trovato un'anima? Finché la voce di una donna, altissima e violenta come uno sparo, ci diede un brivido.
" Aiuto! Aiuto! " urlava e il grido si ripercosse sotto le vitree volte con la vacua sonorità dei luoghi per sempre abbandonati.
Ma come il treno le passò davanti lei non guardò dalla nostra parte (eppure era là ad aspettare forse da un'ora) bensì teneva la testa voltata indietro badando a un uomo che arrivava di corsa dal fondo della via e urlava qualcosa che noi naturalmente non potemmo udire: come se accorresse a precipizio per avvertire la donna di un pericolo. Ma fu un attimo: la scena volò via, ed ecco io mi chiedevo quale affanno potesse essere giunto, per mezzo di quell'uomo, alla ragazza venuta a contemplarci. E stavo per addormentarmi al ritmico dondolio della vettura quando per caso - certamente si trattava di una pura e semplice combinazione - notai un contadino in piedi su un muretto che chiamava chiamava verso la campagna facendosi delle mani portavoce. Fu anche questa volta un attimo perché il direttissimo filava eppure feci in tempo a vedere sei sette persone che accorrevano attraverso i prati, le coltivazioni, l'erba medica, non importa se la calpestavano, doveva essere una cosa assai importante. Venivano da diverse direzioni chi da una casa, chi dal buco di una siepe chi da un filare di viti o che so io, diretti tutti al muriccioio con sopra il giovane chiamante. Correvano, accidenti se correvano, si sarebbero detti spaventati da qualche avvertimento repentino che li incuriosiva terribilmente, togliendo loro la pace della vita. Ma fu un attimo, ripeto, un baleno, non ci fu tempo per altre osservazioni.
Che strano, pensai, in pochi chilometri già due casi di gente che riceve una improvvisa notizia, così almeno presumevo. Ora, vagamente suggestionato, scrutavo la campagna, le strade, i paeselli, le fattorie, con presentimenti ed inquietudini.
Forse dipendeva da questo speciale stato d'animo, ma più osservavo la gente, contadini, carradori, eccetera, più mi sembrava che ci fosse dappertutto una inconsueta animazione. Ma sì, perché quell'andirivieni nei cortili, quelle donne affannate, quei carri, quel bestiame? Dovunque era lo stesso. A motivo della velocità era impossibile distinguere bene eppure avrei giurato che fosse la medesima causa dovunque. Forse che nella zona si celebravan sagre? Che gli uomini si disponessero a raggiungere il mercato? Ma il treno andava e le campagne erano tutte in fermento, a giudicare dalla confusione. E allora misi in rapporto la donna del passaggio a livello, il giovane sul muretto, il viavai dei contadini: qualche cosa era successo e noi sul treno non ne sapevamo niente.
Guardai i compagni di viaggio, quelli dello scompartimento, quelli in piedi nel corridoio. Essi non si erano accorti. Sembravano tranquilli e una signora di fronte a me sui sessant'anni stava per prender sonno. O invece sospettavano? Sì, sì, anche loro erano inquieti, uno per uno, e non osavano parlare. Più di una volta li sorpresi, volgendo gli occhi repentini, guatare fuori. Specialmente la signora sonnolenta, proprio lei, sbirciava tra le palpebre e poi subito mi controllava se mai l'avessi smascherata. Ma di che avevano paura?
Napoli. Qui di solito il treno si ferma. Non oggi il direttissimo. Sfilarono rasente a noi le vecchie case e nei cortili oscuri vedemmo finestre illuminate e in quelle stanze - fu un attimo - uomini e donne chini a fare involti e chiudere valige, così pareva. Oppure mi ingannavo ed erano tutte fantasie?
Si preparavano a partire. Per dove? Non una notizia fausta dunque elettrizzava città e campagne. Una minaccia, un pericolo, un avvertimento di malora. Poi mi dicevo: ma se ci fosse un grosso guaio, avrebbero pure fatto fermare il treno; e il treno invece trovava tutto in ordine, sempre segnali di via libera, scambi perfetti, come per un viaggio inaugurale.
