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lunedì 30 dicembre 2013
martedì 17 dicembre 2013
i mari che non navigammo (N. Hikmet)
Il più bello dei mari è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto.
Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello non te l'ho ancora detto.
domenica 15 dicembre 2013
l'utopia è realismo (p. freire)
Mi regalarono per i miei 18 anni, "La pedagogia degli oppressi" di Paulo Freire.
Difficile dire quello che mi provocò la lettura di questo libro. Me lo regalarono i miei due amici gesuiti che tanto mi hanno voluto (e ancora mi vogliono) bene. Al momento lo trovai difficile, ostico in alcuni punti: solo dopo ne capii la forza e la portata.
Erano anni in cui avevo avuto modo di conoscere i temi della teologia della liberazione e addirittura di ascoltare dal vivo, in Italia, la voce di Helder Camara, l'arcivescovo delle favelas.
Ma l'opera di Freire era (ed è ancora) un ragionamento sulla possibilità di un riscatto che possa nascere dalla coscienza di sé e del mondo. E sulle azioni conseguenti.
Parole come 'dialogo', 'educazione', rispetto', e 'speranza' pin questo testo acquistarono una luce nuova che non hanno mai più perso. Scintillano da allora come guide, come fari, ad indicare una delle direzioni, forse l'unica. Il libro di Freire conferisce nuovi significati a queste parole e le trasforma in azioni, singole e collettive.
Tutti siamo in qualche modo oppressi e la nostra liberazione non è un'opzione: è una necessità vitale se vogliamo essere autentici interpreti del nostro futuro.
Mi affido alle parole del Prof. Moacir Modotti che, meglio di quanto saprei fare io, già nel 2002 evidenziavano la potenza dell'approccio di Freire. Ne riporto qui un estratto:
Un’altra categoria basilare nell’ottica freiriana è quella dell’utopia e del sogno. In tempi neo-liberisti, gli ideologi della società di mercato vogliono sostituire l’utopia con il mercato. Secondo Freire, la storia è sempre costruita su un elemento di speranza ed è perciò importante riaffermare la necessità dell’utopia in un momento di “fine della storia” come quello che stiamo vivendo, un momento che offre poche alternative. Freire riteneva primario sognare il nostro mondo possibile e creare una pedagogia che guidasse verso la realizzazione di questo nuovo mondo possibile. Prima di operare nel presente e di rifarsi al passato, la pedagogia sogna una realtà differente, lavora sul futuro con un sogno possibile. La categoria del sogno non è solamente una posizione etica o umanista, è anche una visione scientifica del mondo perché è una concezione legata alla teoria della conoscenza trasformativa della realtà. Il pensiero di Paulo Freire, profondamente umanista e realista, sostiene il bisogno che oggi abbiamo di rianimare certi valori umanisti; la sua teoria della conoscenza, totalmente antropologica, ha un senso molto importante nell’attualità. Chi voglia leggere i suoi testi come interpretazioni tecniche della pedagogia sbaglia, poiché Freire scrisse con un modo che non si riscontra nella pedagogia burocratica, come un poeta che sogna e che cerca nella scienza una ragione per migliorare, una ragione sostenibile per scrivere un’altra realtà. Quando Bartolomeo Bellanova definiva “realismo utopico” l’opera di Paulo Freire, intendeva che non è realista ciò che non è utopico nella visione freiriana, nella quale, in maniera essenziale, l’utopia è realismo. “Bisogna fare oggi quel che è possibile fare oggi, per fare domani quel che è impossibile fare oggi”: ecco il profondo realismo di questa utopia, senza alcuna contraddizione.
A Natale, lo consiglierei a tutti quelli che amano i miei aquiloni.
È un modo per essere più vicini.
Difficile dire quello che mi provocò la lettura di questo libro. Me lo regalarono i miei due amici gesuiti che tanto mi hanno voluto (e ancora mi vogliono) bene. Al momento lo trovai difficile, ostico in alcuni punti: solo dopo ne capii la forza e la portata.
Erano anni in cui avevo avuto modo di conoscere i temi della teologia della liberazione e addirittura di ascoltare dal vivo, in Italia, la voce di Helder Camara, l'arcivescovo delle favelas.
Ma l'opera di Freire era (ed è ancora) un ragionamento sulla possibilità di un riscatto che possa nascere dalla coscienza di sé e del mondo. E sulle azioni conseguenti.
Parole come 'dialogo', 'educazione', rispetto', e 'speranza' pin questo testo acquistarono una luce nuova che non hanno mai più perso. Scintillano da allora come guide, come fari, ad indicare una delle direzioni, forse l'unica. Il libro di Freire conferisce nuovi significati a queste parole e le trasforma in azioni, singole e collettive.
