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venerdì 31 maggio 2013

futuro / futura



Ho ritrovato questo rullino b/n di qualche anno fa. Nello sviluppo mi hanno graffiato i negativi, ma è il contenuto che per me contava.

La stampa mi ha restituito gli occhi, gli sguardi con i quali qualche anno fa abbiamo iniziato ad aprirci al futuro. 

Tutti insieme.




martedì 28 maggio 2013

ad Antonella


Era domenica. Uscivamo entrambi da messa. Non l'avevo mai vista, almeno così credevo. 
Fu un attimo: si girò e i suoi occhi incrociarono i miei. 
La nostra storia è stata, ed è ancora, quel momento magico in cui ci siamo riconosciuti.


Se noi non avessimo amato,
chi sa se quel narciso avrebbe attratto l’ape 
nel suo grembo dorato, 
se quella pianta di rose avrebbe ornato 
di lampade rosse i suoi rami!

Io credo non spunterebbe una foglia 
in primavera, non fosse per le labbra degli amanti 
che baciano. Non fosse per le labbra dei poeti 
che cantano.

Se non avessimo amato (O. Wilde)

sabato 25 maggio 2013

tuitta: vuoti, assenze e tempo.

Una delle riflessioni più interessanti è quella che Roberto Cotroneo sta facendo con cadenza settimanale su Sette, il supplemento del Corriere della Sera, nella rubrica Blowin' in the web.

Uno degli ultimi articoli pubblicati rappresenta, secondo me, un tema dal quale non si dovrebbe più prescindere.
Se ci deve essere una ripresa, e questa ripresa non potrà che partire dal capire chi siamo e cosa vogliamo diventare, questo è - deve essere - il tema centrale.
L'articolo integrale è qui: La città del web, senza porte né spazi vuoti.

La trasformazione antropologica dovuta al susseguirsi rapidissimo delle innovazioni tecnologiche ha prodotto risultati che neanche nella fantascienza più illuminata erano immaginabili.
La possibilità, soprattutto con gli smartphone, di essere sempre e ovunque connessi, la riduzione dei costi di connessione e la disponibilità di devices che si adeguano alle varie possibilità economiche hanno distrutto le idee di base dello spazio e del tempo.
Ricordo solo, senza enumerare altri esempi, che sono già esistenti brevetti di condensatori che in 30 secondi ricaricheranno lo smartphone e/o tablet e con le nuove connessioni si scaricherà 1 GB di dati in pochi secondi.

Cotroneo definisce questa città del web come un luogo senza porte né spazi vuoti, un posto dove non esiste più una distanza misurabile. Una città unica, che si estende in tutto il pianeta e le cui distanze si percorrono alla velocità della luce.

Tempo fa nelle mie scartoffie, ragionando su Twitter, avevo immaginato questa città come una delle città invisibili di Calvino, denominandola Tuitta. Una città nella quale pochi si muovono e che vive solo di scambi luminosi.

Questa accanto potrebbe essere la mappa della sua intensità (immagine da http://www.newnotizie.it/).

Il prezzo di tutto, il prezzo che pagano gli abitanti di Tuitta, ma anche di FB, IG, ecc., è una perenne flebo. Schermi e auricolari iniettano nei sensi primari (udito e vista) una quantità di informazioni largamente inutili che però ci fanno sembrare di appartenere ad un tempo universale che è, a mio avviso, una grandissima idiozia. Lo dico essendoci dentro fino al collo, sia ben chiaro: non mi chiamo fuori.  Il tatto, il gusto e l'olfatto al momento sono secondari. Fino a quando, ad esempio, non ci sarà lo smartphone che assieme alla fotografia dei fiori ce ne farà sentire il profumo.
[Ma poi sarà un vero profumo ?]

Qualcuno si ricorderà che tempo fa si era proposto addirittura la definizione del beat, appunto, l'unità di misura universale: Swatch Internet Time

A uno spazio vuoto o incommensurabilmente piccolo, si può solo opporre un tempo che riacquisti, dovrebbe riacquistare, la sua centralità. Un tempo fatto di scansioni, modellate dal nostro agire ed essere individui in un contesto di atri individui.

Indubbiamente la vera battaglia di avanguardia sarà la ridefinizione del tempo nelle nostre esistenze.

Chiudo con due suggerimenti, apparentemente lontani.
Il primo è estratto da un film d'animazione, un vero capolavoro, Wall-E.

Il secondo è preso dalla Bibbia: Qoelet:
Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.

domenica 19 maggio 2013

un aquilone per Fiorella


C’è stato un momento nella mia vita in cui non ho capito nulla. Avevo all’incirca 25 anni.
Non ero più capace di capire che cosa mi stava succedendo: era una trasformazione radicale; solo più tardi ne avrei capito l’importanza e la portata. 

Una storia, dietro e dentro di me si chiudeva, in modo doloroso e sofferto. Un’altra mi aspettava, bella e profonda (ed ancora vive) ma io non potevo saperlo.
Cercavo una definizione di me, di ciò che avesse priorità, di come ero io nel mondo; volevo confidarmi e confrontarmi con qualcuno. Gli amici del liceo erano ormai lontani e forse anch’essi impegnati in altre vicende importanti. Mio fratello e mia sorella, più piccoli, erano anch’essi immersi nel loro quotidiano crescere e maturare per diventare persone adulte e consapevoli.