Un giovane al mio fianco, con l'aria di sgranchirsi, si era alzato in piedi. In realtà voleva vedere meglio e si curvava sopra di me per essere più vicino al vetro. Fuori, le campagne, il sole, le strade bianche e sulle strade carriaggi, camion, gruppi di gente a piedi, lunghe carovane come quelle che traggono ai santuari nel giorno del patrono. Ma erano tanti, sempre più folti man mano che il treno si avvicinava al nord. E tutti avevano la stessa direzione, scendevano verso mezzogiorno, fuggivano il pericolo mentre noi gli si andava direttamente incontro, a velocità pazza ci precipitavamo verso la guerra, la rivoluzione, la pestilenza, il fuoco, che cosa poteva esserci mai? Non lo avremmo saputo che fra cinque ore, al momento dell'arrivo, e forse sarebbe stato troppo tardi.
Nessuno diceva niente. Nessuno voleva essere il primo a cedere. Ciascuno forse dubitava di sé, come facevo io, nell'incertezza se tutto quell'allarme fosse reale o semplicemente un'idea pazza, allucinazione, uno di quei pensieri assurdi che infatti nascono in treno quando si è un poco stanchi. La signora di fronte trasse un sospiro, simulando di essersi svegliata, e come chi uscendo dal sonno leva gli sguardi meccanicamente, così lei alzo le pupille fissandole, quasi per caso, alla maniglia del segnale d'allarme. E anche noi tutti guardammo l'ordigno, con l'identico pensiero. Ma nessuno parlò o ebbe l'audacia di rompere il silenzio o semplicemente osò chiedere agli altri se avessero notato, fuori, qualche cosa di allarmante.
Ora le strade formicolavano di veicoli e gente, tutti in cammino verso il sud. Rigurgitanti i treni che ci venivano incontro. Pieni di stupore gli sguardi di coloro che da terra ci vedevano passare, volando con tanta fretta al settentrione. E zeppe le stazioni. Qualcuno ci faceva cenno, altri ci urlavano delle frasi di cui si percepivano soltanto le vocali come echi di montagna.
La signora di fronte prese a fissarmi. Con le mani piene di gioielli cincischiava nervosamente un fazzo1etto e intanto i suoi sguardi supplicavano: parlassi, finalmente, li sollevassi da quel silenzio, pronunciassi la domanda che tutti si aspettavano come una grazia e nessuno per primo osava fare.
Ecco un'altra città. Come il treno, entrando nella stazione, rallentò un poco, due tre si alzarono non resistendo alla speranza che il macchinista fermasse. Invece si passò, fragoroso turbine, lungo le banchine dove una folla inquieta si accalcava anelando a un convoglio che partisse, tra caotici mucchi di bagagli. Un ragazzino tentò di rincorrerci con un pacco di giornali e ne sventolava uno che aveva un grande titolo nero in prima pagina. Allora con un gesto repentino, la signora di fronte a me si sporse in fuori, riuscì ad abbrancare il foglio ma il vento della corsa glielo strappò via. Tra le dita restò un brandello. Mi accorsi che le sue mani tremavano nell'atto di spiegarlo. Era un pezzetto triangolare. Si leggeva la testata e del gran titolo solo quattro lettere. IONE, si leggeva. Nient'altro. Sul verso, indifferenti notizie di cronaca.
Senza parole, la signora alzò un poco il frammento affinché tutti lo potessero vedere. Ma tutti avevamo già guardato. E si finse di non farci caso. Crescendo la paura, più forte in ciascuno si faceva quel ritegno. Verso una cosa che finisce in IONE noi correvamo come pazzi, e doveva essere spaventosa se, alla notizia, popolazioni intere si erano date a immediata fuga. Un fatto nuovo e potentissimo aveva rotto la vita del Paese, uomini e donne pensavano solo a salvarsi, abbandonando case, lavoro, affari, tutto, ma il nostro treno no, il maledetto treno marciava con la regolarità di un orologio, al modo del soldato onesto che risale le turbe dell'esercito in disfatta per raggiungere la sua trincea dove il nemico già sta bivaccando. E per decenza, per un rispetto umano miserabile, nessuno di noi aveva il coraggio di reagire. Oh i treni come assomigliano alla vita!