Tutti siamo in qualche modo oppressi e la nostra liberazione non è un'opzione: è una necessità vitale se vogliamo essere autentici interpreti del nostro futuro.
Mi affido alle parole del Prof. Moacir Modotti che, meglio di quanto saprei fare io, già nel 2002 evidenziavano la potenza dell'approccio di Freire. Ne riporto qui un estratto:
Un’altra categoria basilare nell’ottica freiriana è quella dell’utopia e del sogno. In tempi neo-liberisti, gli ideologi della società di mercato vogliono sostituire l’utopia con il mercato. Secondo Freire, la storia è sempre costruita su un elemento di speranza ed è perciò importante riaffermare la necessità dell’utopia in un momento di “fine della storia” come quello che stiamo vivendo, un momento che offre poche alternative. Freire riteneva primario sognare il nostro mondo possibile e creare una pedagogia che guidasse verso la realizzazione di questo nuovo mondo possibile. Prima di operare nel presente e di rifarsi al passato, la pedagogia sogna una realtà differente, lavora sul futuro con un sogno possibile. La categoria del sogno non è solamente una posizione etica o umanista, è anche una visione scientifica del mondo perché è una concezione legata alla teoria della conoscenza trasformativa della realtà. Il pensiero di Paulo Freire, profondamente umanista e realista, sostiene il bisogno che oggi abbiamo di rianimare certi valori umanisti; la sua teoria della conoscenza, totalmente antropologica, ha un senso molto importante nell’attualità. Chi voglia leggere i suoi testi come interpretazioni tecniche della pedagogia sbaglia, poiché Freire scrisse con un modo che non si riscontra nella pedagogia burocratica, come un poeta che sogna e che cerca nella scienza una ragione per migliorare, una ragione sostenibile per scrivere un’altra realtà. Quando Bartolomeo Bellanova definiva “realismo utopico” l’opera di Paulo Freire, intendeva che non è realista ciò che non è utopico nella visione freiriana, nella quale, in maniera essenziale, l’utopia è realismo. “Bisogna fare oggi quel che è possibile fare oggi, per fare domani quel che è impossibile fare oggi”: ecco il profondo realismo di questa utopia, senza alcuna contraddizione.
A Natale, lo consiglierei a tutti quelli che amano i miei aquiloni.
È un modo per essere più vicini.
giovedì 12 dicembre 2013
caro premier (s. settis)
Caro premier, salva l’arte.
Salvatore Settis, l’Espresso, 25.01.2013.
Salvatore Settis, l’Espresso, 25.01.2013.
Al prossimo presidente del Consiglio (chiunque sia). Signor Presidente, negli ultimi anni, principi costituzionali e pratiche politiche consolidate hanno subito una continua erosione. Sotto il peso (o con l’alibi) della crisi economica, tagli spietati hanno colpito la spesa sociale: scuola, cultura, università, tutela del patrimonio e dell’ambiente, ricerca, teatro e musica, sanità. Anche quando i “tagli lineari” (cioè ciechi) dei governi di destra sono stati ribattezzati spending review, in nulla hanno giovato al pubblico interesse: al contrario, hanno ridotto il livello dei servizi ai cittadini, favorito la recessione, incrementato la disoccupazione. Colpendo la dignità di chi (non) lavora e l’equità, questa politica mina alla radice democrazia e libertà.
La nuova legislatura può segnare una svolta, reinnescando quel che da tempo manca al nostro Paese: creazione di competenze, creatività, innovazione, occupazione. Al vertice delle priorità del governo devono essere la cura dell’ambiente e la messa in sicurezza del territorio. E un compito immane, perché questi temi sono stati trascurati per decenni. Ma è un traguardo essenziale, che merita investimenti sostanziosi e può assorbire più forza lavoro di quella per “grandi opere”, spesso invecchiate prima di nascere. Cura dell’ambiente vuoi dire tutela della salute, ma anche tutela del paesaggio, a cominciare dal paesaggio agrario; vuol dire promozione dell’agricoltura di qualità, con potenti ricadute economiche. Vuol dire protezione del patrimonio culturale, e saltato a parole come maggior ricchezza d’Italia, ma di fatto abbandonato al degrado. Questi temi sono fortemente legati fra loro. È perciò urgente agire sulle istituzioni, ponendo fine alla condizione residuale del ministero dei Beni culturali e alla scelta di ministri incapaci. Esso può essere accorpato al ministero dell’Ambiente, per una nuova politica fondata sulla cultura della prevenzione, dal controllo del rischio idrogeologico alla conservazione programmata del patrimonio culturale. Ma anche questa “mossa” sarebbe inefficace, se non si accompagnasse a un torte reinvestimento sui Beni culturali, che quanto meno rimedi al cinico taglio di oltre un miliardo perpetrato da Berlusconi nel 2008. È inoltre necessario il rinnovo del personale, ibernato dal blocco del turn-over, mediante una sana politica di assunzioni per merito, aperta a esperti non solo italiani.