Cercavo una sorella maggiore; qualcosa in più di un’amica che non spiegasse ma indicasse le strade possibili, gli scenari che si aprivano davanti a me e tra i quali avrei dovuto e potuto scegliere. E quindi, quasi come una magia, mi sono ritrovato le canzoni di Fiorella Mannoia, conficcate direttamente nel cuore.
Non sono mai stato il classico fan. Quello esagerato che segue tutti i concerti, che compra tutti i dischi,  che sa tutto della vita privata. In un certo senso, non mi hanno mai interessato questi aspetti.
M’interessava solo salire in macchina - quando ero maggiormente confuso, disorientato - ed accendere lo stereo per ascoltarla. Da solo, in viaggio, con la sua voce: non desideravo altro.

Certo avevo le cassette dei miei preferiti Lucio Battisti, Pino Daniele, Ivano Fossati, Antonella Ruggiero, …. Ma in pratica ascoltavo solo lei. E mentre l’ascoltavo, le parlavo.

Le parlavo dentro di me certo, altrimenti avrei avuto dubbi sulla mia sanità mentale, ma le parlavo appunto come si fa come una sorella, alla quale basta poco per confidare una debolezza, un’indecisione, lo struggimento di chi guarda la vita da un angolo sconosciuto fino a quel momento. Offrivo quella vulnerabilità che mi contraddistingueva e che mascheravo perché non fosse offesa.
Un dialogo immaginario, questo è sicuro, e come poteva essere altrimenti. Ma tra i miei pensieri e certe sue canzoni, – e mi spingo oltre – certe sue interpretazioni, c’era  e c’è ancora una perfetta corrispondenza. 

Mi sentivo come se qualcuno mi avesse – finalmente - radiografato l’anima.

Di più e meglio non saprei dire. 
Ora che ho (manca poco) 25x2 anni le dico solo grazie.


[Ascoltatevi questa meraviglia:  Io che amo solo te.]

giovedì 16 maggio 2013

the dark knight (f. miller)

Appena finito le scuole medie, i miei genitori decisero che - dopo Topolino - con i fumetti si poteva chiudere. Libri in quantità ma i fumetti erano considerati una non-letteratura, uno spreco di tempo, una cosa inutile in buona sostanza. Da allora non ho fatto altro che aspettare il momento in cui certe cose si sarebbero potute sciogliere con l'indipendenza economica.
Leggevo ovviamente Intrepido, Monello, Eternauta (collana Lancio), e poi di seguito Dylan Dog, Nathan Never, . . . ma erano prestiti. Leggevo Totem e Metal Hurlant, da un mio amico architetto che gentilmente non diceva nulla del fatto che andassi da lui solo per leggere queste bande dessinée, che si faceva portare dalla Francia.

Col primo lavoro realizzai il sogno. Ho comprato subito la collezione dei primi 10 numeri dei supereroi Marvel più famosi, volumi brossurati in rosso. Poi proseguii con Corto Maltese, hard-cover: una goduria.
E poi ancora, Maus di Spiegelman, Moebius, Myazaki, i manga, Watchmen, V for Vendetta.

E finalmente, mi sono riappropriato del mio sogno: Batman.
Batman ha una storia editoriale, in Italia, abbastanza lunga e complicata e non è il caso di ripeterla. L'ho seguita per un certo tempo, ma qui mi riferisco qui al Cavaliere Oscuro di Frank Miller.
Ho difficoltà a riportare ciò che provai nella prima lettura. Bruce Wayne è un personaggio dolente, affaticato, che commenta con una lucidità sovrumana (questa sì) il suo essere uomo, semplicemente uomo, in una società dove l'umanità sembra smarrita, scomparsa. Il racconto è sconvolgente. Anticipa di anni i disastri della società in cui viviamo e la desolazione di un uomo, preparato atleticamente, più che benestante, eticamente non irreprensibile, purtroppo preda di se stesso, delle sue paure.

Tutti i villain più importanti sono citati ed il Joker è una figura a suo modo indimenticabile. Ricorda continuamente a Batman quel loro intimo legame che definisce l'uno dove l'altro si perde.
Batman è stanco, arrabbiato e demotivato, quasi addirittura impotente con l'impotenza di chi sa che 'anche gli dei lottano invano contro la stupidità'.

Batman è una figura controversa come sempre, con i suoi rapporti irrisolti con i primi due Robin, con il suo legame mai risolto con la morte dei genitori; sa però che solo al profondo di sé avrebbe potuto ritrovare il filo di un'esistenza atipica, ma pur sempre umana.

Miller contrappunta la sceneggiatura principale con un secondo livello di tavole in cui degli schermi televisivi trasmettono in tempo reale gli eventi, con sondaggi di opinionisti tuttologi, previsioni meteo incessanti e telegiornali eterni. Ricordo che il lavoro è apparso nel 1986. C'è anche un attacco alle Torri Gemelle di Gotham con elicotteri.