Mancavano due ore. Tra due ore, all'arrivo, avremmo saputo la comune sorte. Due ore, un'ora e mezzo, un'ora, già scendeva il buio. Vedemmo di lontano i lumi della sospirata nostra città e il loro immobile splendore riverberante un giallo alone in cielo ci ridiede un fiato di coraggio. La locomotiva emise un fischio, le ruote strepitarono sul labirinto degli scambi. La stazione, la curva nera delle tettoie, le lam- pade, i cartelli, tutto era a posto come il solito.
Ma, orrore!, il direttissimo ancora andava e vidi che la stazione era deserta, vuote e nude le banchine, non una figura umana per quanto si cercasse. Il treno si fermava finalmente. Corremmo giù per i marciapiedi, verso l'uscita, alla caccia di qualche nostro simile. Mi parve di intravedere, nell'angolo a destra in fondo, un po' in penombra, un ferroviere col suo berrettuccio che si eclissava da una porta, come terrorizzato. Che cosa era successo? In città non avremmo più trovato un'anima? Finché la voce di una donna, altissima e violenta come uno sparo, ci diede un brivido.
" Aiuto! Aiuto! " urlava e il grido si ripercosse sotto le vitree volte con la vacua sonorità dei luoghi per sempre abbandonati.
mercoledì 7 maggio 2014
i giusti
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
J. L. Borges
venerdì 2 maggio 2014
kite (u2)
Something
Is about to give
I can feel it coming
I think I know what it is
I'm not afraid to die
I'm not afraid to live
And when I'm flat on my back
I hope to feel like I did
And hardness
It sets in
You need some protection
The thinner the skin
I want you to know
That you don't need me anymore
I want you to know
You don't need anyone
Or anything at all
Who's to say where the wind will take you
Who's to say what it is will break you
I don't know
Which way the wind will blow
Who's to know when the time has come around
Don't want to see you cry
I know that this is not goodbye
It's somewhere I can taste the salty sea
There's a kite blowing out of control on the breeze
I wonder what's gonna happen to you
You wonder what has happened to me
I'm a man
I'm not a child
A man who sees
The shadow behind your eyes
Who's to say where the wind will take you
Who's to say what it is will break you
I don't know
Where the wind will blow
Who's to know when the time has come around
I don't want to see you cry
I know that this is not goodbye
Did I waste it
Not so much I couldn't taste it
Life should be fragrant
Rooftop to the basement
The last of the rocks stars
When hip-hop drove the big cars
In the time when new media
Was the big idea
What was the big idea
Is about to give
I can feel it coming
I think I know what it is
I'm not afraid to die
I'm not afraid to live
And when I'm flat on my back
I hope to feel like I did
And hardness
It sets in
You need some protection
The thinner the skin
I want you to know
That you don't need me anymore
I want you to know
You don't need anyone
Or anything at all
Who's to say where the wind will take you
Who's to say what it is will break you
I don't know
Which way the wind will blow
Who's to know when the time has come around
Don't want to see you cry
I know that this is not goodbye
It's somewhere I can taste the salty sea
There's a kite blowing out of control on the breeze
I wonder what's gonna happen to you
You wonder what has happened to me
I'm a man
I'm not a child
A man who sees
The shadow behind your eyes
Who's to say where the wind will take you
Who's to say what it is will break you
I don't know
Where the wind will blow
Who's to know when the time has come around
I don't want to see you cry
I know that this is not goodbye
Did I waste it
Not so much I couldn't taste it
Life should be fragrant
Rooftop to the basement
The last of the rocks stars
When hip-hop drove the big cars
In the time when new media
Was the big idea
What was the big idea
giovedì 24 aprile 2014
Pino Daniele (English Version)
A sunday of many years ago , Renzo Arbore announced for that episode of his TV show ("L'Altra Domenica", Rai 2) the debut of a young Neapolitan singer. This strange man, without many words, picked up his guitar in hand and sang "Na ' tazzullela ' and cafe ."