Il futuro di un Paese dipende da tre fattori: lungimiranza degli obiettivi, formazione dei giovani, innesco di energie creative. In Italia da decenni accade il contrario: le riforme della scuola e dell’universirà sono ispirate non da un qualsivoglia progetto culturale, ma dalla decisione di tagliare a ogni costo i bilanci nel segno di un miope neoliberismo. La ricerca di base (la sola che produca esiti, anche economici, di lungo periodo) è accantonata in favore di uno “sguardo corto” che pretende risultati misurabili in tempi brevi; la qualità viene esiliata in favore della quantità. Riportare il futuro al centro della politica rilanciando scuola, università e ricerca mediante accorti investimenti sulla qualità e nuove assunzioni in base al merito: ecco un’altra prioritàdel governo. Altri Paesi, dagli Stati Uniti alla Germania alla Francia, stanno investendo in istruzione e ricerca come mezzi per combattere la crisi economica; in Italia si fa l’opposto. E tempo di rompere questo isolamento, recuperando l’alta tradizione italiana e ricollocando al centro il sistema pubblico di istruzione anziché, come si è fatto negli ultimi anni, depotenziarlo in favore del settore privato.
Questi obiettivi minimi non sono degli optional. Essi corrispondono all’orizzonte dei diritti prescritto dalla Costituzione. La Costituzione, per intenderci, a cui il nuovo governo presterà giuramento, e non una pretesa “Costituzione materiale”. La centralità della cultura è scolpita nell’art.9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Autonomia delle università, centralità della scuola pubblica, diritto allo studio (art. 33–34), libertà di pensiero (art. 21) sono aspetti del diritto alla cultura, essenziale allo sviluppo della personalità individuale (art. 3) e al «progresso spirituale della società»(art.4).
Questi obiettivi minimi non sono degli optional. Essi corrispondono all’orizzonte dei diritti prescritto dalla Costituzione. La Costituzione, per intenderci, a cui il nuovo governo presterà giuramento, e non una pretesa “Costituzione materiale”. La centralità della cultura è scolpita nell’art.9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Autonomia delle università, centralità della scuola pubblica, diritto allo studio (art. 33–34), libertà di pensiero (art. 21) sono aspetti del diritto alla cultura, essenziale allo sviluppo della personalità individuale (art. 3) e al «progresso spirituale della società»(art.4).
Questi principi fondamentali dello Stato sono costantemente disattesi con l’alibi di una “tecnicità” che produce tagli, ma non sviluppo. Devono tornare al centro delle politiche del governo, nel loro nesso con altri diritti essenziali sanciti dalla Costituzione: il diritto alla salute (art. 32), il diritto al lavoro (art. 4), la «pari dignità sociale». (art. 3). La disgregazione, anzi la “macelleria sociale” che è sotto i nostri occhi ha in questi principi il suo rimedio: perché solo se i diritti sono riconosciuti è possibile esigere «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2).
I problemi globali dell’economia e la pessima gestione dei bilanci hanno messo in ombra questi principi, e il “governo tecnico” ha interpretato il proprio mandato alla luce di un precetto che la Costituzione non contiene, anzi nega: la priorità dell’economia sui diritti. È tempo di mettere sul tavolo il contrasto fra la necessità (che tutti riconoscono) di risanamento dei bilanci e l’obbligo (che molti dimenticano) di rispettare la legalità costituzionale. La “ricetta tecnica” di tagliare alla cieca la spesa sociale ha prodotto solo recessione, disoccupazione, disordine. Per uscire da questo vicolo cieco occorre reperire con urgenza nuove risorse, combattendo con fatti e non parole l’enorme evasione fiscale: 142,47 miliardi di euro di tasse non pagare nel solo 2011 (dati Confcommercio). Recuperandone almeno la metà, si potrebbe cominciare a sanare il debito pubblico e investire in scuola, ricerca, patrimonio, sanità, innescando processi virtuosi di stimolo della creatività e dell’economia. Una sana spending review dovrebbe cancellare spese vane o dannose, a cominciare dal ponte sullo Stretto e da altre “grandi opere”, dall’acquisto insensato di aerei da guerra e sommergibili, da interventi onerosi e fallimentari come il “salvataggio” Alitalia.