Ogni capitolo è a suo modo memorabile, ma quello finale nel quale c'è lo scontro con Superman è veramente epico. Si combattono due super-eroi, anzi i più antitetici: the man of steel - invincibile, indistruttibile, lo strenuo difensore della bandiera a stelle e strisce - lotta furiosamente con un uomo pipistrello che solo con ore di palestra, arti marziali e gadget super-teconologici è capace di provare a battersi. In mezzo c'è una testata nucleare che sta per esplodere.

Non posso raccontare nulla di più ovviamente. Chi leggerà, capirà.
Ma questo Dark Knight mi ha insegnato molto sul significato di parole come dignità, onore, rispetto e amicizia. Mi ha anche dato una visione del mondo che non avevo.

The Dark Knight è in buona sostanza una visione profetica sugli anni a venire, gli anni che viviamo ora. E io amo i profeti, specie se hanno un mantello scuro e una maschera sul viso.




domenica 12 maggio 2013

memorie di adriano (m. yourcenar)


Spesso mi capita di tornare a questo libro; appartiene alla decina dalla quale non saprei separarmi.

È la biografia scritta in prima persona, di uno dei più grandi uomini dell'antichità. Il testo è di una donna: già questo è un passaggio per me stupefacente, M. Yourcenar, uno dei grandi nomi della letteratura.

La prospettiva è una soggettiva dell'imperatore che ha trasformato, diretto e compiuto il lavoro dei suoi predecessori, elevando a grandezza eterna, Roma e il suo impero.

Un uomo che non dimentica di interrogarsi sulla morte, sulla vita, sulla bellezza, sulla gestione dell'Impero, sulla necessità di una guerra e sulla ricerca della pace.

Un animo nel quale la Politica, fatta di confini, scelte e piani non dimentica di confrontarsi con la politica dei soldati, dei contadini, degli uomini appartenenti alle provincie più lontane.

Spesso, rileggo dei brani perchè mi danno la conferma che certi ragionamenti sono possibili. Mi rendono reale, concreta, la possibilità che si può essere un capo, un condottiero, un leader senza dimenticare il proprio lato più umano, debole, intimo. Anzi, si deve dialogare con questa intimità, percorrendola in modo spietato e sincero, così come si cavalca il proprio destriero sugli altipiani ai confini dell'Asia Minore.

Poi, è facile paragonare questa visione di Adriano del mondo e dell'impero con l'assenza appunto dei nostri giorni. È facile capire che questa crisi, italiana innanzitutto, è la crisi di un paese che ha rinunciato in primo luogo alla bellezza, alla ricerca della bellezza. Tutto ciò che manca, parte da quell'assenza.
Manca la bellezza nei comportamenti, negli atteggiamenti, nelle strade, nel decoro singolo e nel decoro urbano. Le scuole sono brutte e invece la scelta di un colore può essere decisiva in uno stato d'animo. Figuriamoci poi, se è un ospedale ad essere brutto.

Non mi meraviglio più quando scopro che molti, troppi, non hanno mai letto questo libro: in fondo, siamo quello che leggiamo.

Come il viaggiatore che naviga tra le isole dell'Arcipelago vede levarsi a sera i vapori luminosi, e scopre a poco a poco la linea della costa, così io comincio a scorgere il profilo della mia morte.

Buona Lettura

domenica 5 maggio 2013

parlo dunque sono (a. moro)

La linguistica è una una disciplina affascinante. L'ho sempre pensato ma non ho mai avuto il tempo di approfondire nulla. Grazie a twitter, che ormai è il mio pusher di contenuti, scopro e seguo Andrea Moro e il suo libro "Parlo dunque sono".
Una trattazione che ho trovato di livello elevatissimo.

I vari capitoli sono presentati come istantanee, come un album di fotografie che non hanno quindi la pretesa di raccontare tutto, ma che rappresentano e definiscono i punti fondamentali e gli snodi critici.

Un viaggio nel tempo, nella storia e soprattutto nell'evoluzione del pensiero umano grazie al quale dalle lingue e i linguaggi si arriva ben presto alla matematica, alla fisica, alla musica, alla biologia, alla logica, alla letteratura, alla poesia e alla (bio)neurologia.

Si percepisce, sullo sfondo, questa visione unitaria - meravigliosa - del pensiero umano,  dove le barriere interdisciplinari vengono abbassate se non abbattute e ed emerge l'immagine di un uomo che è in quanto capace di parlare.

Ogni istantanea (sono 17 in tutto) ruota attorno ad una figura.  Le voci di Cartesio, Russell, Aristotele, Platone . . .  sono rese sincroniche, come se il lettore le stesse riascoltando, avendole tutte di fronte a sè in un immaginario convegno sull'uomo e per l'uomo.

L'istantanea #16 (N. Jerne), da sola, vale l'intero lavoro.

Un libro che ho trovato perfettamente allineato con le qualità del millennio definite da Calvino nelle Lezioni Americane.
Un libro che apre orizzonti e guarda lontano, in ogni direzione, pur rimanendo leggero: un aquilone, in buona sostanza.