It was an emotional earthquake for all young Neapolitans like me.
He was on his second album, but the appearance marked the emergence of a new music and it confirmed the Arbore expertise and skill. The term 'new music' is not a coincidence because there was (still is) the experience of the Nuova Compagnia di Canto Popolare and then just Musicanova: they were both rooted in the research of the ancient music interpreted in a modern key.
Today it would be called world music.
We had only classical singer with classic songs belonging to the classical tradition.
We did not know that our music could be connected to some musical passages.
We did not understand that it was possible to sing in Neapolitan without using stereotypes, and to include social protests never neglecting a certain degree of melodies, conceived in a modern sense.
It was an epiphany of the modern music we were expecting, not only in Naples.
The songs from the first album, "Terra mia", were shocking: they upturned the way in which we hear Italian and Neapolitan music.
The next three albums were the link between tradition and modernity musical understandings at the international level. We loved the intersection among rock, blues. jazz and our melodies of the past.
Pino Daniele (Pinuccio, as we called him between us) was able to fracture a stagnant landscape but he was also able to (re)build a collective musical knowledge.
The nicest thing was then to know that Pinuccio was receiving a growing success throughout Italy, and soon became the artist we all acknowledge now.
His personal evolution led him to play and sing with and for the greatest musicians and performers and to become a producer too.
But that Sunday was truly a different Sunday .
I could not do a ranking of my favorites: surely these two are among those that go deeper....
It was an emotional earthquake for all young Neapolitans like me.
He was on his second album, but the appearance marked the emergence of a new music and it confirmed the Arbore expertise and skill. The term 'new music' is not a coincidence because there was (still is) the experience of the Nuova Compagnia di Canto Popolare and then just Musicanova: they were both rooted in the research of the ancient music interpreted in a modern key.
Today it would be called world music.
We had only classical singer with classic songs belonging to the classical tradition.
We did not know that our music could be connected to some musical passages.
We did not understand that it was possible to sing in Neapolitan without using stereotypes, and to include social protests never neglecting a certain degree of melodies, conceived in a modern sense.
It was an epiphany of the modern music we were expecting, not only in Naples.
The songs from the first album, "Terra mia", were shocking: they upturned the way in which we hear Italian and Neapolitan music.
The next three albums were the link between tradition and modernity musical understandings at the international level. We loved the intersection among rock, blues. jazz and our melodies of the past.
Pino Daniele (Pinuccio, as we called him between us) was able to fracture a stagnant landscape but he was also able to (re)build a collective musical knowledge.
The nicest thing was then to know that Pinuccio was receiving a growing success throughout Italy, and soon became the artist we all acknowledge now.
His personal evolution led him to play and sing with and for the greatest musicians and performers and to become a producer too.
But that Sunday was truly a different Sunday .
I could not do a ranking of my favorites: surely these two are among those that go deeper....
gli ultimi
Non credo Tosi sia una persona approssimativa o ottusa, anzi. L'ho ascoltato spesso e mi sembra una figura di amministratore capace e consapevole. Allora, mi chiedo, da dove nasce questo accanimento contro chi non è in condizione di provvedere a se stesso o addirittura, contro chi vorrebbe vorrebbe aiutare.
Posso immaginare che sia fastidioso passeggiare con persone che chiedono continuamente l'elemosina o altro: ma di fronte a me ho persone, questo non dovrei dimenticarlo.
Posso immaginare che Tosi abbia pensato all'effetto della sua misura, e l'abbia proposta quindi per disincentivare certe pratiche, ma l'economia non si applica agli esseri umani.