Qualificare la spesa capovolgendo le priorità dei governi di questa legislatura è il primo passo verso un rinnovato ruolo dell’Italia in Europa. Per non essere a rimorchio degli gnomi delle Borse, l’Italia deve fare appello alle enormi energie creative dei cittadini, che hanno nella nostra storia, arte, cultura il loro inesauribile tesoro. È un “conto in banca” che non è quotato in Borsa, ma vale più di qualsiasi spread. Dimenticarlo è delittuoso, anche perché condanna l’Italia a un ruolo gregario indegno delle sue potenzialità. Promuoverloè necessario, per rilanciare un’idea di Stato-comunità che costruisce e difende i diritti delle generazioni future. La Costituzione non va cambiata, va riletta alla luce del presente, come la Carta della nostra identità culturale. Perché, molti economisti oggi lo riconoscono, la distruzione dell’identità storica disgrega la società e ne riduce la produttività, mentre ogni “crescita endogena” si fonda sul pieno recupero dell’autocoscienza culturale delle comunità. Uno sguardo lungimirante, una consapevole capacità di futuro: questo, signor presidente, gli italiani aspettano dal nuovo governo.
mercoledì 4 dicembre 2013
un anno fa
Un anno fa misi il primo post.
Si chiamava "un buon inizio".
Ebbi (e c'è ancora) una madrina, @monicarbedana, che mi lasciò un augurio, auspicio graditissimo.
Da allora 15000 visite. Non so se sono tante o poche: a me sembrano un'enormità.
È faticoso tenere questo tipo di relazioni digitali, ma anche molto piacevole in alcuni momenti. Si ha l'impressione di non essere soli e di mettere a disposizione qualcosa di sé.
La fatica nasce dal fatto che anche qui è necessaria una cura. Non mi piace essere superficiale, approssimato. I caratteri, le foto, i temi, tutto dovrebbe essere scelto e suggerito con una realizzazione che sia pure all'interno di formati standard, dovrebbe evidenziare e far percepire il lavoro che c'è dietro.
Ho messo qui, in questi mesi, ciò che mi piace e che ha solleticato la mia attenzione, la mia rabbia, la mia felicità, il mio stupore. Che poi sono i libri che ho letto, la musica che ascolto (e che canto da solo in macchina), le foto che ho scattato negli anni, le considerazioni su questo strano paese nel quale viviamo.
L'interazione con twitter è fondamentale. Senza il volatile azzurro non credo che sarei mai riuscito a farmi leggere da qualcuno.
Ci sono stati momenti in cui questo piccolo blog ha fatto rimbalzare contenuti che arrivavano da voci molto più autorevoli, oppure è servito semplicemente ad amplificare notizie poco note. Di questo aspetto sono particolarmente contento.
Posso solo ringraziare quanto tra voi hanno avuto modo di apprezzare le piccole cose che suggerisco. Non so per quanto tempo andrò avanti ma ci proverò.
Lasciatemi dedicare la rosa fotografata stamattina ad Antonella: lei sa il perché.
Si chiamava "un buon inizio".
Ebbi (e c'è ancora) una madrina, @monicarbedana, che mi lasciò un augurio, auspicio graditissimo.
Da allora 15000 visite. Non so se sono tante o poche: a me sembrano un'enormità.
È faticoso tenere questo tipo di relazioni digitali, ma anche molto piacevole in alcuni momenti. Si ha l'impressione di non essere soli e di mettere a disposizione qualcosa di sé.
La fatica nasce dal fatto che anche qui è necessaria una cura. Non mi piace essere superficiale, approssimato. I caratteri, le foto, i temi, tutto dovrebbe essere scelto e suggerito con una realizzazione che sia pure all'interno di formati standard, dovrebbe evidenziare e far percepire il lavoro che c'è dietro.
Ho messo qui, in questi mesi, ciò che mi piace e che ha solleticato la mia attenzione, la mia rabbia, la mia felicità, il mio stupore. Che poi sono i libri che ho letto, la musica che ascolto (e che canto da solo in macchina), le foto che ho scattato negli anni, le considerazioni su questo strano paese nel quale viviamo.
L'interazione con twitter è fondamentale. Senza il volatile azzurro non credo che sarei mai riuscito a farmi leggere da qualcuno.
Ci sono stati momenti in cui questo piccolo blog ha fatto rimbalzare contenuti che arrivavano da voci molto più autorevoli, oppure è servito semplicemente ad amplificare notizie poco note. Di questo aspetto sono particolarmente contento.
Posso solo ringraziare quanto tra voi hanno avuto modo di apprezzare le piccole cose che suggerisco. Non so per quanto tempo andrò avanti ma ci proverò.
Lasciatemi dedicare la rosa fotografata stamattina ad Antonella: lei sa il perché.