Ciò che è profittevole potrebbe essere umanamente disdicevole o addirittura riprovevole.
Dovrei invece preoccuparmi del perchè ci sono tante persone che si trovano in condizioni diverse dalla mia. Parlo proprio di me, che ho una famiglia, un lavoro, una casa e soldi sia per il sostentamento sia per gli svaghi e infine non ho disabilità.
Non tutti dobbiamo/possiamo diventare il buon samaritano ma la preoccupazione non dovrebbe essere per il fastidio ma dovrebbe essere orientata a capire per quale motivo la persona che mi chiede l'elemosina si è ridotta o è stata ridotta in questo stato.
A Verona come a Napoli o a Catania, le persone sono tutte uguali. A livello personale e istituzionale il nostro agire dovrebbe essere orientato all'equità sociale, al garantire dei requisiti minimi di sufficiente sostentamento.
Domani potrei essere io l'ultimo, ovvero il disabile, il derelitto, il lebbroso.
Non c'è bisogno di essere cristiani per capire che gli ultimi siamo noi.
Argomento lungo e spinoso, ma in fondo la domanda a cui dobbiamo rispondere è semplice.
Al centro della nostra vita cosa/chi mettiamo ?
Posso immaginare che sia fastidioso passeggiare con persone che chiedono continuamente l'elemosina o altro: ma di fronte a me ho persone, questo non dovrei dimenticarlo.
Posso immaginare che Tosi abbia pensato all'effetto della sua misura, e l'abbia proposta quindi per disincentivare certe pratiche, ma l'economia non si applica agli esseri umani.
Ciò che è profittevole potrebbe essere umanamente disdicevole o addirittura riprovevole.
Dovrei invece preoccuparmi del perchè ci sono tante persone che si trovano in condizioni diverse dalla mia. Parlo proprio di me, che ho una famiglia, un lavoro, una casa e soldi sia per il sostentamento sia per gli svaghi e infine non ho disabilità.
Non tutti dobbiamo/possiamo diventare il buon samaritano ma la preoccupazione non dovrebbe essere per il fastidio ma dovrebbe essere orientata a capire per quale motivo la persona che mi chiede l'elemosina si è ridotta o è stata ridotta in questo stato.
A Verona come a Napoli o a Catania, le persone sono tutte uguali. A livello personale e istituzionale il nostro agire dovrebbe essere orientato all'equità sociale, al garantire dei requisiti minimi di sufficiente sostentamento.
Domani potrei essere io l'ultimo, ovvero il disabile, il derelitto, il lebbroso.
Non c'è bisogno di essere cristiani per capire che gli ultimi siamo noi.
Argomento lungo e spinoso, ma in fondo la domanda a cui dobbiamo rispondere è semplice.
Al centro della nostra vita cosa/chi mettiamo ?
Giustizia è riportare tutte le cose al loro senso.
I. Illich
lunedì 21 aprile 2014
generatività
Ho iniziato con E. Fromm e la sua ben nota distinzione tra avere o essere, sono passato attraverso la liquidità di Z. Bauman e certi articoli di giornale come quello di S. Settis, non dimenticando alcune considerazioni di amici tuitteri che non potevano essere sottovalutate.
Ho riletto alcune cose che appartengono alla teologia della liberazione dal momento che l'arrivo di un papa sudamericano è stato esso stesso un segno notevole di un mutamento, per quanto credente ateo ognuno di noi possa essere.
Mi sono avvicinato da tempo a queste letture sociologiche e antropologiche, perchè alla fine dei miei studi vivevo in un paese in cui, nonostante i gravi problemi, c'erano delle regole e c'erano degli obiettivi. Si capiva che il paese aveva tra i suoi obiettivi il benessere comune.
Poi tutto si è disgregato, lacerato. Come se tutto e tutti fossimo diventati luoghi e persone senza più alcuna manutenzione. Tutto è diventato eticamente ed esteticamente brutto.
Le analisi varie che venivano formulate erano tutte coerenti ma allo stesso tempo insufficienti, perchè il degrado era stato più veloce della stessa capacità di analisi. E ciò allontanava ancora di più la possibile sintesi. Quella sintesi che era ciò che io cercavo.
Anche negli scambi su tuitter, dove leggo molti spunti interessanti, sono tutti bravi a formulare commenti sarcastici, precisi, netti; tutti perfetti nel criticare ma raramente si trova un accenno alla possibile soluzione, ad una possibile reazione. Voglio troppo ?
Forse, ma ritengo che se esiste una sintesi, questa si debba manifestare sempre e dovunque.
Ebbene questa sintesi l'ho trovata in questo libro, ma ancor di più nel libro di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi che ne è la naturale estensione. La risposta ai mali della moderna società occidentale, ma in breve varrà per tutti i paesi che adotteranno una schema post-capitalistico, viene suggerita in una 'generatività' che diventa, dovrebbe diventare, lo standard di una società nuova che rimetta al centro la persona, il suo essere e la sua capacità di modificare sè e il suo ambiente circostante senza il corto circuito 'potenza-volontà di potenzà'. Il narcisismo contemporaneo, di cui aveva parlato Roberto Cotroneo qui, è il naturale risultato di persone che hanno smarrito la direzione del sè e vanni invece verso quella immagine propria che altri hanno suggerito e proposto. I modelli estetici, etici e comportamentali vengono diretti verso forme di omologazione sempre più subdole spesso difficili anche da identificare perchè la stessa riflessione sulla propria vita richiede tempi e modi ostacolati dalla routine quotidiana.
Credo che il percorso che da Fromm mi ha portato alla generatività attraverso Freire sia in realtà una strada maestra del nostro vivere contemporaneo e che rappresenti l'unica via possibile alla crisi che stiamo attraversando. Il lavoro di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi è il risultato di uno studio lungo e articolato che si declina poi nell'arte, nell'impresa, nella sociologia, nell'economia e nell'educazione. La potenza della generatività è notevole soprattutto se, come spero, diverrà un tendere comune verso certe istanze di rispetto di sé e degli altri che ci dovrebbero essere care come persone libere.
La cosa che ho amato di più in questo libro è il fatto che la generatività agisce su scale diverse. Si muove dall'individuo e va verso una società. Può motivare scelte personali, come l'adozione di un bambino; può sostenere altresì uno schema macro-economico in cui i profitti aziendali diventano una componente, non l'unica, di un successo d'impresa.
Non a caso il sottotitolo ha in sé la parola manifesto: questo contributo non è solo un'analisi precisissima e lucida su ciò che siamo diventati ma propone una sintesi e una risposta ai mali dell'oggi verso un futuro diverso. Un futuro nel quale, in assenza di rimedi e di contromisure, non si spezzeranno le catene virtuali che noi stessi ci siamo costruiti
Buona Lettura.
PS: Altro sul progetto complessivo della generatività è qui: http://www.generativita.it.
domenica 20 aprile 2014
#tmente
Il mio amico @giulicast (Giuliano Castigliego) ha immaginato e lanciato un hashtag su twitter, giusto una settimana fa, denominato #tmente che è l'acronimo di turbata mente.
Nella sua idea iniziale, questo esperimento twittero doveva servire a delineare il rapporto tra il disagio mentale e l'arte e a evidenziare i rapporti privilegiati tra questi due mondi.
Giuliano aveva trovato un canovaccio da seguire, appoggiato ad un favola molto bella che qui riporto.
Nella sua idea iniziale, questo esperimento twittero doveva servire a delineare il rapporto tra il disagio mentale e l'arte e a evidenziare i rapporti privilegiati tra questi due mondi.
Giuliano aveva trovato un canovaccio da seguire, appoggiato ad un favola molto bella che qui riporto.
Storia del re Ofioch e della regina Liris
Tanto tempo fa nel prospero regno di Urdar
regnava il re Ofioch, che però era tanto malinconico e questa sua malinconia
gravava su tutto il regno. Nessuno ne capiva niente, men che meno i ministri,
che pensarono di curare il re dandogli una sposina buona, bella e allegra. La
trovarono nella principessa Liris, figlia di un re vicino. La principessa
Liris, al contrario del re Ofioch, era sempre allegra, ma d'una allegria
fasulla di cui nessuno riusciva a capire la causa. Qualunque cosa capitasse,
lei rideva sempre, come se non vedesse nulla di quel che le succedeva davanti
agli occhi. Le nozze vennero celebrate, ma non portarono i miglioramenti
sperati, il re era sempre più cupo e la regina non faceva che fare merletti al
tombolo con le sue dame ridendo e irritando oltremodo il consorte. Un giorno,
mentre era a caccia, re Ofioch per errore colpì con la sua freccia il mago
Ermodio, che era in cima a un'alta torre nel fitto di un bosco e immerso in un
sonno millenario. Il re pensò d'essere spacciato, ma invece Ermodio lo
ringraziò per averlo destato dal lungo sonno. Disse che finalmente sarebbe
tornato nell'Atlantide, ma che dopo tredici lune gli avrebbe lasciato un dono
che avrebbe reso felice lui e la regina Liris: un cristallo. Perché il pensiero
uccide l'intuizione, ma l'intuizione sarebbe tornata a splendere come figlia
del pensiero. Re Ofioch però non ne trasse alcun giovamento e, più cupo e mesto
che mai, fece iscrivere su una lapide la frase “il pensiero distrugge
l'intuizione” e si mise a contemplarla meditandoci su notte e giorno. Un giorno
la regina Liris capitò nella stanza dove re Ofioch meditava e, vista la lapide,
smise di ridere e si sedette accanto a lui. Immediatamente i due regali
consorti si addormentarono, ma il consiglio di stato riuscì a organizzare le
cose in modo che nessuno si accorgesse che il monarca dormiva.
Tredici lune dopo, come aveva detto, il
mago Ermodio tornò a Urdar con una stella scintillante che, fondendo gli
spiriti elementali della terra, dell'aria, dell'acqua e del fuoco, trasformò in
un meraviglioso specchio d'acqua. Il re e la regina si destarono, corsero alla
fonte, vi si specchiarono [capovolti] e cominciarono a ridere. Non d'una risata
vuota com'era stata quella di Liris, ma d'una risata schietta che è benessere
interiore.
Twitter ancora una volta quindi, in questa settimana, è stato il territorio in cui nuove esperienze di condivisione venivano proposte e vissute. Inutile dire che che #tmente si è mescolato, inesorabilmente e meravigliosamente, con i riti della Passione, Morte e Resurrezione della Pasqua cattolica.
Difficile dire quanto sia rimasto dell'idea originaria, ma ciò che è emerso, per me, è un mondo molto bello in cui chi ha suggerito, proposto, evidenziato ha effettivamente incentrato il suo contributo per esaltare l'intreccio tra le passioni della mente e il risultato artistico. Anzi, è emerso chiaramente come l'arte sia la sola via per mettere a fuoco in modo nitido certe sofferenze, certi passaggi, certi stati mentali. Anche certi passaggi della società in cui viviamo hanno trovato spazio: basta guardare l'immagine che qui riporto in cui la classica visione romantica passa attraverso una foto (forse un selfie?).
Sul sito di Giuliano (http://www.umanamenteonline.it) troverete, ovviamente, di meglio e di più.
Qui voglio solo suggerire a chi frequenta twitter di seguire la sequenza dei contributi oppure scaricare i due tweetbook in pdf che @atrapurpurea ha splendidamente messo a punto affinché ci fosse una traccia di quanto apparso:
#tmente ha avuto oltre a Giuliano ed @atrapurpurea i contributi essenziali di @giovannifanfoni, @fchiusaroli (#scritturebrevi) e @isainghirami.
Io sono stato onorato di averne fatto (minimamente) parte.
Twitter per me resta un posto dove accadono cose meravigliose.